Sono andato al cinema a vedere Passengers, un film di fantascienza (What If non possibile oggi, ma non impossibile del tutto) e d’amore (storia principale romantica) con elementi d’azione per legare le due cose perché, tipo, una nave spaziale guasta non si aggiusta con la Forza dell’Amore. Se cercate la merda tremenda dove la Forza dell’Amore è la quinta interazione fondamentale della fisica, dovete andare su quell’oltraggio all’intelletto umano che è stato Interstellar.
Questo articolo parla del film Passengers e quindi, come ovvia conseguenza, contiene spoiler. Per parlare di qualcosa bisogna che di quel “qualcosa” si parli, e l’unico modo di fare questo senza sprecare sia il tempo di chi legge che quello di chi scrive, è essere precisi e quindi fare degli spoiler. Per la fuffa rivolgersi altrove.
Metto anche questa volta l’indice perché è venuta una recensione un po’ troppo lunga, 12.500 parole, e che approfitta del film per trattare diversi argomenti:
Se pensi che “un film è solo un film”, che qualsiasi idiozia vada bene e che bisogna proibire di criticare a chi non vuole farsi trattare dai Grandi Produttori come un povero imbecille, non leggere l’articolo. Sul serio, perderesti solo tempo. Stesso discorso se pensi che tutto sia giustificato “perché sì perché è fantascienza”, questo articolo non fa per te. Però leggiti questo brevissimo post e valuta se migliorare la tua vita o se rimanere intrappolato nella tua triste condizione di “schiavo grato al proprio schiavista”.
A tutti gli altri: buona lettura!
Se non funziona prova qui ▼
Prima di passare alle considerazioni sul contenuto del film, chiariamo un punto: questo è un film di fantascienza. Se togliamo il What If fantastico (nave che viaggia per decenni con passeggeri addormentati), dobbiamo buttare tutta la storia, non si salva niente. Questa è la definizione di necessità del What If. Come tipologia di azione, invece, si colloca a metà tra la storia romantica e quella d’avventura. Il tono è quello classico della storia drammatica, che si pone a metà tra commedia e tragedia.
Non bisogna confondere il “genere” legato al What If con quello legato allo svolgimento drammatico. Lo vedo fare di continuo nei blog, da anni, ed è il marchio dell’autentica confusione mentale sul concetto di genere. Una storia può avere What If Impossibile (Fantasy), Possibile (Fantascienza), Impossibile-reso-Plausibile (Science-Fantasy) o Reale (mondo di oggi o storico) e poi essere anche Azione, Avventura, Thriller, Romantico ecc. d’altronde in qualche modo dovrà pur svolgersi la storia, no?
Rambo è nel mondo Reale, è Azione ed è Tragedia. Passengers è nel mondo Possibile, è sia Romantico che Azione (direi 70 e 30 più che 60 e 40) ed è Drammatico. Una spia e mezzo è nel mondo Reale, è Azione ed è Commedia (molto spinta, creando quella realtà assurda tipica dei film comici).
Ne parleremo di nuovo, con maggiori dettagli, quando discuteremo come sia molto più elegante seguire il consiglio di grandi maestri come Lajos Egri di concepire i generi a partire dalla divisione greca Commedia-Tragedia e sommare gli extra sopra questa divisione. Vedremo come gestire il ragionamento con “tre” semplici classificatori (e un poco di logica sfumata, sì, anche sui What If) ci eviterà di annegare in un bicchiere d’acqua.
L’amore per i valori booleani, estremamente rari nei ragionamenti che nascono da questioni pratiche (il mondo reale è popolato da discussioni che richiedono la logica sfumata), unito agli errori di linguaggio per cui si scambiano le parole per i fatti e si confondono i limiti dei nostri linguaggi per la realtà fisica stessa (grazie Wittgenstein), sono i due grandi drammi delle discussioni che portano tanti soggetti normodotati a sembrare degli androidi bloccati in un loop di ragionamento inconcludente.
La scuola fa di tutto per generare e mantenere questo stato di pensiero disfunzionale che impedisce ai ragionamenti di sopravvivere all’incontro con il mondo reale.
Riassumo la vicenda, così anche chi non ha visto il film può seguire. Il consiglio, come sempre, è di vedere prima un’opera e poi “approfondire” con gli articoli, senza farsi influenzare dagli articoli nella decisione di cosa vedere (e poi il mio è pieno di spoiler):
La nave Avalon è in viaggio dalla Terra alla nuova colonia Homestead II con un carico di 5000 passeggeri e 258 membri di equipaggio. Buona parte di questi passeggeri hanno un biglietto di sola andata, per colonizzare il pianeta. Il viaggio deve durare 120 anni e tutti quanti sono ibernati in capsule che impediscono l’invecchiamento.
Jim è un ingegnere con competenze, parrebbe, in elettronica, informatica e meccanica. Vuole andare nel nuovo mondo perché lì un ingegnere tuttofare può essere un figo, mentre sulla Terra è uno sfigato. Sfortunatamente per Jim la Avalon passa dentro un campo di asteroidi e l’impatto contro una roccia molto più grossa delle altre fa cedere momentaneamente lo scudo d’energia frontale, con cui la Avalon si fa strada a mo’ di ariete, e si verifica un guasto.
La capsula di Jim si apre e lui si sveglia 90 anni prima del previsto. Sono passati solo 30 anni di viaggio e i passeggeri era previsto che si svegliassero solamente 4 mesi prima dell’arrivo, per ricevere istruzioni negli appositi corsi di preparazione e per godersi la vita in stile crociera di lusso della Avalon.
Jim cerca di trovare un modo per tornare a ibernarsi, ma non è possibile. Dopo qualche mese di solitudine, con l’unica compagnia del barista androide Arthur per fare due chiacchiere, Jim inizia a perdere il senno e arriva quasi a lanciarsi senza tuta nello spazio per farla finita. A questo punto, rinsavito subito prima di ammazzarsi, vede Aurora in una delle capsule e ha un colpo di fulmine.
Jim studia tutto il materiale di Aurora che riesce a trovare, legge tutto quello che ha scritto su cui riesce a mettere le mani (è una scrittrice e giornalista) e dopo mesi di tentennamenti, ormai reso folle dall’ossessione per Aurora, decide di manometterle la capsula per farla uscire. Sì, esatto: obbliga Aurora a condividere il suo destino di isolamento, le ruba la sua scelta di raggiungere Homestead II, con lo scopo di poterle infilare il pene nella vagina. La forza dello stalking dell’amore?
Aurora si sveglia e Jim le fa credere che la sua capsula si sia aperta per un incidente. Fa anche giurare all’androide Arthur di non dire nulla ad Aurora, perché è un segreto. Aurora si ritrova obbligata a vivere con questo tizio e dopo un primo periodo di disperazione per quanto le è accaduto, precipita ovviamente tra le braccia dell’unico essere umano che può confortarla. Il piano di Jim, insomma.
Dopo un anno dal risveglio di Aurora, quando Jim sta per chiederle di sposarlo, a causa di una battuta di troppo con Arthur questo si trova sciolto dal suo vincolo al segreto e dice ad Aurora cosa è successo. Aurora la prende molto bene, a parte la nausea e una momentanea cecità da stress. E la furia omicida, con cui si trova a un pelo da uccidere Jim mentre lui sta dormendo. Si trattiene dall’ammazzarlo, ma non lo può perdonare per averle distrutto l’esistenza.
Nel frattempo i guasti nella nave, che erano proseguiti nel corso dei due anni trascorsi, diventano sempre più gravi al punto che perfino la gravità artificiale data dalla rotazione si disattiva per circa un minuto. Fortunatamente si è svegliato poche ore prima Gus, il capo tecnico, pure lui dotato di un’infallibile capsula difettosa. Su 5256 persone ancora addormentate si sveglia proprio uno dei meccanici. Che culo!
Gus è dotato di un pass di livello molto superiore che gli permette di andare dove Jim e Aurora non potevano, incluso il ponte di comando dove può controllare la diagnostica della nave. È un disastro, presto salteranno perfino i sistemi di controllo del reattore a fusione nucleare. Inizia la corsa contro il tempo per salvare la nave e Gus non può essere d’aiuto perché la sua capsula difettosa lo ha distrutto, il suo organismo è pieno di necrosi e nel giro di poche ore crepa. Jim e Aurora devono fare da soli.
Scoprono i buchi lasciati dagli asteroidi colpiti due anni prima e seguendo i fori arrivano alla roccia delle dimensioni di una palla da bowling che si è conficcata nella sala di controllo del reattore a fusione e ha tranciato una fetta del computer che lo gestisce. Sostituire la componente guasta e riavviare il raffreddamento del reattore non basta: bisognerà aprire manualmente il tunnel di scarico del calore. Una missione praticamente suicida che Jim si accolla.
Aurora di fronte alla prospettiva di rimanere da sola per tutta la vita, e di fronte al maschio eroismo di Jim, lo “perdona” e gli chiede di tornare da lei. Jim salva la nave. Aurora salva Jim recuperandolo nello spazio. I due vivono felici e contenti nella nave il resto delle loro vite e 88 anni dopo l’equipaggio si risveglia come previsto. Fine.
Che bella storiella, nevvero?
