Dopo un anime di fantascienza, uno di fantasy e uno misto, passiamo a una serie mainstream: Sakura Quest, dedicata al mondo del turismo giapponese nei piccoli centri rurali.
Come mai ho scelto di provare una serie simile? Due ragioni principali: la prima è che lo ha realizzato la P.A. Works, gli stessi di Shirobako, serie dedicato al mondo dell’animazione giapponese, per cui so che sono in grado di rendere interessante e anche vagamente istruttivo un argomento all’apparenza noioso; la seconda è che la protagonista ha i capelli rosa, non troppo lunghi, e questo dovrebbe essere già di per sé motivazione sufficiente per chiunque.
Ho visto solo due episodi prima di scrivere l’articolo e girare il video, ma nel frattempo è uscito il terzo e anche il quarto (poche ore fa). Eventualmente ne possiamo parlare nei commenti, se ne vale la pena. Per la semplice analisi dell’incipit bastano due episodi. E se la serie meriterà ulteriore analisi, ce ne occuperemo con un articolo dedicato quando sarà finita.
Yoshino è una ragazza piena di sogni e di speranze che ha appena finito gli studi e vuole trovare un lavoro a Tokyo perché adora la capitale e detesta le piccole comunità. Ha vissuto tutta la vita in una cittadina di campagna e non vuole più tornarci, convinta che lì potrà solo fare una vita noiosa, aiutare la madre nei lavori domestici e non riuscirà mai a realizzare i propri sogni. Sogni che non sa quali siano visto che si limitano a “troviamo un lavoro qualsiasi per poter rimanere a Tokyo” e basta. Ma cosa le scoreggia il cervello? Mah!
Proprio quell’agenzia la contatta: un cliente ha chiesto espressamente di lei perché interpreti la “regina” di una certa attrazione turistica. Yoshino accetta subito, bisognosa di soldi per mangiare e solleticata da un sogno ricorrente, forse un ricordo, in cui da bambina veniva incoronata… non che il sogno serva a nulla, in realtà: accetta per riempire il frigo ormai vuoto.
L’arrivo non è molto allegro visto che nella minuscola stazione ferroviaria viene accolta da un gruppetto di persone con la faccia tra il depresso e l’incazzato, che reggono il suo striscione di benvenuto. Alla grande. E quando la vedono non la riconoscono.
L’attrazione turistica era incentrata sul palazzo, sul proprietario Ushimatsu che interpreta l’eroe che estrae la spada dalla roccia e sconfigge il mostro… e ovviamente sull’area di giardino, per il classico turismo giapponese legato alle fioriture. All’incoronazione si presentano ben poche persone e anche il palazzo è malconcio: è evidente che il turismo locale è in declino e che c’è un bisogno disperato di migliorare la situazione, o finiranno tutti senza un lavoro.
Come vediamo abbiamo del conflitto, per quanto modesto. Yoshino non vuole trovarsi lì e loro in fondo non la vogliono, è lì per sbaglio, ma hanno già pagato l’agenzia e ormai devono tenersela. Grandioso. Da parte sua Yoshino ha bisogno di soldi, per cui fare il lavoro richiesto per la giornata e andarsene le va più che bene.
Il problema è che Yoshino non ha capito nulla del suo contratto. Non lo ha nemmeno letto prima di firmarlo ed esce di testa quando scopre che il lavoro non è per un giorno, ma è per un anno come regina dell’attrazione turistica. Non vuole rimanere intrappolata tra i campagnoli, deve tornare a Tokyo! Non le importa nemmeno se così farà incazzare l’agenzia e perderà qualsiasi possibilità di lavorare ancora con loro.
Sì, per esempio prostituirsi. Così, un suggerimento.
Un totale idiota. Yoshino lo colpisce, sì, con la borsa, e lo fa finire all’ospedale con tanto di collare per il trauma.
