Sei andato al cinema, il film finisce e a te non è piaciuto molto. L’idea è carina, gli attori erano bravi, il finale ci stava, ma per qualche motivo non ti è piaciuto. Uscite, un tuo amico ti fa “Che figata! A te come è sembrato?” e ora devi trovare qualcosa per rispondere.
Puoi evitare l’argomento dicendo qualcosa tipo “Sì, carino, non mi ha entusiasmato, ma è carino” e se quello incalza per sapere cosa non ti ha entusiasmato, puoi tagliare corto con una stronzata tipo “No, non è colpa del film, è che avevo altro per la testa e non era serata”.
Ma se invece ne vuoi parlare? Il problema è che non sapendo cosa non andava perché non hai conoscenze tecniche nell’ambito da impiegare per decifrare le origini del tuo disagio, devi cercare di capirlo da solo. Andare a sensazione.
“Ma, non so, è che mi è sembrato un po’ forzato l’inizio…”
“Cioè? A me torna quello che fanno, cioè, se non saliva sul furgone crepava!”
“No, non intendo quello. È che è come se ingranasse solo dopo.”
“Ma se è pieno di inseguimenti e azione fin da subito!”
“Sì, hai ragione. È che intendo dire che… boh, non so, mi sembra che la recitazione non fosse granché.”
“Ma la protagonista era bravissima, io alla fine mi sono commosso!”
E andate avanti così per un po’. Magari anche per un’ora. Tu non sai cosa davvero non andasse. Lui non capisce cosa non ti è piaciuto. Nell’insieme a lui sembrerà solo che vuoi trovare scuse per dire che non era bellissimo anche se ti è piaciuto, oppure che non era nei tuoi gusti anche se il film è perfetto così. Sei solo uno che vuole criticare qualcosa perché fa figo trovare da ridire, insomma.
Avete parlato, ma non avete comunicato.
Quello che forse avresti voluto dire è che l’attrice era brava, il personaggio andava bene e aveva solide motivazioni per agire, come anche i suoi antagonisti, ma all’inizio del film non sei riuscito a provare Empatia per la protagonista perché è un personaggio molto duro e spregiudicato, un’autentica stronza opportunista, e la prima azione “condivisibile” gliela vediamo fare solo mezz’ora dopo che è iniziato il film.
Se non la “capiamo”, se non siamo abbastanza con lei da accettare le sue azioni come necessarie, significa che la storia non è riuscita a presentarcela in modo adeguato: perfino il più stronzo degli stronzi, dal proprio punto di vista, si ritiene OK. Il fatto di aver scoperto il doloroso passato della protagonista e le sue motivazioni solo a metà film, non ti ha aiutato a fare il tifo per lei o anche solo a capire a fondo la vicenda. Questo era quello che avresti voluto dire, entrando ovviamente nei dettagli specifici.
E il tuo amico magari avrebbe risposto “Eh, sì, hai ragione. A me i personaggi stronzi piacciono lo stesso, però ho capito il senso.” Non è molto meglio riuscire a comunicare ciò che si prova e farsi capire, invece di litigare? A meno che tu non ti sia spiegato male. O che il tuo amico sia un coglione che non capisce i concetti nemmeno se glieli reciti usando due calzini sulle mani per fare i personaggi che dibattono (in tal caso per fare pace puoi regalargli una replica della meravigliosa lightsaber di Kylo Ren).
Ti rivelo un piccolo segreto: quando c’è un problema ci sono pochissime risposte “giuste” per identificarlo in modo più o meno approfondito, ma ci sono infinite risposte sbagliate. Avere conoscenze tecniche in un dato settore (sceneggiatura di una storia, per esempio) permette di pescare più facilmente la risposta dal gruppetto di quelle sufficientemente corrette, evitando buona parte degli errori possibili, invece di frugare nelle infinite risposte senza senso che probabilmente peggioreranno solo la discussione, come nell’esempio visto prima.