Ora entriamo un po’ nei dettagli.
Prima di occuparci dei dettagli fantascientifici e della coerenza, guardiamo la costruzione dell’opera a livello drammatico, una cosa che serve anche a chi vuole scrive romanzi, non solo agli sceneggiatori. Cercherò di essere breve.
Per un ripassino su fatal flaw e posta in gioco, leggi le due sezioni dedicate nella recensione di Rogue One. Oppure, per uno studio approfondito sulla costruzione delle storie, iscriviti al corso che ho realizzato, lo stesso che seguono tutti gli autori della collana di fantascienza e fantasy che dirigo, Vaporteppa.
Passengers è una storia con due forti personaggi principali che condividono una storia sola, per cui la prima questione è domandarci se il protagonista sia uno solo dei due e l’altro sia un antagonista o un alleato oppure se sono entrambi, a livello drammatico, i due aspetti di un unico protagonista. Se sono un solo protagonista a livello drammatico, significa che devono affrontare lo stesso identico fatal flaw e vivere un percorso di cambiamento simile.
Presente il primo Arma Letale? Sia il poliziotto bianco che quello nero erano due declinazioni dello stesso fatal flaw, ovvero l’incapacità di dare il giusto valore alla vita: il primo aveva perso la voglia di vivere e la sua eccessiva audacia lo stava portando alla sconfitta, mentre il secondo era terrorizzato dall’idea di morire subito prima della pensione e la sua eccessiva cautela lo stava conducendo alla morte. Solo bilanciandosi a vicenda, imparando l’uno dall’altro, diventano una squadra in grado di vincere.
Il problema di Passengers è che anche se c’è un cambiamento, non c’è un fatal flaw. Le cose che accadono non sono causate o peggiorate dai protagonisti. Loro non hanno colpe e, anzi, appena capiscono che qualcosa di serio non funziona iniziano a impegnarsi correttamente per risolverlo.
Appurato che non c’è un fatal flaw in senso drammatico, ma solo dei problemi personali che però non incidono sugli eventi esterni (la nave guasta) della storia, ma solo su quelli di relazione tra i personaggi, proviamo a spostarci sulla posta in gioco, ovvero su cosa perderanno se non lottano. Qui le cose non vanno meglio.
Nell’ultima parte del film si tratta di una lotta per Sopravvivere, nel senso che se loro decidono di incrociare le braccia e attendere moriranno. Punto. Peccato che questo non c’entri niente con il resto del film, dove invece la posta in gioco pare riguardare l’Amore e il senso di Appartenenza.
A livello puramente teorico è un difetto passare da una posta in gioco a un’altra, anche se questo cambio avviene aggravando la tipologia di posta, ma non è questo il luogo in cui parlarne: la lezione sulla posta in gioco dal vivo dura quasi un’ora e mezza e lì si entra nel dettaglio sul serio, con esempi mirati. Se ti interessa perché è sbagliato cambiare posta in gioco in corso d’opera, frequenta il corso.
È un’ottima scelta che la storia parli di Amore/Appartenenza, visto che si tratta principalmente di una storia d’amore. Un Titanic in cui la nave si salva e i passeggeri dormono, però nello spazio! Io non ho niente contro le storie d’amore, anzi, seppure io non cerchi mai apposta di vederne, quando le vedo spesso non mi dispiacciono. Diciamo che non ero fuori target per questo film.
Come mai dico Amore/Appartenenza? Semplice, perché ci viene spiattellato durante il film.
Jim sappiamo che sulla Terra non si sente nessuno e allora emigra su una nuova colonia perché è sicuro che lì ci sarà bisogno di qualcuno che sa aggiustare le cose, non come sulla Terra dove le cose rotte si buttano (e qui uno può fare il collegamento su quando si rompe la relazione tra Jim e Aurora, ma poi la aggiustano). Jim da solo sulla nave non ha un modo per dare senso alla sua vita, può solo mangiare, giocare, guardare film e poco altro. Si sente inutile, vuoto, infelice, fino a quando per lo sconforto sta quasi per suicidarsi.
Il problema del risveglio come “incidente scatenante” è che è fin troppo personale: un incidente scatenante in una storia deve apparire come non davvero importante al protagonista, in modo che lo possa ignorare, come fa Luke nei confronti dell’Impero all’inizio di Star Wars 4, e solo dopo deve rivelarsi personale divenendo una “chiamata all’azione” (metà del primo atto, tipicamente). Tutto questo è spiegato nel dettaglio, con le precise motivazioni, nel mio corso.
Subito dopo aver valutato di uccidersi, Jim vede Aurora nella capsula e si innamora (minuto 25 su 107), come spiegato all’inizio. Il colpo di fulmine agisce da chiamata all’azione. Jim ha trovato un senso per la sua vita: trovare la felicità nell’amore e non nell’appartenenza a un mondo nuovo in cui gli ingegneri servono.
Dopo mesi di riflessioni e stalking digitale di Aurora, Jim ha capito che non può farcela da solo e che senza che lei sia sveglia con lui non ha un motivo per vivere. I tentativi di rifiutare la chiamata all’azione alla fine spariscono e anche se sa di stare facendo una cosa orribile, la fa: Jim insegue la posta in gioco per non perderla e sveglia Aurora. Non è realizzato bene, ma grossomodo suona così. La posizione dell’evento è corretta, siamo a circa il 25%, il confine tipico tra primo e secondo atto.
Aurora è in viaggio per trovare nuove storie, per vedere il futuro quando tornerà sulla Terra e si troverà 250 anni nel futuro rispetto a quando è partita (ok, di questa idiozia ne parliamo dopo), e nei video di addio delle sue amiche più care ci troviamo di fronte a questo brutale spiattellamento:
“Io ti prometto che penserò a te ogni giorno. Quando ti sveglierai io sarò morta, ma sappi che non ti dimenticherò mai. Sei la mia migliore amica. Non eri felice qui, lo so, ti stava tutto stretto. Sappi che non devi andare via per forza, quello che devi fare potresti farlo anche qui, ma se vuoi andare questo è il mio augurio: spero che troverai finalmente una persona che ti riempia il cuore e spero che la lascerai entrare. Spero capirai che non devi fare cose straordinarie per essere felice. Insomma, divertiti, rischia. Eh, ok, ti voglio bene Aurora. Ciao.”
Quindi Aurora non è al suo posto in nessun posto, perché deve trovare la felicità dentro di sé con l’amore. In effetti vediamo, prima che inizi a ricambiare i sentimenti di Jim, che non è per niente felice nemmeno quando non ha crisi di depressione pensando a dove si trova. Ha l’espressione sempre di una che caga ghiaccioli e si gode la vita come un palo acuminato nel culo.
Non è una posta in gioco ben gestita quella dell’Amore, visto che Jim lo Stalker ha vita facile a sedurre Aurora e lei non oppone troppa resistenza all’idea di fare sesso con un uomo bellissimo dalle grosse braccia muscolose. Non proprio il gobbo di Notre-Dame, eh…
Meno male che arriva la crisi del minuto 61 (grossomodo il midpoint, anche se è inesatto chiamarlo così in quest’opera) in cui la posta in gioco è all’apparenza persa. Jim ha perso l’amore di Aurora e Aurora odia da morire Jim. In teoria questa è l’esperienza di morte (piazzata a cazzo di cane, come fa Vogler), è la cosa peggiore che poteva capitare sul piano della posta in gioco considerata, ed è capitata perché il loro amore è sbagliato… è nato dall’egoismo di Jim, reso folle dalla solitudine, che ha trascinato in quell’incubo anche Aurora. Jim però non ha superato alcun fatal flaw, come pure Aurora non ha niente da superare. Semplicemente il loro “conflitto di relazione” li tramuta momentaneamente in nemici.
Questa crisi che serve a rimettere in discussione la posta in gioco all’apparenza mantenuta, ma non consolidata a causa del segreto che Jim “aveva in mente di rivelarle prima o poi”, è interessante per l’elemento di ironia drammatica: fin da quando Jim ha detto ad Arthur di mantenere il segreto sul risveglio di Aurora (minuto 37) sappiamo per certo che questo segreto verrà rivelato e quando sentiamo Jim dire l’idiozia per cui “non ci sono segreti tra lui e Aurora” (minuto 61) sappiamo che sta per esplodere il merdone. Jim non capisce quanto è grave il problema, noi invece lo abbiamo ben chiaro.
Qui ci sarebbe da sottolineare la mancanza di intelligenza di Jim, che prende sottogamba il problema. In teoria lui dovrebbe vivere terrorizzato dall’idea che Arthur dica qualcosa ad Aurora e avrebbe dovuto da tempo ordinargli di cancellare quanto gli aveva detto, oppure costruire un vincolo al segreto più complicato (con una password?) in modo che non potesse svelare il tutto per un malinteso.