La costruzione mainstream fin qui era buona, anche se quella cosa del ricordo/sogno da bambina puzzava parecchio. È una storia di accettazione, miglioramento, probabilmente con aspetti introspettivi e di rivalutazione del mondo delle campagne. Una storia così, di “vita quotidiana”, per forza di cose non può fare leva su forti elementi di azione rocambolesca o su drammi particolarmente violenti. Con tutti questi limiti Sakura Quest se la cava più che bene.
Il guaio arriva col finale ed è la coincidenza.
Yoshino trova chiusa la porta dell’appartamento in cui doveva stare, va a dormire nel palazzo dell’attrazione e lì vede le foto dei momenti di gloria del parco. Tra le foto ce ne è una speciale: è l’incoronazione come regina della visitatrice numero 100.000 e, guarda caso, era proprio lei.
Quindi lei era stata lì da piccola e non solo l’avevano incoronata, ma era stata in un evento speciale di cui è stata conservata la foto? Ma sul serio? E finisce lì per sbaglio, per colpa di un errore di persona? Ma davvero dobbiamo sopportare una simile massa di coincidenze di merda?
Sta cominciando a diventare offensivo questa mix di coincidenze ed eventi al “momento giusto”. Non servono a nulla, rendono solo poco credibile e forzata la storia. Ma come si può essere così deficienti da metterli? Aristotele 2300 anni fa ha scritto per i sassi ciò che dice la Poetica contro queste stronzate? Dispiace a qualcuno leggere il fottuto manuale?
Di buono c’è solo il vedere che quella del lavoro era una scusa: Yoshino non vuole rimanere anche se è stata rifiutata a Tokyo…
Ancora peggio è che invece di 1000 manju, ovvero 100 scatole da 10, sono state ordinate 1000 scatole da 10 manju ognuna. Ushimatsu non si è spiegato correttamente con i suoi sottoposti e, proprio come nel caso della modella, aveva fatto una richiesta insensata e impossibile da prendere per corretta: solo 100 scatole sarebbero anti-economiche da produrre e vendere! Era ovvio che quando diceva 1000 intendesse 1000 scatole.
Yoshino accetta la sfida di vendere tutti i dolcetti entro una settimana (prima della scadenza), se in cambio le permetteranno di sciogliere il contratto e tornare a Tokyo. Sfida che appare evidentemente impossibile, ma Yoshino non è brava a valutare il “realismo” di ciò che intende fare.
Anche il concept per il microregno fantasy è dozzinale e superficiale, con al centro un mostro che non c’entra niente col folclore giapponese e che quindi non titillerà le fantasie del grande pubblico perché molti non sapranno nemmeno cosa sia! Ushimatsu è un disastro: disorganizzato, sognatore… proprio come Yoshino, ha un disperato bisogno di cambiare e, se la struttura sarà ben seguita, mi aspetto che la serie parli proprio di come loro due, avendo lo stesso difetto mostrato in modi diversi, riusciranno a compensarsi e a “guarirsi” a vicenda.
Due co-protagonisti, probabilmente.
Come dice Sanae, la programmatrice scappata da Tokyo per vivere in campagna, a Yoshino: con la giusta mentalità si può trovare un posto nel mondo per sé stessi ovunque, e non c’è bisogno di pensare che debba essere a Tokyo. Yoshino non ha bisogno di Tokyo, ha bisogno di trovare sé stessa.
Comunque l’essere più “maschere/ruoli” che “persone” non aiuta a prenderli sul serio, non sono personaggi “veri” come quelli di Ano Hana. L’empatia per la protagonista è realizzata a sufficienza (è in difficoltà e ci appare come una brava persona), ma si poteva fare di meglio. Il conflitto è modesto, ma sufficiente a mantenere l’attenzione.
Nell’insieme un prodotto che può funzionare bene, ma solo se seguirà la struttura dell’arco di trasformazione che sembra suggerirci nei primi due episodi. Altrimenti sarà decisamente dimenticabile.
Alla prossima settimana!
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