Oggi voglio segnalare un manga fantasy del 2014, Dungeon Meshi. È ancora in corso e sono disponibili su MangaTraders solo 19 capitoli. Considerando che questo significa che non è terminato nemmeno il terzo tankobon, direi che prima di sperare in una versione italiana (o inglese?) legalmente disponibile ci sarà da aspettare qualche anno.
Cos’ha di interessante?
Lo dirò nel modo in cui me lo ha spiegato Durigon quando me lo ha consigliato: avventurieri in un dungeon che sopravvivono mangiando i mostri. È una fantasia che credo chiunque venga dal vecchio mondo dei giochi di ruolo di una volta a tema Fantasy abbia avuto prima o poi, anche solo per ridurre il carico dello zaino del proprio personaggio. Perché caricarsi di razioni? Meglio mangiarsi i mostri! E poi magari morire di dissenteria o altro…
A me l’idea degli avventurieri che mangiano i mostri è arrivata ancora prima della prima partita ad AD&D 2: in seconda media, giocando a un gioco di ruolo improvvisato senza dadi o regole chiare (c’era la più grossa, la “regola d’oro” che rende i vecchi giochi tutti un po’ simili) ambientato in un labirinto fantasy, si era giunti a risultati simili. Il master era un mio amico e i due personaggi (il nano alcolizzato di un altro mio amico e il mio umano chierico beone, ispirati a due personaggi che avevamo da poco creato per AD&D 2) sopravvivevano divorando ciò che trovavano, in cerca dell’uscita.
Se ricordate ho un fetish per il mondo sotterraneo e per i dungeon. Sì, inclusi quelli retard da gioco alla D&D. Hanno un fascino che ho difficoltà a spiegare, anche se li trovo cretini oltre l’imbarazzante: quelli abitati hanno ecosistemi di norma non credibili, con mostri lì perché sì ad aspettare di farsi menare.
Fortunatamente Dungeon Meshi ha saputo usare l’ironia per tramutare i punti deboli del dungeon crawling da GdR/videogioco in punti forti.
Sotto le catacombe di un villaggio vengono scoperte le rovine di un regno precedente, il Reame Dorato, rimasto sepolto a causa della maledizione di un mago mille anni prima. La scoperta avviene quando un terremoto fa crollare una porzione delle catacombe, rivelando un tizio che racconta del Reame Dorato e ne promette il possesso a chi sconfiggerà il mago. Finita la storia, si riduce in polvere (tipo tizio fermo nel tempo che subisce il peso dei secoli in un attimo appena conclude il suo compito).
Questo è il motivo per cui così tanti avventurieri si fiondano lì: un intero regno sepolto da razziare, zeppo di pericoli e di tesori… per esempio il castello dorato, un tempo dalle mura coperto d’oro e ora raschiato fino all’ultimo dagli esploratori. Peggio dei vandali: in pochi anni si sono portati via tutto ciò su cui hanno potuto mettere le mani. ^__^
Il protagonista della storia è Lyos, un guerriero a capo di un gruppo di avventurieri veterani che ha un incontro spiacevole con un drago. Sua sorella viene ingoiata dal drago, mentre il resto del gruppo si teletrasporta via (sì, stile D&D trash), ma tutti i loro averi rimangono nelle profondità del dungeon.
Lyos ora è senza soldi e il suo gruppo si divide, perdendo alcuni elementi. Rimasto con i compagni più fedeli decide di affrontare il dungeon con un approccio a basso budget, cominciando dal suo vecchio sogno di mangiarsi i mostri. Senza dover nemmeno spendere in razioni, potranno sperare di tornare dal drago, trovare un modo nel frattempo di sconfiggerlo e liberare la sorella di Lyos prima che venga digerita.
Nelle catacombe, l’anticamera del dungeon vero e proprio, incontrano un nano che da anni vive divorando mostri e gira con il wok (un grosso tegame tipico della cucina cinese) sulla schiena come se fosse uno scudo. Li ha visti cucinare uno stufato di scorpione gigante e, dato il comune interesse culinario, decide di aiutarli.
La base di partenza è debole, essendo quella scontata e irrealistica dei dungeon. A rendere interessante Dungeon Meshi sono però due aspetti chiave:
Solo con l’estrema serietà nell’affrontare la demenza degli elementi classici del dungeon e le loro conseguenze, l’opera mostra quel distacco che fa dire “Ah, ma qui l’autore ha capito tutto, ci ha ragionato, non è un fesso che dice che è così perché sì perché è fantasy.” Il dungeon diventa interessante nel momento in cui i mostri vengono spiegati il più possibile e i personaggi cercano di dare un senso alle cose, senza dare tutto per scontato come se fossero solo pedine di un gioco per cicciobrufolosi che non scopano.