Stupidità ancora più grave quando risponde che “non ci sono segreti” e poi se ne va subito in bagno, lasciando Arthur da solo a parlare con Aurora. Cosa pensava che sarebbe accaduto? Poteva almeno rimanere lì dopo l’errore (non è accettabile che non se ne accorga, è davvero un idiota) in modo da reindirizzare goffamente il discorso per impedire ad Arthur di dire cose pericolose. Ancora meglio, se Jim fosse stato una persona intelligente come ce lo vogliono spacciare altrove nel film, avrebbe dovuto ribattere con una battuta tipo “Ehi, proprio nessun segreto no! Tutti gli uomini hanno ricordi davvero imbarazzanti!” e poi deragliare il discorso su quando si era pisciato a letto a 14 anni dopo essersi scolato 6 birre di nascosto, o qualsiasi altra stronzata.
Qui vale la pena spendere un paio di parole sulla costruzione dell’empatia.
All’inizio siamo dispiaciuti per la situazione orrenda in cui è finito, senza averne colpe, Jim. Ci dispiace che stia uscendo di testa e che sia condannato a vivere in solitudine e diventare pazzo, o suicidarsi o morire senza aiuti al primo grave incidente che dovesse capitargli cadendo da qualche parte. Morire per la perdita di sangue o di sete dopo una frattura al bacino, cadendo durante una corsa come quando è scivolato sulla bottiglia?
Quando però Jim sveglia Aurora allora smette di essere moralmente giusto. Abbiamo capito che la follia lo ha reso egoista e pronto a tutto, e per Aurora finire a vivere da sola con un tizio ridotto in questo stato non è una bella cosa. Se lei lo rifiutasse troppo a lungo cosa potrebbe succedere? Se Aurora per qualche motivo arrivasse a detestare Jim, lui accetterebbe che l’unica donna su cui può mettere le mani non vuole fare sesso con lui? Forse per qualche mese. O un paio di anni. Non per sempre.
Aurora ha subito una sofferenza ingiusta per mano di Jim e in più la vediamo innamorarsi di lui, per cui, sempre col meccanismo dell’ironia drammatica, siamo lì a chiederci cosa proverà quando scoprirà che Jim si è comportato in modo mostruoso. L’empatia si trasferisce da Jim ad Aurora.
Sul piano della Sopravvivenza invece non c’è alcuna esperienza di morte, semplicemente c’è una salita verso il climax a base di rischi sempre peggiori, incluso il salvataggio all’ultimo secondo di Jim disperso nello spazio da parte di Aurora. Jim sa cosa fare per vincere e la paura di rimanere sola fa ritrovare ad Aurora l’amore per Jim, che per il suo eroismo lo perdona.
Nessuno precipita nei propri errori iniziali (non c’è un fatal flaw superato in cui ricadere) a causa di un evento atroce, il peggiore possibile, nel campo della mera Sopravvivenza, anzi, Aurora tira fuori il coraggio e agisce all’istante. Zero esperienza di morte, come detto. Credo che il cambio di posta in gioco sia stato il tentativo di simulare un’esperienza di morte (ma senza tracollo) da parte degli autori, per dividere così il secondo atto dal terzo. Un tentativo goffo e disfunzionale, che viola i principi di corretta progettazione e non significa niente. Meglio che niente, ma siamo molto lontani da una buona scelta!
In più, ancora più ridicolo, scopriamo che l’egoismo di Jim ha salvato tutti: se nel climax finale lui fosse stato da solo non avrebbe potuto salvare la nave… solo grazie ad Aurora che è già sveglia può farlo. Senza Aurora o Gus avrebbe scoperto di avere bisogno di un aiuto per tirare la leva solo quando non c’era più tempo di svegliare nessuno (dentro al tunnel, quando vede che la porta non rimane aperta da sola), col reattore che stava per esplodere in pochi minuti, e sarebbero morti tutti nonostante il suo tentativo.
Come dice la voce narrante di Aurora nel finale, ambientato 88 anni dopo, quando l’equipaggio di sveglia:
“Eravamo perduti nel nulla, ma ci siamo trovati a vicenda e abbiamo creato una vita bellissima, insieme.”
Tutti vivi perché lui è uno stalker.
E l’amore vince anche sullo stalking.
Che cazzo di relazione malata è?
La Avalon sul davanti ha una lunga asta da cui spunta uno scudo di energia che pare difendere la nave frontalmente e forse la avvolge in parte sui lati, perlomeno sul davanti. Ho trovato un po’ “eccessiva” l’idea che la Avalon incappi in un campo di asteroidi e che finisca addirittura contro uno così grosso da incasinare lo scudo, considerando quanto è vuoto di oggetti voluminosi lo spazio. Un campo di asteroide reale non è come quelli di Star Wars o simili, densissimi di roba: è una distesa di vuoto con i singoli asteroidi separati da migliaia e migliaia (o milioni) di chilometri. Colpirne anche solo uno richiede un notevole impegno.
Alla velocità a cui stavano andando, l’impatto con il sasso che ha bucato il computer sarebbe potuto essere ancora più catastrofico… evidentemente la velocità relativa tra i due oggetti era molto più bassa e la nave ha investito un oggetto che stava anche lui andando nella stesso direzione, seppure più lentamente (e infatti vediamo un impatto a velocità “modesta” nel film).
Cito da Cose di Scienza:
Il problema più serio è però rappresentato dalla velocità, poiché viaggiando nello spazio ad una velocità molto sostenuta si correrebbe un rischio molto elevato di collisioni con meteoriti, in quanto non sarebbe possibile evitare l’ostacolo che si ponesse improvvisamente di fronte. È vero che nello spazio corpi materiali di grosse dimensioni sono molto rari, al punto che si potrebbe ipotizzare di fare un lungo viaggio senza imbattersi mai in oggetti del genere, tuttavia anche la polvere impalpabile a quella velocità diventa abrasiva. Gli stessi atomi di idrogeno colpendo la navetta diventerebbero ioni rendendo radioattiva la navetta e l’equipaggio a bordo arrostirebbe in breve tempo. In verità anche in questo caso si potrebbe ricorrere a qualche stratagemma, come ad esempio quello di usare un laser di potenza per “spazzare” la strada antistante all’astronave, ma la cosa richiederebbe tecnologie molto avanzate e un ulteriore consumo di energia di non facile reperimento.
Fortunatamente la Avalon dispone della necessaria tecnologia grazie allo scudo frontale! In futuro forse parlerò ancora di scudi di energia passando dal “ok, ci sono, è un classico della fantascienza, non mi faccio domande” a un approccio un pochino più scientifico, con l’aiuto degli scritti a riguardo di Michio Kaku.
Lo scudo frontale in più agisce anche in un secondo modo, spiegato dallo sceneggiatore Jon Spaihts, ma intuibile osservandolo in azione mentre disintegra roba:
dato che non c’è un serbatoio del carburante a bordo, bisogna raccogliere l’idrogeno dallo spazio pressoché vuoto tramite lo scudo frontale e aspirarlo dentro la nave per fare in modo che il reattore a fusione rimanga acceso e fornisca propellente al propulsore ionico.
Un collettore di Bussard, insomma. C’era già in Stark Trek, sull’Enterpise, credo fin dalla serie originale. Non è molto credibile come metodo per ottenere tutto, tant’è che un propulsore ionico comunque richiede massa da emettere (la roba da cui strappare ioni) e per quanto poca non ha senso togliersi del tutto il serbatoio (al giorno d’oggi usano Xeno, un tempo Mercurio e si sta studiano il Bismuto). Non mi è chiaro come il reattore a fusione, che opera usando “idrogeno” (non proprio: i suoi isotopi deuterio e trizio), dovrebbe fornire del materiale idoneo al propulsore ionico. Qui magari mi può rispondere qualche lettore che si intende di fusione nucleare. Basta anche solo un’ipotesi vagamente sensata, così mi tolgo il dubbio.
Andiamo al reattore a fusione. Se consideriamo che il deuterio esiste in natura, ma il trizio non esiste libero in natura (decadimento troppo breve), suona curioso che non abbiano scorte di carburante da impiegare. Raccolgono generico idrogeno, disperso nello spazio praticamente vuoto, senza trizio e in buona parte temo anche privo di isotopi di deuterio, visto che il deuterio ha un’abbondanza isotopica di appena lo 0,0156% misurata negli oceani terrestri (cioè solo lo 0,0156% di tutto l’idrogeno è deuterio, 1 atomo ogni 6420 di idrogeno). Su Marte, dove si dice spesso che c’è un sacco di deuterio da raccogliere per i reattori, si parla comunque dello 0,078% d’abbondanza (“molto ricco” è un concetto relativo).
Non è grave e non rovina per niente il film. Fa niente, immaginiamo che sia un reattore a fusione diverso da come li immaginiamo oggi e che possa funzionare col poco che trova e stop… o che magari le scorte ci siano e lo scudo protettivo-collettore integri solo le scorte: hanno posto per i cinema, sale conferenze, fontane, piscine, suite di lusso ecc. e non per un po’ di carburante? Eddai, non prendiamo per il culo! ^_^”
Ora alcune cose non dette esplicitamente sui motori della nave e sul tipo di propulsione. La nave ha un motore a fusione nucleare, come attualmente se ne stanno sperimentando nella speranza di costruire le prime centrali vere e proprio (non di solo test) nei prossimi decenni, che fornisce energia a un propulsore ionico.