E ora un secondo piccolo segreto: si può studiare e imparare abbastanza facilmente come analizzare una storia, per esempio un film, quanto basta da riuscire a giustificare per quale motivo qualcosa non ti piace oppure per quale motivo qualcosa che ti piace può dipendere oggettivamente dal tuo solo “gusto” mentre tecnicamente è fatto male. Ci piacciono un sacco di schifezze e di cose opinabili, siamo sinceri, tutti abbiamo la nostra nicchia di gusti che al 95% e più dell’umanità fanno pena: non ha senso fingere che non sia così e rifiutarsi di dare il peso corretto a ciò che ci piace o non ci piace solo per le nostre fissazioni.
Se io sono un amante dei coniglietti e posso guardare per tre ore coccolosi coniglietti che fanno cose coccolose, un soggetto normale dopo qualche minuto inizierà a soffrire per la carenza di trama della vicenda. Un grande film sa prendere un argomento di cui pensi non ti freghi granché, drammatizzarlo, renderlo personale, dotarlo di un qualcosa di innovativo e scatenarti emozioni che lo renderanno davvero interessante.
Capire quando qualcosa ci piace solo perché tocca i nostri gusti (e quindi funziona solo con i pochi altri come noi) e quando ci piace perché è fatto bene a livello generale (ovvero tocca meccanismi che funzionano quasi con tutti) è un passo avanti enorme per avvicinarsi al poter discutere seriamente con qualcuno, magari traducendo in termini tecnici e capendo cosa l’interlocutore non ha gradito e a noi invece non è pesato.
L’alternativa è blaterare pescando nel grande mare delle infinite risposte sbagliate, e magari lanciare perle come “i cliché sono un pregio nei film” o altre cose che permettono a chi si occupa di storie di individuare i pirla in meno di dieci secondi. Con 2400 anni di teoria a supportarci in un campo artistico ampiamente esplorato, non ci sono scuse per non studiare se si intende parlare di storie seriamente.
Uno spettatore sarà più facilmente disturbato da una storia poco comprensibile, con motivazioni flebili, personaggi piatti e cliché così continui che sai sempre cosa sta per accadere e a ogni istante pensi “già visto”, che da una recitazione mediocre o da una regia banale. Ci vuole una recitazione davvero cattiva, pessime luci, pessimi costumi, pessima regia ecc. per ottenere un responso forte dagli spettatori su questi argomenti di nicchia. Il bruttino non basta: lo accettiamo già come minimo tollerabile e lo ignoriamo.
Pensiamo ai grandi film che hanno fatto la storia. Guardandoli oggi spesso gli effetti speciali suonano ridicoli, e anche in tanti altri aspetti sembrano strani, datati: pensa alla recitazione un po’ troppo “teatrale” in certi colossal, e al trucco perfetto da sera di gala anche quando i personaggi dovrebbero essere conciati da stracci. Ma quando hanno grandi storie, profonde, che toccano le nostre corde interiori e ci emozionano, funzionano ancora oggi, nonostante abbiano dei limiti che non accetteremmo in un film moderno.
Se le uniche cose su cui quei film si reggevano fossero state gli effetti speciali e un attore all’apice della sua carriera, appena usciti avrebbero potuto pure sbancare al botteghino, ma col passare del tempo sarebbero diventati film senza appetibilità. La corazzata Potëmkin quando è uscita nel 1925 era un capolavoro tecnico, ma grazie alla sua storia cruda, toccante, e all’espressività dei suoi personaggi, è un film che si può ancora guardare con piacere… nonostante sia perfino un film muto! Forse Il Re Leone ormai non può competere con Frozen nel comparto grafico (molti spettatori direbbero che può al massimo competere con un anime mediocre), ma la sua storia, seppure non perfetta, può ancora risuonare negli spettatori.
Si possono spendere belle parole su tanti film che, anche senza sapere la data, fin dai primi istanti si capisce che hanno più di 30 anni: Ritorno al Futuro, Terminator, Orizzonti di gloria, Casablanca, Kramer contro Kramer… difficilmente tra mezzo secolo si parlerà con ammirazione di Avengers: Age of Ultron o di Passengers.
Sai cosa c’è di bello in tutto questo?