Per esempio…
Cosa fa muovere le armature animate? E se sono vive, è possibile mangiarle? E nel basilisco qual è la coda: il gallo o il serpente? Se separandole il serpente rigenera il gallo, e non viceversa, allora era il gallo intero a essere la coda? E tante altre cosucce da “Ehi, qui stiamo prendendo il fantasy davvero sul serio!” Delizioso.
In particolare la tecnica che impiegano per ottimizzare l’uso dell’acqua santa contro i fantasmi la trovo fantastica: il cervello al lavoro, anche quando è solo fantasy. Perché non è mai solo fantasy: lo diviene quando non lo si prende sul serio… ma se non lo prendi sul serio, come puoi dire di amarlo?
L’umorismo aiuta a digerire tutto perché, beh, anche con le spiegazioni e il distacco, il dungeon e gli avventurieri che lo razziano come in un gioco rimangono comunque poco credibili. Meglio non prendersi troppo sul serio quando si cianciano idiozie: quello va bene in politica, non in un’opera di narrativa.
Chi si prende troppo sul serio appare davvero ridicolo, mentre chi si accorge del potenziale ridicolo può venir preso sul serio. Se ricordate, una patina di umorismo nelle scene era presente anche in Star Wars IV (ci torneremo in futuro) per dare un tono più leggero e far digerire meglio la debolezza delle vicende.
Chiudendo in breve: leggetelo, è fantastico. È divertente, è intelligente, è il Fantasy usando elementi tradizionali come andrebbe davvero fatto: smettendola di fare finta che sia tutto normale e accettando che certe cose sono implicitamente ridicole.
Per rimanere a tema col cucinare i mostri, vi voglio segnalare il concorso “Italian Way of Cooking” organizzato dal collega editore Acheron Books in collaborazione con LetteraturaHorror.it, di cui trovate il bando qui.
Il concorso parla di cucina e di mostri e permette di inviare ricette di 1800 battute (spazi inclusi): le migliori verranno allegate in appendice al prossimo romanzo Fantasy Horror di Marco Cardone, dedicato proprio al tema del catturare, macellare e cucinare mostri! Avete tempo fino al 15 dicembre alle 12:00 per inviare le vostre ricette. Tutte le informazioni qui.
Un’iniziativa divertente che sostengo molto volentieri. Anche Vaporteppa ha partecipato con tre ricette fuori concorso che ripropongo qui sotto. Una piccola nota: queste tre sono tutte ricette vere che si possono realizzare anche sostituendo l’ingrediente fantastico con uno più normale… perché nelle cucine di Vaporteppa i mostri li prepariamo davvero (e sì, la seconda ricetta è il nostro segreto contro gli scioperi del piccolo personale fatato). ;-)
Buon appetito!
Per questa ricetta serve un kappa, del tipo più comune: con becco, guscio di tartaruga e la carne di consistenze ideale per la bollitura. Invece di impiegarlo per il brodo, sposeremo la cultura occidentale e l’oriente preparandolo come le lumache nel modo di Escoffier.
Getta il kappa intero in un pentolone con acqua e aceto e fallo bollire quanto basta a separarlo dal guscio. Bastano pochi minuti, ma se vedi che l’acqua è limacciosa puliscila con la schiumarola e continua finché non smette di spurgare. Se è del tipo che non può lasciare il guscio, dovrai aprirlo e tirarlo fuori tagliando. Attenzione a danneggiarlo il meno possibile.
Per la cottura fa bollire il kappa sgusciato e sbudellato in acqua con cinque cipolle, dieci rametti di prezzemolo, pepe e sale. Tre ore a bollore lentissimo e si scioglierà in bocca.
Prepariamo il burro aromatizzato. Per un kappa normale, grande come un bambino, dovrebbero bastare 5 kg di burro con 500 grammi di scalogno finemente tritato, 15 cucchiai di prezzemolo tritato, 15 spicchi d’aglio ridotto in poltiglia, 200 grammi di sale e 35 di pepe. Io consiglio di aggiungere ali di fatina essiccate, tritate sul momento, per dare un tocco afrodisiaco: ne bastano giusto una coppia per ogni kg di burro. C’è chi è contrario per motivi etici al mangiare creature graziose, ma non è il nostro caso, vero?
Amalgama il tutto e lascia a riposare in frigo.