I propulsori ionici sono un’ottima scelta e sono un classico sia della fantascienza che degli attuali studi nel campo dei viaggi spaziali. In pratica si tratta di propulsori che possono funzionare per periodi estremamente lunghi, garantendo una spinta debole e costante. Nello spazio però non c’è praticamente attrito (a parte qualche piccolo impatto qui e là) per cui una spinta lenta e costante per lunghi periodi può portare a raggiungere velocità elevatissime.
Questa propulsione è confermata anche da Spaihts, sempre nell’intervista di prima:
I reattori a fusione sono alla base della nave e c’è un propulsore ionico in coda. Ovviamente si tratta di una nave a spinta costante, visto che il motore è sempre acceso.
Il motore della sonda Dawn, inviata nel 2007 a esplorare Cerere e Vesta, con i suoi tre propulsori ionici allo xeno, poteva raggiungere i 97 km/h in 4 giorni e questo è pari a una spinta costante di 0,000078 m/s2. Dopo un anno Dawn stava sfrecciando a 8850 km/h e aveva consumato solo l’equivalente di 56 litri di carburante, dice l’articolo linkato prima.
Vecchi test della NASA mostrarono che un propulsore ionico poteva operare per 3 anni e mezzo di fila senza alcun cedimento (venne spento a test concluso, dopo 30.472 ore) e senza avvicinarsi nemmeno vagamente alla rottura. La missione di Dawn in totale era pensata per durare 8 anni, di cui 5 anni e mezzo con i propulsori accesi: oggi è ancora in orbita attorno a Cerere e si era perfino valutato di usare lo xeno rimasto per mandarla verso un terzo obiettivo.
Come dovrebbe funzionare il viaggio di una nave spaziale tradizionale, senza motori a curvatura o iperspazio? Semplicemente così: la nave accelera per metà del viaggio e frena per metà del viaggio, in modo da trovarsi a velocità zero (o a quella prevista per inserirsi in una certa orbita) all’arrivo. Possiamo aspettarci, dato il tipo di viaggio, che la Avalon acceleri fino al 60esimo anno e freni dal 61esimo fino al 120esimo.
Non mi preoccuperei troppo della forma della Avalon con un davanti e un dietro preciso. È vero che deve mantenere lo scudo davanti a sé per proteggersi e raccogliere carburante, ma non è obbligatorio che si ribalti per frenare. Dalla forma della nave non è del tutto escludibile che i propulsori possano “girarsi” o anche solo “puntarsi” per spingere nella direzione opposta a quella attuale. Magari in modo meno efficiente, magari dovrà spingere per 50 anni e frenare per 70 invece di 60 e 60, ma è fattibile in almeno due modi (ruotando tutto il corpo dei propulsori oppure deviando la loro emissione). Non mi lamento, mi sta bene. Se la nave avesse avuto i propulsori infilati nel retro, ancorati al resto della nave in modo rigido stile vecchie Enterprise, senza quella lunga distanza di mezzo, allora mi sarei infastidito.
Forse la Avalon ha avuto una spinta ulteriore da parte di grossi razzi chimici prima di partire, ma suona superfluo: per smuovere la stessa massa (nave più razzi) è probabilmente più conveniente realizzare serbatoi di carburante più grossi, visti gli scarsi consumi di carburante. In più, quando vedrete di che velocità stiamo parlando, concorderete che qualsiasi eventuale contributo extra iniziale sia irrilevante per il conteggio dell’accelerazione media sui primi 30 anni.
Con quale accelerazione sta procedendo la Avalon? Una molto modesta si direbbe (seppure fortissima rispetto alla missione Dawn), giudicando anche da una delle ultime scene, quella in cui Jim finisce a vagare nello spazio. In realtà non è chiara quale sia l’accelerazione, visto che in quell’ultima scena sembra accelerare ancora più piano di quanto ipotizzeremo a breve noi, mentre in altri momenti sembra accelerare fino a raggiungere velocità impossibili per la Relatività. Ma ci arriviamo tra poco.
La nave sta viaggiando a metà della velocità della luce, ovvero a 150.000 km/s, circa, da quanto dice il capo meccanico Gus subito dopo il risveglio. Sono passati 32 anni e non sappiamo nemmeno in modo preciso se quel metà sia più verso un 45% o verso un 55%, per cui semplifichiamoci i conti e diciamo 150.000 km/s e 30 anni. Viene un’accelerazione che arrotondiamo a 0,16 m/s2 (oltre 2000 volte la Dawn) e ci appare credibile, considerando che ne è passato di tempo e di sviluppo tecnologico dalla sonda del 2007! Leggete la parte dopo dell’articolo su questo genere di colonizzazione: minimo sono passati almeno 2-3 secoli da oggi, probabilmente oltre mezzo millennio. Fin qui comunque tutto fila liscio e applaudo per la serietà degli autori.
Quando ci vengono forniti ulteriori dati però la coerenza interna inizia a scricchiolare. Quando Jim manda un messaggio verso la Terra scopriamo che il messaggio tramite “vettore laser” raggiungerà la Terra in 19 anni (distanza attuale: 19 anni luce), ma la risposta giungerà alla nave tra 55 anni (19 anni per raggiungere la Terra, altri 19 anni per tornare al punto di partenza e altri 17 anni per andare dove si trova ora l’astronave).
Quindi la Avalon tra 55 anni avrà percorso 17 anni luce in più. Uhm, qui già qualcosa scricchiola se consideriamo che già va a metà della velocità della luce e se continuasse ad accelerare per altri 30 anni potrebbe arrivare a velocità molto vicine a quelle della luce, prima di iniziare a decelerare.
Se invece smettesse di accelerare tra poco, poi proseguisse a motori spenti (mentre li ricarica col collettore?) e infine decelerasse nei 30-35 anni finali, avremmo comunque un problema: se anche mantenesse l’attuale velocità di crociera di metà della velocità della luce, tra 55 anni avrebbe percorso altri 27-28 anni luce e non altri 17. Non torna proprio e comunque non ha senso che deceleri adesso, prima di metà viaggio! Cos’era, uno scherzo per sprecare carburante?
I tempi sono tutti dati usando l’orologio interno della nave, ma comunque al momento gli effetti relativistici non sono sensibilmente grandi: a metà velocità della luce la massa a riposo della nave è aumentata solo del 15% per uno “spettatore esterno” e il tempo esterno è solo un 15% più rapido di quello interno alla nave. Se arrivassero a sfiorare 0,86 volte la velocità della luce, la loro massa sarebbe doppia (con tutto il costo ulteriore per continuare accelerare) e il tempo interno scorrerebbe a metà velocità.
Mi sono fatto fare i conti da Scalzo per sicurezza, visto che il mio rapporto pratico con la Fisica si ferma all’esame di Fisica Tecnica (al massimo possiamo parlare di entalpia).
Ma loro sono davvero a 19 anni luce? Forse no! Un anno dopo, mese più mese meno, quando Aurora si sveglia e i due piccioncini stanno vivendo la loro vacanza spaziale di abbuffate al ristorante, ginnastica e scopate, scopriamo che la Avalon sta passando a uno sputo dalla stella Arturo (o Arcturus o Actarus, come si preferisce) e questa stella dista circa 36 anni luce dalla Terra!
Quindi loro in un singolo anno hanno percorso, con accelerazione costante, 27 anni luce? La nave dopo aver percorso 19 anni luce in 30 anni ha dato un bel colpo d’accelerazione e sta andando a 27 volte la velocità della luce, seriamente? Non è possibile, letteralmente, in senso fisico. E infatti non è così. Poco dopo scopriamo che la velocità è metà di quella della luce che, come visto, è perfettamente credibile.
E qui ci torna comodo quanto detto da Jon Spaihts nell’intervista linkata prima:
Ci sono dei motivi per cui il film non indica una data precisa su quando questi eventi si svolgono, né indica in modo preciso la stella verso cui si stanno dirigendo. Questo perché volevo mantenere un po’ di licenza poetica e, soprattutto, evitare di impelagarmi nei calcoli su quanto a lungo ci sarebbe voluto per questi spostamenti.
Ah-ah, peccato che di nomi ne vengano fatti e vengano date velocità e distanze utili a permettere i calcoli e vedere che non torna niente. Complimenti. Va bene voler lasciare sul vago, ma che lo si faccia per davvero: era tanto difficile controllare i dati forniti, così espliciti, e guardare se erano coerenti tra loro? E nel caso tagliare ciò che crea problemi? Se uno non vuole fare conti, eviti i numeri!
Oppure non è solo colpa sua, e infatti subito dopo dice…
Detto questo, durante tutta la produzione sono stato una sorta di angelo custode del rigore scientifico. Talvolta ho avuto successo e altre volte ho fallito. Si vince qualche discussione e si perde in qualche altra discussione, ma nel complesso credo che abbiamo fatto un lavoro ragionevolmente buono.
Subito dopo l’intervistatore cita la stella Arturo e Spaihts si ripara dietro l’idea che forse ci si avvicinano per ottenere un effetto fionda gravitazionale, ma si corregge subito dicendo che probabilmente se uno va a metà della velocità della luce non otterrebbe maggiore velocità, al massimo forse un leggero cambio di direzione. Ma, in soldoni, precisa che quella scena è stata messa lì solo perché era bella da vedere. Un bellissimo inchino della nave alla stella, in stile Schettino… anche agli americani pare una grande idea, altro che vergogna italiana!