Che la teoria drammatica che sta dietro una grande opera teatrale come Casa di bambola, o dietro un film che ci scuote e cattura come Il Ponte delle Spie, è anche la teoria di costruzione di una storia che funziona con un romanzo. I romanzi non sono i parenti scemi del teatro: nulla vieta loro di venire realizzati con quella profondità del protagonista che caratterizza Amleto o con la durezza delle vicende di Macbeth. La teoria drammatica è nata col teatro, e per noi il testo fondamentale più antico è la Poetica, ma non è rimasta intrappolata in quelle unità di spazio e di tempo del palcoscenico in cui Aristotele l’aveva collocata.
Uno scrittore che aspira a realizzare bei romanzi ha tantissimo da imparare da grandi film e grandi serie televisive, e proprio nei film è più facile trovare grandi storie progettate con tutti i migliori canoni drammatici, perché tradizionalmente gli sceneggiatori studiano la teoria drammatica e gli scrittori di narrativa no. Il fatto che quello dei film sia un settore che muove molti soldi ed è quindi più competitivo, ha influito moltissimo: giocare sul serio invece di fare il dilettante diventa basilare per farsi strada.
Non c’è da stupirsi che molte persone trovino poco attraente l’idea di leggere, ma ben pochi snobbino a priori i film: la qualità dell’esperienza emozionale data dalla forza tecnica delle storie ha un peso tutt’altro che piccolo, soprattutto se pensiamo che i film hanno un handicap emozionale sull’interiorità dei personaggi che invece un bel romanzo non ha… ma quest’argomento merita un intervento apposito in futuro sulle differenza tra teatro, cinema e narrativa in prosa.
Uno sceneggiatore e uno scrittore sono sulla stessa barca, dal punto di vista della storia da progettare. Nessuno dei due ha qualcosa da imparare di utile per il proprio mestiere dall’atmosfera creata dalla fotografia di un film, o dalla bravura di un attore, o da quanto gli incassi al botteghino siano dipesi da grossi investimenti pubblicitari, e nemmeno dal fatto che il gradimento del pubblico sia stato influenzato da musiche meravigliose (es: il successo sproporzionato di Frozen). Scrive storie, non musiche e canzoni.
Quando lo sceneggiatore scrive, non ha idea di come la sua opera verrà realizzata. Non può contare su eccellenze da qualche parte per sviare l’attenzione da scene pensate male. Scrittori e fumettisti possono imparare dai bravi attori, e i fumettisti anche dai registi, ma su come “concretizzare” l’esecuzione dell’opera, non sul progettarla a livello drammatico.
Anzi, ancora peggio: una storia cattiva, magari per colpa di un sottotesto assente o traballante da recitare (ciò che non è scritto, ma che nasce da quanto scritto ed è ancora più importante di ciò che è scritto), o per colpa di dialoghi didascalici e legnosi, può compromettere la performance anche di attori bravi o molto bravi. Pensate alla differenza tra Richard Madden che recita in Game of Thrones e lo stesso attore ne I Medici (senza contare i problemi di doppiaggio e di sincronizzazione). Visto che abbiamo tirato in ballo quella serie merdosa: Dustin Hoffman ha fatto quello che poteva, ma siamo anni luce da ciò che ci ha dato in Cane di paglia e in Tootsie. Un attore può far rifulgere d’oro un grande personaggio o farlo sembrare di ottone ossidato, ma non può trasformare la merda in gioielli: c’è un limite a tutto…
Saper progettare bene una storia non assicura di fare un capolavoro, ma permette di evitare quegli errori che ucciderebbero anche le idee migliori. La corretta teoria drammatica sostiene ed esalta la ricchezza e l’originalità delle idee di un autore, lo guida nell’esplorarle per comprendere ancora più a fondo le proprie intuizioni originali, e lo aiuta a non sabotarsi da solo con decisioni insensate figlie di un “lampo di gegno” del momento. Originalità, disciplina e pazienza guidano il buon costruttore di storie.
Meglio concentrarci quindi su questi aspetti quando analizziamo un film. Gli aspetti che possiamo controllare quando progettiamo una storia, sia che debba divenire un romanzo sia che debba diventare una sceneggiatura da spedire ai tritarifiuti delle case di produzione o degli editori di fumetti.
