Aggiungiamo un nuovo tipo di post al blog, un genere di post che volevo iniziare a fare da un po’ di anni: nuovi anime della stagione, quali mi attirano e quali penso di guardare. Però lo facciamo in un modo utile: commento l’inizio, i primi due o al massimo tre episodi, degli anime che ho scelto di provare a guardare.

I commenti riguarderanno gli aspetti tecnici a livello di struttura della storia e gli aspetti di originalità che appaiono all’inizio dell’opera. Gli “incipit d’anime”: l’inizio dell’opera fornisce la prima impressione, quella che ci fa decidere se mollare tutto o proseguire. In letteratura è fondamentale, ma lo stesso discorso vale per i film e le serie, anche quelle animate.

L’idea di fondo è che i manga, i fumetti occidentali o i cartoni animati possono avere la stessa dignità narrativa di una tragedia greca, di un film o di un romanzo, soltanto se noi, per primi, pretendiamo gli stessi standard di qualità. Se noi per primi attribuiamo agli anime o ai fumetti delle “giustificazioni” se sono fatti male, perché tanto sono solo cartoni o solo fumetti, allora noi stiamo dicendo che non meritano di essere trattati con la stessa serietà con cui giudicheremmo Il Padrino o Macbeth. Se lo facciamo stiamo dicendo che l’intero mezzo espressivo del fumetto o del cartone non è alla stessa altezza del teatro o del cinema: stiamo disprezzando a priori il formato espressivo come “inferiore”.

Ci sono anime meravigliosi, superiori a tanti grandi film, come il dramma Ano Hana, e sono grandi proprio perché sono realizzati con la serietà con cui si creano grandi opere con altri mezzi espressivi. Se avete pregiudizi contro l’animazione, non leggete questi articoli: io insegno a chi vuole studiare, e chi vuole studiare non ha pregiudizi perché ogni pregiudizio contro l’arte narrativa è solo un pregiudizio contro il proprio apprendimento. Chi ha pregiudizi fallisce.

Non entrerò troppo nei dettagli delle serie, mi limiterò a sottolineare gli aspetti di interesse al fine di giudicare bene o male l’opera a livello di narrazione. Magari in futuro farò anche articoli diversi, di analisi anche più dettagliata del contenuto dei singoli episodi, ma non è l’obiettivo adesso. L’idea è di fornire considerazioni a chi ha visto questi episodi o intende vederli, non a chi non li ha visti e non li vuole vedere. Per la resa dei nomi ho usato quelli presenti nei sottotitoli che ho impiegato (quasi tutti Horriblesubs).

Mi concentrerò su questi aspetti:

  • originalità dell’idea di fondo, intesa come assenza di “già visto davvero troppe volte”;
  • costruzione dell’empatia (un giorno vi dirò qualcosa a riguardo, ma la lezione completa è per chi fa il corso a pagamento);
  • eventuale difetto fatale del protagonista;
  • presenza o meno di cliché beceri che rendono meno credibile l’opera;
  • coincidenze, in quanto rovinano i principi di necessità e logicità descritti da Aristotele;
  • altre insensatezze che umiliano la qualità dell’opera.

Questa stagione ho provato a guardarne dieci nuovi (senza contarne due già avviati che proseguono) e parleremo di almeno 5 o 6 di questi nelle prossime settimane. Dieci per me è una cifra enorme visto che ormai da anni ne provavo al massimo due o tre e se andava bene ne seguivo uno, al massimo. Mi concentravo su serie degli anni passati, o guardavo quelle nuove mesi dopo il termine. Nella scorsa stagione zero, non ho nemmeno controllato i primi episodi, anche se un paio da provare c’erano.

Cominciamo con il primo!

Re:Creators

Si parte subito bene: pubblicità ovunque di anime, videogiochi e manga, gente incollata agli smartphone e ai computer… e una ragazza dall’espressione depressa che si getta sotto il treno. Subito una domanda, dritta per lo spettatore: perché si è uccisa e come si collega questo al mondo sovraffollato di narrazioni del Giappone moderno?

Subito dopo appare il protagonista, Sota, che capiamo essere un artista in crisi, forse un aspirante mangaka o un aspirante animatore: si mette al lavoro con la tavoletta grafica, ma non gli viene nulla e si butta a guardare un anime sul tablet… ma l’anime lo aspira dentro di sé. Lì vede l’eroina della serie, Selesia, combattere contro uno strano personaggio, una tizia in uniforme che usa una sciabola per suonare una mitragliatrice sovietica come se fosse un violino.