Quindi, ok, non indaghiamo sull’idiozia di passare così vicino a una stella gigantesca da farsi fondere la nave al solo scopo di ottenere qualche variazione di rotta tramite il suo campo gravitazionale…
Sì, direi che Spaihts si è accorto delle cazzate fatte, ma forse non sono colpa sua: c’è tutta la produzione in mezzo, ci sono gli attori, c’è il regista… è pieno di gente pronta a dirti “Ehi, citiamo Arturo!” oppure “Mettiamo lo schermo inquadrato, ci sta bene, e allora mettiamo dei numeri!” o anche “Metà della velocità della luce suona benissimo, vaffanculo i calcoli!” o chissà cosa. Sigh. Come spiegava Linda Seger: solo una sceneggiatura perfetta sopravvive a tutte le interferenze degli incompetenti e permette di realizzare alla fine un film a malapena passabile.
Quello delle navi che partono per arrivare molti decenni o secoli dopo, seppure non impossibile (a patto di disporre di quanto si vede in questo film), è un’idea poco intelligente per diversi motivi. A livello economico non si capisce come dovrebbe sostenersi o risultare interessante per qualcuno farlo e, se i viaggi sono solo al di sotto della velocità della luce e così lunghi, come anche solo possano sapere di dover fare il viaggio.
Immaginiamo che l’azienda tal dei tali scopra un pianeta di tipologia terrestre a 50 anni luce e mandi una sonda ad analizzarlo. La sonda ipotizziamo arrivi viaggiando a una velocità media pari a metà di quella della luce e in 100 anni sia lì. A quel punto la sonda raccoglie i dati, fa le analisi e manda il responso alla Terra: altri 50 anni inviando col vettore laser, se tutto va bene. Sono passati 150 anni solo per sapere se era davvero simile alla Terra e avere i video del paesaggio che vediamo nel film. Questo nella migliore delle ipotesi, e non è irragionevole pensare che il pianeta giusto lo becchino dopo 50 o 100 controlli. Orde di sonde in viaggio ovunque in un progetto della durata di mezzo millennio. Fantastico.
Nessuno si è accorto che ultimamente le azienda cambiano radicalmente o spariscono nel giro di pochi anni, tanto che ridiamo apertamente dei piani quinquennali modello Unione Sovietica? Nessuno ha letto, nonostante anni di inviti da parte mia, The Case for Mars di Zubrin e il discorso su come qualsiasi piano con un orizzonte superiore ai 10 anni è fuffa? È roba che non ha chance di sopravvivere ai cambiamenti decisionali, sono i progetti che si dice di voler fare solo per mettere a tacere chi si lamenta che non vengono fatti?
A qualcuno viene in mente la differenza tra tra il 2017 e il 1867? Considerando che il progresso tecnologico e scientifico sta andando sempre più veloce negli ultimi decenni, il rischio è che tra 150 anni la differenza sia simile a quella tra noi, oggi, nel 2017 e il 1300 di Dante Alighieri.
Il piano geniale, per questa azienda che fa piani economici SECOLARI, è di inviare una nave carica di persone in un viaggio di 120 anni (tempo interno, per la Terra passerà qualche anno in più in base alla velocità, come detto prima) e magari nel frattempo, come è ovvio avvenga, verranno sviluppate nuove tecnologie, magari addirittura Alcubierre Drive (o modi per alimentarli, se già esistono ma non basta l’energia per attivarli) e dopo 20 anni la prossima nave potrà partire e arrivare in 10 anni, e magari dopo altri 20 anni le nuove navi potranno comprimere e dilatare lo spazio ancora più rapidamente, o ci saranno autentici portali, e i viaggiatori arriveranno in pochi giorni.
Parti oggi per arrivare tra 120 anni ed essere così… la decima ondata arrivata, visto che tutti quelli partiti dopo sono arrivati molto prima di te e, tipo, trovarsi a essere parte di un branco di disadattati storici, senza competenze per vivere nel nuovo secolo. Un peso che nessuno vuole, peggio degli emigrati dalla Siria oggi. Non vi viene in mente che forse inviare un ingegnere del 1860 a lavorare in una piattaforma petrolifera di oggi può creare dei problemi? O che non è furbo mandare un chirurgo del 1860 a lavorare in un ospedale all’avanguardia del 2017? E lo volete fare nel futuro, in mondi coloniali che avranno bisogno del meglio del meglio?
Il fatto che una cosa sia possibile sul lato della fantascienza, non vuol dire che lo sia automaticamente su quello economico, sociale e politico. Proprio ignorare tutti gli altri fattori rende troppa fantascienza fuffa semplicistica, robetta senza approfondimento o interesse per i lettori/spettatori che cercano opere intelligenti. Se a livello scientifico è fantascienza, in quello politico, economico e sociale spesso è fantasy o al massimo science-fantasy, e di tipo decisamente stupido. Per Dio, un poco di dignità!
Se avete difficoltà a cogliere i problemi di realizzazione sociale, economica e politica della navi che viaggiano secoli, soprattutto quando non stanno fuggendo da qualcosa ma sono solo una “scelta” come tante (come in Passengers, dove andar via è solo un’opzione come altre), siete messi seriamente male. Male almeno quanto lo sceneggiatore quando ha pensato che questi viaggiatori, come la giornalista Aurora o l’ingegnere Jim, vadano alla cieca solo perché non avevano di meglio da fare. La vita di Jim doveva fare davvero schifo per lasciarsi tutto alle spalle così (e non sembra proprio che lo facesse) e correre un rischio simile.
Il piano della giornalista poi è straordinario: avanti e indietro così passano 250 anni e lei avrà una storia straordinaria da raccontare! Ma cosa?! Se li è persi quei 250 anni, li ha passati dormendo e senza contatti con la Terra! Il suo inglese dopo 250 anni di evoluzione della lingua (pensate a come cambia rapidamente la vita e il modo di esprimersi oggi) suonerà agli altri come se fosse Giovanni Senzaterra a parlare.
Forse nella nuova Terra del futuro in cui finirà non ci sarà nemmeno il giornalismo. E comunque lei parla come se venisse dalle Crociate, se ancora ci fosse del lavoro, vi pare che verrebbe assunta? Sarà solo una disadattata incapace di vivere in quel mondo nuovo e di capirlo per parecchi anni, buona solo a rispondere a 30 euro l’ora agli interrogativi degli storici che cercano di decifrare il significato mistico dei riti religiosi di massa denominati “spot televisivi”. Magari troverà sulla Terra pure una popolazione di transumani con gli occhi da mosca e una mente alveare. Nessuno ha imparato niente dalla lettura di Guerra Eterna? GRANDE!
Altrettanto malmesso sarà il povero equipaggio, formato ora da tecnici e ufficiali che torneranno sulla Terra senza sapere più nulla del loro ambito lavorativo, trovandosi nelle condizioni di una ciurma di corsari del periodo napoleonico costretti a lavorare su una portaerei nucleare. Ammainate le vele atomiche! Ahrr!
Ho trovato bizzarra anche l’idea che i pianeti valgano uno sproposito di soldi, e valutano non ricordo quale cifra colossale Homestead II. Cifra ridicola e senza senso: un valore ha senso solo se è ciò che il mercato pagherebbe. Se hai un diamante colossale che tu dichiari valere 100 miliardi di euro, ma l’interessato più ricco offre 80 milioni di euro, il tuo diamante lo puoi tramutare in appena 80 milioni di euro se hai bisogno di soldi.
Avere un pianeta che vale una follia di soldi serve solo a metterlo nel bilancio, ma se non è monetizzabile per davvero non è davvero utile. Non può divenire denaro liquido. La compagnia può fallire pur continuando ad averlo nei beni, per dire, se nessuno lo volesse comprare. Ma fin qui, diciamo, siamo abituati già oggi a certe manovre per gonfiare il proprio valore aziendale, per cui ok così (forse i pianeti non li tassano sul loro valore quando vengono dichiarati? ^_^).
A nessuno suona un campanellino sull’editoria italiana in cui i grandi editori hanno un valore formato quasi esclusivamente dal valore di magazzino che a sua volta è formato nella quasi totalità da opere invendute e invedibili? Avere 200 milioni di euro “dichiarati” di libri il cui vero valore di mercato è “1000 euro” non rende l’azienda solida. E infatti crollano. Come crollerà l’azienda colonizzatrice qui se è già finita in questa tipologia di bolla economica, altro che piani economici secolari.
Da cosa viene il vero guadagno allora? A quanto pare, dice il film, dai costosi biglietti dei viaggiatori e dal fatto che i lavoranti utili dovranno devolvere il 20% fino alla morte dei loro guadagni alla compagnia. Già, peccato che quel 20% inizierà a svilupparsi dopo 120 anni e sulla Terra lo sapranno solo dopo che l’informazione sarà arrivata. Un piano di 180 anni, forse, prima di iniziare a ricevere qualche moneta? E quanto possono costare i biglietti se una semplice giornalista e scrittrice, per quanto economicamente ben messa, si è potuta permettere il Gold (andata e ritorno, addirittura) e abbiamo giardinieri, levatrici e ingegneri che comunque hanno ottenuto il biglietto base?