Per gli scrittori di narrativa, o per chi disegna i fumetti che sceneggia, naturalmente poi si aggiungono tutti gli altri problemi: quelli di dover far recitare la storia con i mezzi della propria arte. Nel caso di un fumettista è un lavoro massacrante che unisce recitazione, fotografia, regia ecc. Ho una stima enorme per i fumettisti.
Chi scrive narrativa in prosa è risparmiato da tanti problemi che ha invece chi disegna, ma ne eredita altri: l’enorme difficoltà di rendere con poche parole ciò che apparirebbe visibile in un fumetto o in una manciata di fotogrammi di un film. La migliore storia può crollare sotto i colpi di una pessima scrittura, come sotto quelli di una recitazione dozzinale e di una regia demenziale.
Ci sono diversi modi per analizzare le storie, ma io darò la preferenza a uno in particolare di questi perché nel corso degli anni l’ho trovato più chiaro, elastico da applicare, e in generale compatibile con gli altri sistemi più di quanto questi altri siano l’uno con l’altro. Tant’è, infatti, che io lo uso arricchito con quanto di meglio dicono gli altri autori. Un metodo che permette di comunicare facilmente anche con chi preferisce metodi diversi, perché è molto basato sui concetti classici che tutti gli esperti veri devono conoscere: è un po’ come sapere l’inglese per andare a fare il turista nei paesi occidentali. È il metodo che di base faccio studiare ai miei autori di Vaporteppa.
Sto parlando di quanto insegna Dara Marks in L’arco di trasformazione del personaggio. Sembra rigido, ma non lo è: richiede precisione e questo può bloccare nei primi tempi, ma garantisce una grande libertà quando si impara a gestirlo in modo istintivo. Sembra un metodo vecchio e troppo classico, ma se questo significa trovarsi in buona compagnia con Il Padrino, Il Ponte delle Spie, Rocky, Dragon Trainer, Tootsie ecc. direi che è un difetto che si può benissimo sopportare. I migliori film ancora oggi lo adottano. ^_^
Vi basterà anche solo questo libro per cominciare a capire quando un film o un libro che non vi piace è “brutto” per colpa dei vostri gusti e non per proprie colpe intrinseche. Comincerete anche a capire qualcosa di come mai certi film pieni di idiozie e insensatezze siano in grado lo stesso di tenere incollato il pubblico e farlo appassionare. Chiunque è bravo a sfornare luoghi comuni su pubblicità, marketing e pubblico fidelizzato al brand, ma non basta solo questo per rendere un film digeribile al pubblico.
Allo stesso tempo chiunque è capace di prendere un film o un romanzo di merda, pieno di scemenze, e divertirsi a smontarlo (anche se magari in modo poco tecnico). Un po’ come si faceva con i fantatrash anni fa, nei tanti siti che imitavano male (ovvero senza il rigore teorico) Gamberi Fantasy. Anche se spesso nel criticare selvaggiamente dicevano anche idiozie senza capo né coda, tradendo che i “recensori” non erano migliori degli autori di cui si lamentavano. Raramente ho trovato blog in cui l’autore sapeva di cosa stava parlando quando criticava, o quando esaltava, gli aspetti di un’opera: Tapirullanza è una mosca bianca, peccato che ormai sia immobile da tempo.
Vale la pena analizzare opere da cui non c’è nulla da imparare? Secondo me no, è solo uno svago, un ozio per il tempo libero, e come tale non deve essere il centro d’interesse di chi vuole imparare. Un film dalla sceneggiatura brutta, ma con delle basi tecniche minime, può invece essere molto utile per capire come si poteva “salvare”… ricordate i ragionamenti fatti sul finale di Passengers?
Se non c’è qualche spunto costruttivo per parlare di qualcosa di utile, non penso che parlerò dell’opera. Proprio come ho fatto con gli ultimi due film discussi: articoli enormi soprattutto per le discussioni collaterali riguardo la credibilità di alcuni aspetti specifici interessanti.