Selesia e Sota spariscono dal mondo dell’anime e precipitano nel mondo normale, nella camera di Sota. E adesso? La reazione di Selesia è credibile per un personaggio abituato a rischiare la vita, ovvero ginocchio nelle palle di Sota e spada alla gola finché non è sufficientemente sicura che non sia una minaccia.

Sfortunatamente non abbiamo particolari motivi per tifare per Sota o per preoccuparci del suo coinvolgimento: non sembra un personaggio particolarmente meritevole a livello morale e il suo coinvolgimento in una vicenda simile sembra più un sogno avventuroso che una sofferenza immeritata. L’empatia latita… un vero peccato. Difetto molto comune, comunque, alle storie che puntano all’idea forte per attirare la curiosità e ottenere l’attenzione dello spettatore (tipico della fantascienza, per esempio). In ogni caso poteva andare molto peggio di così: il protagonista poteva essere apertamente una merdaccia insopportabile e lamentosa. Accontentiamoci.

Rispetto alla solita storia di “tizio finisce in un mondo fantasy” abbiamo subito qualcosa di diverso, e più interessante: il personaggio inventato di un anime fantasy finisce dentro al nostro mondo. E poi come mai la tizia in uniforme, guardando Sota, si stupisce come se lo riconoscesse? Solo perché viene dal mondo normale, o c’è altro? Cosa sa lei che Sota e Selesia non sanno? Altri interrogativi che aiutano a dare spessore alla storia.

La storia infatti riguarda proprio qualcosa che la tizia sa, e all’apparenza è questo: le storie che inventiamo nel nostro mondo, diventano mondi reali. O perlomeno influiscono su quei mondi. E visto che le storie che inventiamo sono piene di conflitto e sofferenza, noi siamo responsabili della vita d’inferno di tutte quelle persone. Come suggerisce Meteora, una maga e bibliotecaria proveniente da un videogioco, forse anche il mondo di Sota è frutto della narrazione di un altro mondo… il che è vero, viene dal nostro. E noi da dove veniamo? ^_^

Lo scopo della tizia in uniforme è convocare più personaggi possibili di anime e videogiochi nel nostro mondo, far conoscere loro la verità orrenda sulla loro origine e convincerli a usare la forza per obbligare i propri creatori, gli “Dei”, a migliorare i loro mondi. Dal punto di vista di un personaggio inventato, obbligare il “Dio” del proprio mondo a correggere lo schifo che ha fatto è semplicemente ragionevole.

Noi avremmo parecchie cose da dire all’ideatore della nostra ambientazione, per esempio, ma facciamo porcate ben peggiori nei mondi che inventiamo con le nostre storie… per cui siamo pari? Come la vittima di nonnismo che poi diventa nonno e il cerchio prosegue in eterno? ^-^

Immaginate se Barbara Ann di Caligo piombasse nel nostro mondo per andare dal suo creatore, Alessandro Scalzo. Secondo me gli direbbe:

“Mi hai fatto infilare così tanta roba nel culo che a neanche 30 anni già perdo stronzi per casa!”

E gli pianterebbe un paio di proiettili nel petto.

Non è nulla di troppo originale, ma lo è quanto basta: quante serie con questa esatta idea di fondo ricordate negli ultimi anni? A tema universi paralleli, in cui i personaggi di un universo sono i protagonisti delle storie di un altro, e viceversa, c’è per esempio il fumetto Multiversity di Morrison del 2014, ma per chi lo conosce è molto diverso dall’idea di questa serie (per quel che si capisce). Il minimo comune denominatore di entrambi è solo l’adesione a una qualche variante dell’idea di multiverso resa celebre dal fisico Hugh Everett III nel 1957, ma quel che conta sono i dettagli esatti di svolgimento sull’idea base.

Interessante come i personaggi mantengano nel nostro mondo parte delle loro abilità speciali. Continuano a saper volare, come nei loro mondi, per esempio. Selesia riesce a guidare un’automobile rubata senza problemi, con la scusa che abbia comandi meno complessi del suo mech: classica scusa da anime, di cui ha portato un po’ della logica nel nostro mondo. Mi ha ricordato Capitan Carota nel fumetto di Morrison, quando sfrutta la sua “fisica da cartone animato” per resistere senza problemi ai colpi del nemico in un universo parallelo più simile al nostro.