Se anche la media dei biglietti fosse di 1 milione di euro (non molto credibile visto che la massa di viaggiatori sarà di pestamerde che faranno lavori umili nella colonia), questo equivale ad appena 5 miliardi di euro. Sto calcolando tutto facendo finta che il potere d’acquisto sia quello di oggi. Così poco per una nave di quelle dimensioni che maturerà quella cifra in 250 anni di servizio (deve tornare indietro prima di avere nuovi passeggeri). Ma che modello di business è? Invece di 5.000 persone ospitate come in una crociera di lusso, dovevano caricarne 500.000 stipate a incastro come nelle navi negriere!
La questione con le storie in cui si può viaggiare solo più lenti della luce NON è che allora si colonizzerà alla cieca con navi generazionali, ma che realisticamente non si potrà proprio farlo. Controllare la popolazione (o ammazzare gli indesiderati) sarà più efficace che deportare gente in giro e abbandonarla senza più comunicazioni per sempre. Quei mondi, distanti secoli di viaggio e secoli di comunicazioni, sono persi e non farebbero nemmeno parte del mercato terrestre: isolati e condannati a evolversi da soli.
La cosa può aver senso dal punto di vista dei coloni inviati, se proprio vogliono stare soli, ma non dei terrestri che li invierebbero… e quindi non verranno mandati. Non mi pare complicato.
Non dico di non mettere certi elementi o di non fare certi tipi di ambientazioni, ma bisogna pensare bene a come rendere il tutto credibile. Come. Sempre. Nella. Narrativa. Fantastica. Non basta dire “eh, ma è un classico, se andava bene per storie di 50 anni fa allora è ok per me”, perché magari già 50 anni fa suonava stupido e nel caso specifico della tua storia suonerà stupidissimo.
Gente in fuga da un pianeta Terra in cui si sta bene, è solo un pelino affollato, pieni di soldi per pagarsi il biglietto, abituati a una società consumistica in cui possono avere di tutto (“le cose si buttano, non si aggiustano”), si fanno spedire per passare la vita in un mondo alieno dove faranno i contadini (vanno lì a creare un mondo nuovo, portando piante e animali terrestri) e saranno tagliati fuori per sempre dal mondo consumista che conoscevano (a meno che nel frattempo non si siano sviluppati Alcubierre Drive o portali dimensionali… ma vuoi mettere i costi di spedizione di Amazon col servizio DHL 30 Anni Luce? Altro che le spedizioni verso le isole!).
Prima bisogna trovare un motivo per cui le cose dovrebbero avvenire e solo dopo farle avvenire, non dire “perché sì perché è fantasy fantascienza” anche se non funziona niente e l’autore sembra uno scemotto che blatera corbellerie. Non che questa consapevolezza abbia mai fermato granché gli autori… ^_^
La prima considerazione è solo di mero divertimento: il problema a far coincidere logica e realtà di Arthur. Mi ha ricordato il problema di quelli, una minoranza ridottissima di lettori, che avevano dei problemi a seguire il discorso della Murgia perché non erano in grado da soli di “aggiornare” le premesse a mano a mano che scoprivano cosa la Murgia stava dicendo, per analizzare il suo reale ragionamento.
Invece si bloccavano e trovavano impossibile la realtà, che però esiste in quanto è la realtà… uno deve aggiornare il ragionamento logico, al massimo, non negare la realtà stessa. Arthur, proprio come quei rarissimi lettori, ha quel problema. E poi ci si stupisce quando dico che alcuni commentatori nei blog suonano così idioti da non sembrare più umani degli spam bot.
Ecco lo spezzone:
Da quanto ho capito vedendo l’uso degli ascensori in cui la gravità di riduce (avvicinamento al corpo centrale della nave), poi si annulla (raggiunto) e poi aumenta di nuovo, tutti gli ambienti di vita si trovano nelle tre grosse “gondole” rotanti: la grande piazza in uno, alloggi in un altro, magazzini in un altro ancora ecc. Però quando i personaggi vanno a controllare i danni nella sala macchine in cui si mettono a frugare alla cieca in un ambiente colossale, o perlomeno quando si trovano accanto al reattore a fusione, dovrebbero essere nel corpo centrale, a gravità inferiore.
Seguite il mio ragionamento. Ricordate la forma della nave? Ecco, quando il protagonista va ad aprire manualmente il tunnel di scarico del reattore, un semplice tunnel dritto che parte dal reattore ed esce puntato verso il propulsore ionico, possiamo vedere che ci troviamo nel corpo centrale. Molto vicini all’asse di rotazione. Qui trovate le formule per la gravità artificiale ottenuta tramite rotazione.
Notate: per avere un G i tre grandi ambienti esterni dovevano girare a meno di un giro al minuto, dice l’autore (1 giro ogni 80 secondi), per cui se anche il corpo centrale ruotasse a quel ritmo (ma ruoterà?) la gravità risulterebbe immensamente più bassa. Al ridursi del raggio devono aumentare i giri per ottenere la stessa gravità. Discorso simile per gli ambienti collocati nelle fasce esterne del corpo centrale, dove troviamo anche l’area con il ponte di comando (quell’ambiente in cui il corridoio è così curvo che sale in entrambe le direzioni, presente?), ma vediamo tra un attimo i conti.
Facciamo due conti per capire a che velocità dovrebbe girare: per avere 1 G girando ogni 80 secondi significa che le tre gondole sono distanti 1600 metri dal centro della nave su cui ruotano. Facendo le proporzioni con l’anello centrale, di comando, abbiamo un raggio di circa 1/5 pari a 320 metri, il che implica una rotazione ogni 36 secondi. E in effetti nelle riprese quell’anello sembra andare grossomodo al doppio della velocità!
Fin qui sembra fatto giusto e non indago oltre. Diamo per buona la realizzazione.
Però… però il problema, visto con il tunnel centrale che esce diritto dal reattore, è che il corpo centrate col reattore ha un raggio molto inferiore rispetto all’anello esterno! Se lei si trova così vicina al centro allora la gravità sarà molto più bassa a pari rotazione!
Come mai Aurora, nella sala controllo che si affaccia sul reattore, si muove come se fosse a 1 G? La gravità a 100-110 metri dal centro sarebbe di appena 0,3 G e a 50 metri sarebbe di 0,15 G. Perché non saltella e cammina piano piano, per la difficoltà di dosare la forza, come se fosse sulla Luna? In quelle scene non ha scarponi magnetici per facilitare la camminata come quando escono fuori dalla nave.
Lei è decisamente a un tiro di sputo dal centro della struttura, ricordatelo, e il tunnel di scarico che parte dal reattore, poco distante da dove è lei, lo vediamo andare dritto fino a uscire proprio al centro dell’asse di rotazione dell’astronave (zona a gravità zero). Se avete dubbi guardate anche la zoomata al minuto 94 che va dal portello in fiamme del reattore fino al punto in cui si è piazzato Jim.
Forse perfino la mia stima di 100 metri tra la sala comandi e il centro dell’asse è ampiamente esagerata! Ma se il reattore è davvero al centro, così, la finestra da cui Aurora lo scruta dovrebbe essere sul soffitto, per lei, e non su una parete (se avete un attimo di dubbio ricordate che è gravità ottenuta per forza centrifuga). Il tutto suonerebbe ancora più ridicolo e darebbe la motivazione definitiva per levare quel cavolo di vetro: invece no, visto che il regista o chissà chi altri volevano il vetro, ce lo troviamo pure nel posto sbagliato! Fantastico!
Senza contare che, essendo proprio sul centro dell’asse, è facile che tutto il blocco del reattore non stia proprio ruotando (è solo il resto della nave che ruota attorno all’asse).
Questa cosa non l’hanno sottolineata nemmeno quelli che fanno video in cui si bullano di quanti errori scientifici trovano… è un dettaglio poco importante, ma sarebbe stato bello da vedere. Quest’eventuale mancanza, se ho visto giusto, non danneggia comunque per nulla la visione del film. Non dopo che abbiamo già sopportato l’inchino alla stella Arturo.
E soprattutto a cosa serve una finestra che guarda dentro un reattore a fusione da milioni di gradi che non sta fondendo tutta l’astronave solo perché il plasma è trattenuto da un campo elettromagnetico? Mi ero già espresso sull’idiozia delle finestre che fanno vedere fuori dalle astronavi, ma quella che dà sul reattore tocca nuove vette di follia! E la sala controllo è piena di piastre di metallo imbullonate, come se qualcuno si aspettasse di doverle smontare e rimontare spesso! Bulloni inutili che hanno solo lo scopo di schizzare in giro e trafiggere un braccio ad Aurora, direi…
E come mai quando la sala diventa caldissima, poco prima che il reattore stia per esplodere, Aurora si scotta sfiorando la leva meccanica di raffreddamento manuale (prima fredda) e non si scotta per niente toccando con le spalle nude e le mani le altre piastre di metallo attorno?
Tant’è che per raffreddare, scusate, ma avrebbe dovuto espellere il plasma del reattore a fusione. Stiamo dicendo che in un instante un reattore a fusione si è riattivato dopo che il plasma è stato espulso fuori? Cioè, seriamente? E come mai per ricreare il corretto campo elettromagnetico, all’apparenza indebolito, per isolare il plasma a milioni di gradi bisognava raffreddare il reattore? Boh. Facciamo finta che servisse e prendiamo nota: nel futuro di Passengers tutto si riavvia in un attimo, anche i reattori a fusione.