Allo stesso modo parleremo di opere belle, ma questo non vorrà dire prenderle acriticamente per buone e ignorare i difetti. Se un’opera ha un difetto e questo difetto è affermabile come tale proprio in virtù di una solida teoria che si è dimostrata corretta, allora il difetto è doveroso indicarlo (se l’entità è tale da meritare menzione nel proprio discorso). Anche se adoriamo l’opera in esame.
«Uno dei miei film preferiti è Sette spose per sette fratelli. Quando lo analizzo mi è chiaro che presenta un inizio fantastico e un’ottima parte centrale, ma la seconda parte del secondo atto inizia a trascinarsi, mentre il terzo atto non risulta sufficientemente lungo da suscitare una reale suspense. Continuo ad amare questo film, ma sarei la prima ad affermare: “Non è perfetto”.
Amo Nuovo Cinema Paradiso ma i primi cinque minuti non sembrano essere messi a fuoco, la seconda parte del secondo atto scade (quanto Totò rimane sotto la finestra della sua amata, poi va nell’esercito), mentre il terzo atto è troppo lungo.
Non abbiate paura di criticare film stupendi o buoni. Potete rispettare un film anche se osservate che manca qualcosa.»– Linda Seger, story analist e insegnante a livello internazionale.
E, aggiungo io, saper guardare con occhio analitico un’opera amplifica il piacere dell’opera stessa portandolo su un altro, più profondo, livello. Proprio come diceva Umberto Eco riguardo la lettura.
Questo però non vuol dire cercare difetti a tutti i costi. Non c’è nulla di male nel dire che un film è fatto talmente bene che non c’è niente di sufficientemente negativo da meritare menzione. Se la teoria permette di dirlo, se davvero i difetti sono nulli (difficile) o di pochissimo conto (caso normale), si abbia la decenza di tacere invece di violare la teoria trovando errori che non esistono.
Chi trova errori che non vi sono perché pensa sia figo trovarne è intellettualmente piccolo quanto chi rifiuta ogni errore nascondendosi dietro il muro di “è solo un film” o “tanto è fantasy”. Quando si sente che ci sono errori, ma non si trova la giustificazione teorica per indicarli, è il campanello d’allarme del gusto personale… ovvero della cazzata, della fisima che nulla importa alla gran parte del resto dell’umanità. Solo un’applicazione rigorosa della teoria permette di accorgersi di quando i gusti annebbiano la razionalità…
… però va benissimo dire cosa piace o non piace “per il proprio gusto”! Anzi, va fatto: è molto utile per chi è interessato proprio al nostro gusto specifico di recensore. Basta saperlo e indicarlo in modo chiaro. Onestà intellettuale e rigore, né più né meno che merce rarissima. ^_^
Entreremo un pochino nel dettaglio sulla teoria insegnata dalla Marks in un articolo futuro, ma il consiglio è di comprare e leggere quel saggio. Capirete le mie analisi dei film anche senza averlo letto, probabilmente anche senza aver letto il mio articolo riassuntivo, un po’ come avete capito i discorsi su posta in gioco e fatal flaw in Rogue One e in Passengers anche se non avevate studiato quei due concetti. Però le mie analisi saranno degli esercizi a supporto sia di chi ha fatto o farà il mio corso a pagamento, sia di tutti quelli che preferiranno studiare da autodidatti. Guardare il film, provare ad analizzarlo da soli e poi leggere la mia opinione spero potrà aiutare chi è alle prime armi e fa fatica. ;-)
Dato che i film raramente sono “perfetti”, le risposte possibili ad alcuni aspetti tecnici possono oscillare (lo abbiamo detto prima che le risposte sufficientemente corrette possono essere diverse): sarò felicissimo di sentire le vostre ipotesi, quando discordano dalle mie, e vedere se sono solide e quindi accettabili.
I commenti sono qui per questo: per chi vuole partecipare, imparare e coi propri dubbi insegnare a me qualcosa di nuovo. Ho imparato moltissimo dalle domande e dalle intuizioni degli autori che ho formato negli ultimi tre anni.
Allora, siamo pronti a imparare assieme?