Prendiamo il guscio. Puliscilo bene, raschiando l’interno e bollendolo se serve con un po’ di aceto. Quando è freddo cospargi l’interno di burro aromatizzato, circa un terzo del totale e riponi il kappa bollito in posizione fetale. Ancora burro sopra. Chiudi il guscio meglio che puoi. A ogni estremità il burro restante e cospargile di pangrattato. In forno a 180 gradi per 10 minuti ed è pronto!
Vi serve una fatina viva, graziosa se intendete usarla anche come decorazione. Se conoscete certi locali per soli uomini che soddisfano gusti un po’ particolari, potete tentare di acchiapparne una alla chiusura. Attenzione: certe volte per motivi di sicurezza i proprietari dei locali le fanno accomodare in gabbiette e scortare a casa dai buttafuori.
Questo mi rammenta di un tale che avendo saputo in un locale bresciano di queste bellissime fatine ne voleva una e passò diversi giorni in giro per Desenzano armato di una rete per farfalle, vagando come un demente. Alla fine, sconfitto, si fece fare su misura una bottiglia di tre metri e ci infilò dentro un’escort rumena. Ma torniamo al rosolio.
Prendete 0,2 litri di alcool e aggiungete 10 boccioli di rosa secchi o 2 cucchiai di fiori di lavanda, ben pestati. Far macerare 8 giorni, rimescolando spesso nei primi 4. Filtrare il tutto e unirlo ad altri 0,6 litri di alcool.
Adagiare la fatina nel distillato e trattenerla sul fondo qualche minuto, fino a che smetterà di dar segni di vita. Nel caso abbiate avuto modo di… “conoscere” la fatina prima della preparazione, assicuratevi che sia ben pulita prima di immergerla. Lasciate macerare quindici giorni e poi togliere la fatina: noterete che sarà ancora perfetta.
Unite 800 grammi di zucchero fine con 0,8 litri d’acqua e mescolate per farlo sciogliere meglio che potete. Aggiungete il tutto al distillato, filtrate di nuovo e il rosolio è pronto.
Per l’uso decorativo della fatina in una bottiglia: assicurarsi che le ali non si danneggino nell’annegamento e, per una miglior resa visiva, impiegare fatine con capelli non oltre le spalle. Oppure, per mantenere l’acconciatura, inceratele i capelli prima dell’uso. Su una mensola, in ufficio, vi darà l’aria di un vero intenditore!
Se i vostri commensali non distinguono al gusto l’origine plebea di questa pietanza, nascondetegliela perché la deprezzerebbero, giacché tanti mangian più con la fantasia che col palato.
Così Pellegrino Artusi descrive lo gnomo.
Lo gnomo è disprezzato per la sua origine e natura infestante: siamo abituati a vederlo razzolare nello sporco, chiedere la carità ai semafori, frugare nei cassonetti e nutrirsi di ogni rifiuto. Li vediamo in buche nel terreno e rifugi in lamiera accanto alle rotaie, stufando scarpe vecchie e arrostendo, quando va di grasso, ratti allo spiedo, circondati da piccoli gnometti cenciosi.
Eppure il prolifico gnomo, se imparate a catturarlo con un giusto mix di carità ed esche avvelenate (perché lo gnomo è assieme stupido, maligno e sospettoso), può fornire carne saporita spendendo pochissimo.
Procuratevi uno gnomo adulto di almeno mezzo metro, non uno di quelle etnie troppo piccole buone solo per gli spiedini della mensa dei poveri. Lavatelo fino a togliere tutto il sudiciume. La procedura può richiedere molti cambi dell’acqua e spazzole ben ruvide.
Tagliate via pezzi teneri dal sedere, o simili, e macinateli. Lo gnomo spesso è magro e di sapore delicato, perché si nutre troppo di vegetali e cartone e troppo poco di carne e cereali, per cui bisognerà dare sapore e morbidezza aggiungendo altro.
Tritate fine la cipolla o lo scalogno, assieme a uno spicchio d’aglio. Fate 1 etto di cipolla per ogni 3 etti di gnomo. Soffriggete in olio fino a caramellare. Unite alla carne di gnomo tritata, assieme a 1 etto di patata bollita schiacchiata e 2 uova. Mescolate bene. Aggiungete pepe, sale e noce moscata. Fatene 5 polpette pressate e cuocetele in padella con un po’ di burro per 10-14 minuti, girandole ogni 2 minuti.
Non lo distinguerete dal manzo!
Spremiti le meningi e vedrai quanto è divertente inventare ricette fantasy! Io l’ho fatto e mi sono divertito molto, anche se mi sono dovuto trattenere entro le 1800 battute (circa 300 parole) per dare il buon esempio.
Hai tempo fino al 15 dicembre a mezzogiorno per partecipare, ma basta meno di un’ora per inventare e scrivere una bella ricetta. ;-)
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