Questa considerazioni ci porta al mitico computer del reattore. Un sasso grosso come una palla da bowling due anni prima ha colpito l’astronave, ha trapassato il corpo centrale aprendo una falla e si è scavato la sua strada fino alla sala del reattore dove ha falciato una componente del computer (un bizzarro computer che pare un dissipatore: è come quel coso di 7 etti di rame che avevo nel vecchio pc!) e per un pelo non ha pure bucato la parete e raggiunto il reattore.
A causa della capacità di calcolo persa e dell’incasinamento momentaneo c’è stato subito un sovraccarico che ha causato le prime 17 avarie e dopo una serie di consumi maggiori causati dalle diverse CPU su cui l’astronave distribuiva tutto il lavoro di calcolo per compensare la mancanza di un pezzo del supercomputer del reattore. Nel corso di due anni un po’ alla volta le CPU si sovraccaricano e saltano e più ne saltano più le altre devono compensare coi loro calcoli e prima ancora ne saltano altre ecc. fino al momento in cui nemmeno il reattore è più sotto controllo. Sì, mi piacciono le CPU come quelle di 15 anni fa, senza limitatori automatici di sorta, che possono scaldarsi fino a bruciare… ma ok, le accetto…
Ok, tutto molto carino, ma…
Nessuno ha notato che al momento il lavoro delle altre CPU è ai minimi termini perché ci sono solo due persone sveglie, e come abbiamo visto gli ambienti si animano e attivano quando ci passa qualcuno dentro? Se bastava così poco per sovraccaricare il sistema, significa che anche senza alcun guasto, arrivati ai 4 mesi in cui ci sarebbero state 5258 persone sveglie tutte intente a tenere in simultanea tutta l’astronave attiva e a usare a centinaia e centinaia per volta i diversi computer nello stesso istante… beh, io la vedo molto male! XD
O vogliamo credere che il calcolo distribuito è tale SOLO dopo il cedimento di una parte del computer del reattore, se no di norma sarebbe stato tutto isolato? Non è un gigantesco mainframe distribuito lungo l’intera astronave? Eppure la prova che lo sia è che quando inizia a saltare tutto, anche i singoli robot, in teoria isolati, iniziano a fare i pazzi come se ricevessero ordini errati (se avessero solo problemi di potenza di calcolo allora andrebbero a scatti, poco reattivi, lenti, come se laggassero su un server stracarico, non farebbero cose folli) e quando il computer si aggiusta anche loro tornano a posto (quindi non erano fisicamente guasti, ricevevano solo ordini sbagliati). Perché se lo scenario è quello che sembra, basterebbero le 5258 persone attive per far saltare tutto, far impazzire la nave e mandare in crisi il reattore… ^_^”
Ma se il sistema è così raffinato e hanno i pezzi di ricambio e questi sono tutti Plug and Play, tant’è che il riavvio del computer del reattore consiste letteralmente solo nel levare la grossa scheda rotta e infilarne una nuova, e visto che hanno automi di ogni genere che fanno ogni sorta di delicato compito, incluso il barista Arthur… perché non c’è un Androide con un cesto di schede pronte lì accanto, per sostituire la giusta scheda in caso di guasto? O un cavolo di ridondanza con un secondo computer che entra in gioco se il primo si frigge? Perché la Avalon ospita 5258 persone, ma ha standard di sicurezza (ridondanza delle apparecchiature) inferiori a un veicolo militare qualsiasi di oggi? Vaffanculo la sicurezza, il servizio bar è la priorità!
E ancora… come mai la scheda distrutta dall’asteroide, e quindi già ora non attiva, fa spegnere il computer quando viene rimossa? Non funziona, cocchini, è rotta! Non doveva succede nulla quando Jim la rimuoveva e metteva quella nuova, altro che reattore a fusione che va fuori controllo! In ogni caso dopo avrebbero avuto problemi col tunnel e il film sarebbe proseguito identico… SIGH, nemmeno ci provano a dare un senso agli eventi!
Il bello poi è che risparmiano solo dove fa comodo per la trama. Visto che era carino automatizzare pulizie e servizio bar per dare qualcuno con cui parlare a Jim (e dei piccioni robotici a cui lanciare briciole), allora abbiamo un automa che si comporta come un barista vero invece di un sistema automatico o di un barista umano, ma niente automa a riparare il computer. Costa troppo? Però quando Jim usa la tuta spaziale scopriamo che è fatta di un materiale incredibilmente resistente che resiste ai MILIONI di gradi della vampata di plasma scaricato dal reattore a fusione. Avevano soldi da buttare?
E non solo la tuta! Lo sportello interno alla nave, quello che il protagonista ha tagliato in un attimo con la fiamma dai cardini (e che era semplicemente l’anta di un armadietto), è misteriosamente realizzato di una sostanza altrettanto resistente e Jim lo usa senza problemi per difendersi da parte del plasma. Anche il cavo di sicurezza è, misteriosamente, super resistente al calore (ma è da usare nel vuoto…) però poi si spezza proprio nel fare ciò per cui è pensato, ovvero resistere agli strattoni. GRANDE!
Non c’è alcun criterio se non la mera utilità sul momento per fare le scene nel modo più semplice possibile, autentico marchio del pressappochismo narrativo. Un marchio d’infamia che nei film conosciamo fin troppo bene.
Però quando Jim è perso nello spazio, alla deriva, indovinate cosa manca nella super tuta? Ovviamente l’ABC della sicurezza, ovvero un paio di bombolette per muoversi nel vuoto con un getto direzionale. Perché se lui avesse avuto le normalissime bombolette, Aurora non avrebbe avuto motivo di salvarlo. O forse no?
C’è una soluzione per avere sia il realismo che Aurora alla riscossa.
Avrebbero dovuto spremersi il cervello per 30 secondi facendo in modo che lui scaricasse le bombolette anche solo per riuscire a tenere il passo con l’astronave che continua ad accelerare a 0,16 m/s2 (mentre lui non è più solidale con lei) e a poco a poco la nave supera la velocità dia Jim, ottenuta con una singola accelerazione istantanea lanciandosi via dal portello, e inizia a lasciarlo indietro. Magari lo distanziamo di più dallo scafo perché una delle bombolette, al posto della tuta, si è bucata e lo ha sparato a gran velocità lontano prima che lui se ne liberasse…
… ed ecco che BINGO, torna tutto: se lui ha solo una bomboletta e non gli basta per arrivare dove ha bisogno, salviamo sia la credibilità che la possibilità per Aurora di intervenire. Anzi, ora Aurora potrebbe realisticamente avere il tempo di farcela, mentre prima mentre lei andava alla camera, si infilava la tuta e usciva, passavano minuti e minuti di attesa in cui Jim probabilmente sarebbe finito molto più distante di come lo vediamo nel film. E invece ci becchiamo il salvataggio all’ultimo istante, con Aurora che afferra il cavo per un pelo prima che sia al di là della sua portata (arrivava tre secondi dopo e Jim era morto) altro marchio di grave infamia per un autore che dimostra di non saper gestire la credibilità e le tempistiche di ciò che racconta.
Ci voleva tanto a pensarci? Hollywootardati…
Prima di tutto due parole su Gus. Aurora e Jim sono nella merda perché non hanno un pass idoneo alle aree riservate della nave e, guarda caso, quando si guasta un’altra di queste meravigliose capsule a prova di guasto, ne esce fuori un capo tecnico con permessi per accedere ovunque, incluso il ponte di comando dove lui NON deve lavorare (lo precisa, non è il suo posto quello). Il personale della nave occupa 258 capsule su 5256 ancora chiuse, di questo personale solo una piccola parte sarà idoneo a individuare i problemi, fare i ragionamenti per capire come agire e fornire il superpass… forse solo un 10% di loro? Quante possibilità c’erano, uno 0,5% o un 1% al massimo se esageriamo e diciamo che il 20% del personale della nave era ok da svegliare? E Gus ha pure il buon gusto di essere gravemente malato, così non rovinerà la storia d’amore come terzo incomodo! GRANDE!
Non perdo tempo a commentare le ridicole porte blindate collocate in giro senza scopo (perché difendono le capsule del personale? Se sono tutti addormentati qual è lo scopo, solo proibire che vengano svegliati prima del tempo in caso di incidente grave?) e mi concentro su Gus perché lui non solo porta la soluzione di ogni problema, ma è anche in grado di far sbollire un po’ Aurora dicendole che Jim ha sbagliato ma si può capire cosa lo abbia costretto a farlo (e, implicitamente agire sul senso di colpa con un sottinteso “ormai è fatta e farlo soffrire oltre è solo colpa tua, femmina! Diventa ragionevole!”),
Passiamo all’esperienza di deriva nello spazio di Jim. Jim ha avuto una perdita di pressione nella tuta e si è trovato nel vuoto. Prima nota positiva: è stata evitata la cazzata del congelamento istantaneo, ma… nota negativa, si stava comunque congelando. Questo non ha senso.