Sono d’accordo! Spesso quando discuto con i miei amici di un libro o di un film le risposte che mi arrivano sono sempre: ma sei solo tu che guardi i film analizzandoli, agli altri non frega niente; ma in tutti i film ci sono buchi di trama; ma guarda che questa magia è usata solo in questo contesto quando in realtà poteva risolvere l’intera trama solo perché l’autore voleva così; l’autore è famoso ed ha venduto un sacco di libri, tu non sei nessuno (questa è la peggiore è spesso mi viene ripetuta ad alta voce per non farmi parlare).
@Pino Mugo
Le cose belle che si abbinano col tagliarsi le vene come una American IPA si abbina con le patatine al lime e pepe rosa. XD
Caro Duca, siccome nulla accade per caso, proprio nei giorni in cui rifletto sulla chiusura del mio blog (decisa perché accortomi che “non ho gli strumenti per criticare realmente un’opera”) ecco che mi imbatto in questo tuo articolo, che definire interessante ed essenziale è un blando eufemismo.
Il processo del “distacco obiettivo” dai propri gusti è a parer mio un’operazione difficilissima e proprio per questo molto rara da trovare in giro. Nel concreto, io non mi vergogno dei miei gusti, anche quando so bene che mi piacciono delle cagate (che so essere tali), ma trovo invece impossibile – a tutt’oggi – “giustificare” (comprendere) chi non ama i Beatles o Alan Moore.
Seguo molti blog che parlano di fumetti, letteratura, musica, cinema e anche se li amo tutti quanti e provo una grande simpatia – in taluni casi affetto – per chi questi blog gestisce, devo ammettere che solo una minoranza di essi parla con vera, profonda “cognizione di causa”. Mi sembra che molti blog – compreso il mio quando ancora era operativo – non vadano molto oltre il “mi piace” “non mi piace”, condendo il giudizio con qualche considerazione spara e ben poco obiettiva.
Credo proprio che comprerò il libro che consigli in questo articolo e che proverò a studiare un po’ seriamente, perché in realtà mi piacerebbe moltissimo “riaprire” il blog e scrivere delle cose un minimo intelligenti, sensate e perché no stimolanti.
Grazie Duca e un caro saluto.
Leggerò volentieri il libro, grazie per la segnalazione.
Aggiungo un aspetto spesso sottoanalizzato dei fumetti (almeno quelli che leggo io), spesso, oltre a tutti i problemi evidenziati nell’articolo, si aggiunge la necessità di rispettare una rigida griglia di regole imposte dal personaggio.
Ad esempio per Tex ci sono decine di regolette da rispettare, dall’impaginazione, ai suoni, alle cose che si possono dire e fare e quelle che invece no etc.
Mi piacerebbe leggere un articolo sui fumetti magari in futuro.
Faccio coming out, appartengono alla categoria di quelli che sanno che SW è pessimo ma che poi sono sempre alla prima con il biglietto in mano a guardare le astronavi che fanno pew pew.
@Orlando
Quello è un ottimo manuale sì. Io poi ci aggiungo informazioni tratte e ricombinate tra di loro di una serie di altri saggi che segnalerò in un prossimo articolo. La Marks non si occupa dell’Empatia e della Posta in Gioco per esempio, e questi due concetti vitali non sono forniti in modo espanso e dettagliato in nessuno dei manuali che ho letto. Ho assemblato le sfumature e i pezzetti di teoria e li ho trasformati in una serie dettagliata di esempi nel mio corso.
Per il resto, al di là dei giudizi sull’opera in sé sfruttando la teoria per giustificare il parere, è possibile anche fare ottimi articoli parlando solo dai contenuti originali e dagli stimoli che fornisce, soprattutto con la Fantascienza (e un po’ meno col Fantasy). Gli articoli del blog A noi Vivi per esempio mi piacciono molto perché sono recensioni usate come spunto per parlare di cosa la storia ci dice di interessante e stimolante.