Ma non va sempre tutto liscio. La maga Meteora non riesce con la magia a riparare la finestra rotta di Sato, nonostante riesca a volare. La maghetta Mamika, proveniente da una storia a base di maghette che combattono per il bene e stronzate simili, rimane sconvolta dopo il suo combattimento con Selesia per i danni che ha causato attorno a sé… e per il sangue.

Nel suo mondo nei combattimenti non si sanguina quasi mai. In più viene dal genere di storia in cui i combattimenti fanno “cambiare idea all’avversario sconfitto” ed esce di testa quando capisce che quello con Selesia sarà uno scontro mortale, non un’allegra scazzottata magica con lieto fine. Questo concetto, la differenza tra i meccanismi del proprio mondo narrativo e la realtà, fornisce diverse possibilità per rendere interessante la serie.

Storia con molto potenziale, sviluppata nei primi due episodi con intelligenza sufficiente. A mio parere la migliore serie nuova di questa stagione, ma di difficile gestione. Il protagonista piatto e debole, impotente rispetto agli eroi evocati, può risultare un handicap per la storia.

Il fatto che si vergogni di cosa disegnava in passato, come vediamo nell’episodio due, e sia bloccato nel farlo ancora, potrebbe contenere il suo difetto fatale su cui potrà ruotare la storia e il suo cambiamento. E forse questo può nascondere anche il suo ruolo reale, la sua chance per essere meno inutile. Non resta che aspettare e vedere.

A domani per il post sul prossimo anime: Granblue Fantasy.

11 Replies to “Incipit d’anime: presentazione e “Re:Creators””

  1. Non è colpa mia, me l’ha detto uno scrittore di gialli che bisogna maltrattare i propri personaggi senza pietà.

  2. Re:Creators sembra interessante, ci darò un’occhiata.
    Anche a me era piaciuto molto AnoHana, anche se con qualche riserva su un aspetto del finale. Pensi di dedicargli un articolo prima o poi?

  3. quante serie con questa esatta idea di fondo ricordate negli ultimi anni?

    A tema “il personaggio fittizio (?) cerca di incontrare il suo creatore per fargli cambiare idea” c’è il film Stranger than fiction/Vero come la finzione (sigh) del 2006: il protagonista da un giorno all’altro inizia a sentirsi in testa una voce femminile che commenta tutto quello che fa con un linguaggio forbito e ‘letterario.’ La situazione precipita dopo il di lei commento: “Se solo avesse saputo che quella semplice e apparentemente innocua azione avrebbe portato alla sua imminente morte…”
    È proprio questa frase a convincere il professore di letteratura, a cui il protagonista si era nel frattempo rivolto, che questi non è un povero schizofrenico, ma ha davvero un narratore onnisciente che lo segue come un fantasmino. Dopo averlo all’inizio gentilmente sfanculato dicendogli che era troppo insulso per poter essere il protagonista di un romanzo ^^’
    In questo caso però l’autrice vive nello stesso mondo dei suoi protagonisti – tutti quelli della mezza dozzina di libri che ha scritto, e prontamente ammazzato ^^’ -.

  4. Ok, quindi siamo a due prodotti diversi senza la medesima idea, ma se uniamo quel film a Multiversity di Morrison si completano a vicenda e viene l’anime. ^____^
    Quel film merita visione?

  5. Quel film merita visione?

    L’unica volta che l’ho visto è stato undici anni fa, ma in base a quel che ricordo direi: sì, ma non per meriti intrinseci della sua struttura. Da quel punto di vista è un onesto compitino hollywoodiano: il protagonista ha il suo fatal flaw, c’è l’immancabile lovestory ma riesce a non essere ficcata proprio proprio a forza…

    Ci sono momenti dove il film mostra un certo mordente: la scrittrice, una bravissima persona, ha condannato a una morte atroce un sacco di persone, costringendole a passare i loro ultimi giorni di vita confuse, terrorizzate e impotenti di fronte alla loro fine.

    Lo stesso professore, una volta letta la prima bozza del romanzo, torna dal protagonista dicendogli di starci, che è suo dovere crepare per l’Arte, e che quella morte darà un senso a una vita ordinaria come la sua (so’ tutti froci con il culo degli altri).

    Dopo il classico inizio scemino da commedia americana – uh uh, guarda, il protagonista sembra un pazzo che parla da solo! – diventa molto più serio nella seconda metà. Ma sembra sempre andare con il freno a mano (suppongo gli studios non volessero alienarsi parte del pubblico; i trailer lo spacciavano come mera commedia leggerina) e alcuni aspetti della premessa non vengono mai chiariti, su tutti: i protagonisti dei romanzi sono persone “vere”? “Esistono” davvero? Hanno libero arbitrio? Come fa la scrittrice a “sintonizzarsi” con le loro vite?