Il vuoto è “vuoto”, significa che non c’è quella materia pressoché immobile (prossima allo zero assoluto) contro cui cedere il proprio calore per cui, a differenza di cosa molti film mostrano, non è un luogo gelido. È un isolante termico, se proprio vogliamo dirlo in due parole. Ripassino di Fisica, ok, ho capito.
Il calore si può trasmettere in tre modalità (molto riassunte, abbiate pazienza):
I primi due metodi nello spazio non sono possibili, ma il terzo sì. Quanto impiega un corpo umano a irraggiare calore fino a raffreddarsi al punto di morire? Se ricordo giusto più di 40 minuti prima di subire danni, per cui non è una gran preoccupazione. Per lo stesso motivo non dovrebbero scottarsi per il freddo quando toccano le pareti della stanza che ha il buco di asteroide che dà sullo spazio (e che però tutto attorno ha un ambiente caldo, ovvero il resto della sala macchine).
Quella che deve temere Jim è la differenza di pressione. Sì, non è tanta, si tratta di una sola atmosfera, ma il problema è che l’aria nel corpo si espanderà comunque procurando nel corso di alcuni minuti delle embolie pericolose. In più a pressione zero la temperatura di ebollizione dell’acqua è inferiore a quella corporea umana, per cui Jim potrebbe subire dei danni agli occhi e alle membrane umide per perdita di liquidi.
Grossomodo un umano a pressione zero dovrebbe perdere i sensi dopo pochi secondi e rischiare gravissimi danni celebrali e forse la morte dopo alcuni minuti. Aurora ha salvato Jim, gli ha rimesso a posto il cuore nel macchinario, e ha ottenuto… un vegetale col cervello mezzo fottuto? GRANDE!
Vabbè, facciamo finta che il macchinario curi anche quello (era morto e lo ha resuscitato facendogli, a caso, DI TUTTO) e stop, tanto al di là della stupidità del cliché del salvataggio in extremis non è che sia un guaio così grave, poi, rispetto ad altre cosette.
E così arriviamo al finale vero e proprio: Jim propone ad Aurora di chiuderla nel robot medico e ibernarla lì dentro, così lei potrà andare nel futuro e lui rimarrà da solo. Da quanto dice la voce narrante (“Eravamo perduti nel nulla, ma ci siamo trovati a vicenda e abbiamo creato una vita bellissima, insieme”) capiamo che Aurora non lo ha fatto e ha preferito vivere con Jim.
Tutta la storia romantica finale nasce dall’assenza di un macchinario di ibernazione di scorta in caso di incidente, in modo da potersi ibernare e poi farsi trasferire di nuovo nella capsula. Hanno scorte di ogni cosa, tranne quel macchinario. Una mancanza così ridicola da essere sottolineata almeno una volta da TUTTI i tre personaggi umani. A chi serve un macchinario di ibernazione grosso come un letto quando si può usare meglio lo spazio dedicando un’intera stanza, in cui di quei macchinari ce ne starebbero dieci, all’edizione olografica di Dance Dance Revolution!
Sarebbe bastato quel macchinario, magari sfruttando proprio il robot medico, per risolvere tutto: Jim iberna Aurora, la porta nella sua capsula, la chiude, poi torna nel robot, iberna sé stesso e sfrutta il robot medico come capsula visto che lui non può spostarsi.
Invece no: il robot medico iberna, ma poi non si può andare in una capsula (di cui ci sono i manuali di istruzioni, però). Non si sa perché… ah, no, scusate, lo so il motivo: fa comodo alla storia!
Se invece ci fosse stato un macchinario di ibernazione che però non funge da capsula, sarebbe bastato a turno svegliare ogni membro dell’equipaggio in modo che stesse sveglio qualche mese mentre gli altri dormivano. Sono in 258 e devono coprire solo 88 anni (1056 mesi) per cui possono arrivare alla fine del viaggio stando svegli solo 4 mesi a testa. Che ci vuole?
E spero che su Homestead II ci siano già i macchinari di ibernazione, perché altrimenti vedo un po’ duro il viaggio di ritorno per l’equipaggio e per chi ha l’opzione come Aurora!
Dalle ottime condizioni del “giardino” nel finale, ancora ben curato dopo 88 anni, ho il sospetto che Jim e Aurora siano ancora vivi, oltre ad aver riprogrammato i robot per occuparsi di piccoli lavoretti. Non è impossibile: se avessero deciso di fare a turno a stare ibernati nel robot medico avrebbero potuto passare 1 mese assieme, fare 5 mesi con uno dei due ibernato, poi 1 mese assieme, poi l’altro si iberna per 5 mesi e via così… il tempo di veglia sarebbe stato di 7/12 e dopo 88 anni sarebbero invecchiati di soli 51 anni. Anziani, ma ancora vivi e almeno avrebbero potuto passare qualche anno su Homestead II prima di morire.
Senza stare incollati in ogni istante per tutta la vita, stando assieme solo 2 mesi per ogni 7 di veglia, eviterebbero anche di cominciare a detestarsi e apprezzerebbero di più il tempo trascorso come coppia. Non è insensata come idea.
Comunque, riguardo alle piante, non ho capito delle cose. Le piante sembrano conservate “vive”, dentro a dei fluidi, quindi sono “ibernate” anche loro? Non si vedono solo sementi, come sembrerebbe ragionevole, ma intere piante conservate. E poi lo sceneggiatore ci viene a dire che hanno evitato di portarsi dietro il carburante (o la macchina di ibernazione), mah… totali fucktardati che sprecano spazio in idiozie invece che per le cose essenziali. Che bel futuro di svantaggiati!
In più quando Jim pianta l’alberello che nel finale è diventato un albero possente, quest’albero dove ha infilato le radici? Ha perforato, come pare, il pavimento della nave causando forse guasti gravissimi alla Avalon? E l’albero non è nemmeno caduto giù per colpa delle radici inadeguate a trattenerne la mole, per cui devono essersi agganciate per bene dentro al pavimento e giù nel piano inferiore…
Quante capsule si sono aperte per errore grazie ai danni causati dalle radici sui delicatissimi sistemi della Avalon? I risvegliati sono poi stati divorati dalla coppia di giardinieri eremiti psicopatici? ^-^
Apprezzabile che in assenza di gravità le lacrime rimangano incollate per tensione superficiale alla pelle dei personaggi, invece di staccarsi in volo dagli occhi. Se ho capito giusto, questo dovrebbe essere il corretto comportamento delle lacrime a gravità zero, all’opposto di quanto si vede in altri film del passato come Gravity.
Ho apprezzato anche la scena della piscina a gravità zero. Il regista dichiara che ci sono voluti mesi per capire come dovevano gestire il tutto per simulare i cambiamenti nella forza di Coriolis in quel caso. Non so quanto sia attendibile e in generale mi piace poco il modo in cui le cose “salgono” verso l’alto quando la gravità si interrompe (ora sono solo senza peso, non è che c’è una forza che le spinge su…), incluse persone totalmente immobili come Gus che dorme nel suo letto. Quando sparisce la rotazione, l’unica “gravità” rimasta è quella bassissima data dalla spinta dei motori, che è 1/60 scarso di G (ricordate che la Luna ha 1/6 di G e fatevi le proporzioni), e non va verso l’alto: va verso una delle pareti laterali, quella rivolta nella direzione dei propulsori ionici.
Mah! Comunque fa abbastanza paura l’idea di annegare in una bolla d’acqua, quando tutto attorno c’è aria da respirare, solo perché a causa del suo stesso moto e del panico non si riesce a nuotarne fuori.
In generale c’è un po’ di cura scientifica dove possibile e, se togliamo il nome alla stella Arturo, anche il resto del viaggio grossomodo torna. Diciamo che torna quanto basta per un film di fantascienza che non pretenda di essere un capolavoro di rigore, ma solo “ragionevolmente buono” come dice Spaihts. Sto analizzando il tutto dando per scontato di non criticare in sé il viaggio di 120 anni, che per quanto fattibile (con quelle premesse) suona totalmente idiota, ma è un classico della non proprio intelligentissima fantascienza classica. Vedesi quanto detto prima. Se il viaggio di 120 anni non si accetta di escluderlo dal giudizio, come i dog fight in Star Wars, tanto vale non guardare proprio il film.
I grossi problemi sono di struttura drammatica, come indicato nella prima parte dell’articolo, anche perché se la componente drammatica è ben fatta, ovvero se è ben fatto quello che è il cuore di ogni storia, al pubblico importano poco gli svarioni storici o scientifici anche quando (raramente) li riesce a notare.
Nell’insieme ho visto Passengers al cinema senza pentirmi troppo della scelta, seppur sghignazzando spesso delle evidente stupidaggini e scoprendone altre ancora una volta rivisto a casa piratato (solo per fare la recensione, perché trovo privo di serietà chi pur potendolo fare non verifica bene), e la debolissima storia d’amore è compensata un po’ dalla prima mezz’ora di solitudine spolverata di umorismo e disperazione. Non raggiunge la sufficienza, ma ho visto di molto peggio.
Se la vostra scelta è tra quella cagata fumante di Assassin’s Creed e questo, andate a vedere Passengers: almeno un briciolo di dignità artistica ce l’ha!
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