@Nicholas
Con Bonelli si aggiunge un altro problema. Bonelli impone la sceneggiatura ultra dettagliata, ovvero quella che viene considerata dozzinale e ridicola all’estero (vedasi McKee, Story). In una sceneggiatura Bonelli va indicato tutto, per ogni vignetta (usando poche variazioni sulla gabbia classica Bonelli). L’artista non ha diritto a decidere nulla, nemmeno la composizione, nemmeno dove un personaggio guarda o che espressione avrà… tutto è scritto prima.
Recitazione vincolata, senza alcun sottotesto per guidarla. Il disegnatore è ridotto a un misero esecutore privo di importanza (ma con i soldi che pagano a tavola, non c’è da lamentarsi: uno spera di fare dei lavori per Bonelli solo per i soldi, non perché si impari qualcosa o si possa fare arte nel modo in cui si può farla perfino alla DC, alla Xenoscope ecc.). L’immondizia, appunto.
A me piace la prima trilogia di Star Wars, l’ho indicato anche nel nuovo video:
https://www.youtube.com/watch?v=pUZpkI3UULs
I prossimi video saranno più corti e più veloci, con argomenti più dettagliati e lulz.
Sui fumetti, tempo fa vidi Fumettology, una serie di interviste/documentari dedicata al fumetto italiano. E’ al 90% una sviolinata pazzesca in cui tutti si fanno i complimenti a vicenda, ma involontariamente mostra alcune insensatezze o mostruosità della logica che adottano per creare le opere. L’episodio su Tex è proprio uno di quelli che mi fece facepalmare di più.
Tornando un po’ più in topic, l’empatia per quelle come me che amano gli stronzi è una brutta bestia :/. Bisogna fare attenzione perché o fai un pg che sta sul culo a tutti, e quindi nessuno lo leggerà mai, oppure lo fai che sta sul culo a te, e allora non hai più voglia di seguirlo.
L’Empatia non c’entra con la piacevolezza, ma con la piena costruzione di un personaggio che ci convinca che ha ragione per cui prendiamo le sue scelte per giuste. Finché lo giudichiamo esternamente senza capirlo, non siamo nel personaggio per davvero.
Sia Gomorra che Macbeth si basano su personaggi schifosi, che però vediamo dal loro punto di vista (Ciro e Macbeth) e nel confronto col loro ambiente li vediamo soffrire e anche essere meno peggio degli altri. Ciro è un mostro, ma la corretta scelta di azioni e contesto ce lo fanno sembrare molto meno peggio di quanto non sia e molto migliore della feccia che lo circonda. Ciro diventa il punto di concentrazione del “bene” nei primi episodi di Gomorra.
Gomorra non l’ho visto, ma McBeth non me lo ricordavo così maligno… Il che è probably segno che la sua costruzione del pg ha funzionato ^^’.
Macbeth è un militare competente in un mondo sanguinario che cade preda di un destino crudele e inarrestabile. Lo vediamo compiere azioni mostruose per proteggersi e lo vediamo preda dei cattivi consigli della moglie. Il più lo vediamo lacerato da un dolore fuori controllo per il male che è costretto a fare per sopravvivere, anche se non può smettere o pentirsi veramente. Il finale di Macbeth funziona perché per quanto siamo riusciti a provare sofferenza per il dolore di un mostro, non vogliamo che vinca… e neppure lui vuole davvero continuare a vivere così e il finale libera anche lui, oltre alla Scozia.
Ecco, in effetti lo ricordavo più “vittima” che “maligno” (letture dei tempi della scuola, per questo ho ricordi confusi) e per di più della sua “malignità” si dispiace lui stesso (e per di più ancora muore).
Sto cercando un esempio di pg maligno maligno, ma non me ne vengono in mente che poi non risultino simpatici al pubblico (es. Jaime del Trono di Spade: quando passiamo al suo POV tutti sembrano essersi scordati che ha lanciato un bambino dalla finestra XD).
Darò un’occhiata a Gomorra.
Caro Duca, visto che lo hai citato più volte nell’articolo (molto interessante come sempre) mi piacerebbe leggere un tuo commento/analisi su Frozen e sul suo “spropositato” successo che io, in quanto operatore del settore intrattenimento/giocattoli, ho potuto verificare di prima mano.