    Però ci sono anche momenti gustosi come quando il professore tenta di aiutare il protagonista, dicendo qualcosa tipo “ok, dobbiamo capire se sei in una commedia o in una tragedia!” e qualche riflessione meta sul creare storie – specie nel finale -. E Will Ferrell era al suo primo ruolo – almeno parzialmente – drammatico, con ottimi riscontri di critica.

    tl;dr: uno svolgimento abbastanza prevedibile ma una buona idea di fondo con alcuni spunti, seppur non completamente approfonditi, più originali della media hollywoodiana. Se riesci a trovare un paio di ore libere perché no ^^ Sono già pronta per gli insulti, nel caso XD è tutta colpa degli undici anni trascorsi!

  6. Veramente una bella idea questa nuova tipologia di articoli!

    L’idea di fondo è che i manga, i fumetti occidentali o i cartoni animati possono avere la stessa dignità narrativa di una tragedia greca, di un film o di un romanzo, soltanto se noi, per primi, pretendiamo gli stessi standard di qualità. Se noi per primi attribuiamo agli anime o ai fumetti delle “giustificazioni” se sono fatti male, perché tanto sono solo cartoni o solo fumetti, allora noi stiamo dicendo che non meritano di essere trattati con la stessa serietà con cui giudicheremmo Il Padrino o Macbeth. Se lo facciamo stiamo dicendo che l’intero mezzo espressivo del fumetto o del cartone non è alla stessa altezza del teatro o del cinema: stiamo disprezzando a priori il formato espressivo come “inferiore”.
    Ci sono anime meravigliosi, superiori a tanti grandi film, come il dramma Ano Hana, e sono grandi proprio perché sono realizzati con la serietà con cui si creano grandi opere con altri mezzi espressivi. Se avete pregiudizi contro l’animazione, non leggete questi articoli: io insegno a chi vuole studiare, e chi vuole studiare non ha pregiudizi perché ogni pregiudizio contro l’arte narrativa è solo un pregiudizio contro il proprio apprendimento. Chi ha pregiudizi fallisce.

    Grande, è così che si dovrebbe fare, la buona drammaturgia è sempre buona drammaturgia e (con gli adattamenti del caso) prescinde dal media con cui viene espressa. Parafrasando una celebre frase, si potrebbe dire che “ognuno ha la drammaturgia che si merita” xD.

  7. Questo me lo sono segnata :), grazie. Ho segnato anche il film di cui parla TerraNova.
    Ottima l’idea di questa rubrica, la seguirò con interesse.
    Spero di non averlo già chiesto in un vecchio commento e di essermene dimenticata (nel caso chiedo scusa :/, se è così non trovo il commento), qualcuno ha visto Sakamoto Desu Ga? Mi piacerebbe sapere che ne pensate.

  8. Carissimo Duca,

    ma i tuoi corsi sono esclusivamente per chi vuole cimentarsi nella scrittura o hai pensato anche a qualcosa per chi, semplicemente, vorrebbe approfondire i concetti per propria cultura personale?

  9. @Giovanni
    Vanno bene per entrambi, visto che si tratta delle stesse conoscenze: ciò che serve per capire come si scrive e analizza un’opera serve per commentarla (recensori seri per davvero), per giudicarla e aiutare a svilupparla (editor) o per idearla e scriverla (autore). Magari al recensore interessa di più la struttura e meno la scrittura, allo scrittore il contrario, mentre l’editor in teoria deve bilanciare entrambe le cose per poter supportare l’autore sia nel modo in cui scrive che nello sviluppo delle sue idee. Ma la teoria è la stessa per tutti, e non può essere altrimenti.

    È come il discorso del “corso per editor” o “corso per scrittori”: già l’idea che vi sia separazione è folle, visto che le conoscenze sono le medesime.
    Quello che cambia è solo l’ulteriore specializzazione successiva: il primo deve specializzarsi nel poter fornire idee e commentare qualsiasi storia senza alcun pregiudizio, basandosi solo su criteri tecnici, mentre il secondo non ha motivo di preoccuparsi se ha pregiudizi, gli basta scrivere solo di storie e argomenti che gli piacciono e può occuparsi e specializzarsi solo su quelli.

Comments are closed.