Un prodotto inizialmente venduto dalla Disney per la fascia “girl 3-9” che è diventato uno dei più grandi successi commerciali della storia del cinema, con un fatturato che a fine 2016 Forbes stimava in 8 miliardi di dollari di cui solo il 20% proveniente dagli incassi nelle sale cinematografiche. Tutto questo a fronte di un costo di produzione di 150 milioni. Considera che un altro prodotto di cui hai parlato, Star Wars è costato alla Disney 4 milardi di dollari solo per l’acquisizione dei diritti attraverso l’acquisto della Lucasfilm (per essere precisi la cifra include anche Indiana Jones e altri marchi minori).
Indubbiamente si tratta di un prodotto commerciale ben riuscito che però, secondo Wikipedia, ha vinto 58 premi cinematografici tra cui due Oscar, un Golden Globe e addirittura, primo cartone animato non giapponese a riuscirci, il Tokyo Anime Award.
Cosa ne pensi?
Grazie
N.B.; ti confesso che il film mi piace, e molto.
Sì, di Frozen parleremo in futuro, soprattutto perché è quasi la fotocopia di un altro film Disney precedente (Rapunzel) ma con canzoni più belle. E infatti è considerato il ritorno alle grandi canzoni della Disney.
Mi permetto umilmente, in parte, di dissentire, Rapunzel è il primo Classico Disney in CGI, e per questo i successivi gli sono debitori. La musica effettivamente non è paragonbile, l’autore delle canzoni di Rapunzel è il superclassico ma ormai stagionato Alan Menken (Aladdin, La Sirenetta e soprattutto La Bella e La Bestia) mentre per Frozen sono due giovani superstar di Broadway. La storia però è diversa: Rapunzel si conclude con il solito fidanzamento stile Cenerentola, benchè rivisitato in chiave moderna. Frozen è essenzialmente il racconto, secondo me bellissimo, del rapporto tra due sorelle, cosa che parzialmente si era già vista in Lilo & Sticth, ma che qui assume un ruolo centrale con un effetto, sempre secondo me, rivoluzionario (parlando di Classici Disney ovviamente).
Controlla il funzionamento degli alleati (tizio + alleato Renna / tizio + falso antagonista che diviene alleato Cavallo) e del tema dei personaggi segregati in un posto. Si trovano parecchie discussioni online che li paragonano perché è veramente lampante in parecchi elementi la somiglianza.
Ok, aspetto l’analisi con molto interesse (quella su Passengers era fantastica). Credo che sarà un piacere leggerla e, data la stima e la fiducia che mi ispiri, ti consiglio di rivederti entrambi i film prima di scriverla. P.S. Sven è una renna, non un alce.
@endroger
Non ti preoccupare, si parla di qualcosa solo dopo averlo analizzato. E sì, a parte che la somiglianza è argomento trito e ritrito di cui si parla ovunque da anni (avevo avuto dei sospetti quando ho visto Rapunzel due giorni dopo Frozen), vedendoli così vicini e conoscendo l’andazzo delle opere Disney negli ultimi anni (perché, tipo, le ho viste tutte in una settimana per ricordarle meglio e segnare appunti con comparazioni?), è evidente come anche il finale di Frozen sia una risposta più moderna al finale “poco moderno” di Rapunzel. Ma anche di questo se ne è parlato molto negli anni scorsi, mi risulta, per cui sto parlando di acqua calda.
Le cose interessanti da dire sono altre.
Sono d’accordo con te. Infatti io avevo chiesto, se possibile, un’analisi di Frozen “Oltre i gusti”.Poi tu hai tirato in ballo le somiglianza/fotocopia con Rapunzel, cosa che, visto la tua intelligenza e preparazione, mi ha fatto sospettare che dovessi approfondire l’argomento. Quindi mi sono permesso di replicare.
Assolutamente sì! Peraltro lo stesso problema c’è con la musica: a regolare e ordinare le musiche dalle “fantastiche ” a “ca***a pazzesca” ci sono dei principî teorici ben precisi, però nessuno li conosce, o loi ignorano giusstificando i giudizî solo con le emozioni.
PS anche Massacri Fantasy non era male, dài