“L’uomo di Marte” non è un romanzo di fantascienza: è di scienza

… però se diciamo che è Fantascienza non muore nessuno!

Ho visto ieri il film The Martian.
Avevo letto mesi prima il romanzo di Andy Weir da cui è tratto il film, su consiglio di alcuni conoscenti delle cui opinioni mi fido. Uno in realtà non mi aveva nemmeno detto com’era, mi aveva solo ricordato che esisteva e chiesto se l’avevo letto. Ma un altro aveva premuto il tastino magico: mi ha spiegato che The Martian (in italiano L’uomo di Marte, edizione Newton Compton) non è solo un romanzo sulla sopravvivenza da soli su Marte, ma è basato sulla visione di esplorazione umana esposta da Robert Zubrin nel classico The Case for Mars (seconda edizione espansa nel 2011). Ho dovuto leggerlo subito.

Io sono un fan del progetto ideato da Zubrin che, tra parentesi, al momento è l’unica visione di esplorazione degna di essere ritenuta tale, è solida, semplice, economica, più sicura di tante altre cose, e quindi fattibile… e presa estremamente su serio dalla NASA. Se volete più informazioni leggete The Case for Mars: se dopo averlo letto non avrete ancora capito a cosa serve l’esplorazione spaziale “in concreto”, adesso, per migliorare il nostro mondo, la Storia è spiacente di comunicarvi che non avete capito nulla degli ultimi 50 anni (e che non avete prospettive superiori a mangiare-dormire-cacca per l’umanità: capitelo, le vostre sole priorità non sono le uniche della specie). Chiusa la parentesi, torniamo al romanzo e al film.

L’Italia comunque è arrivata prima su Marte.

Come dicevo nel titolo, L’uomo di Marte non è un romanzo di fantascienza vero e proprio. Tecnicamente sarebbe un romanzo “scientifico”, seguendo la distinzione classica. Data la parziale sovrapposizione tra Hard Sci-Fi e romanzi scientifici, e dato che quest’ultima categoria è in disuso e storicamente pure lei si sovrapponeva alla fantascienza (e ormai viene riesumata al più per spiegare la differenza tra Verne e Wells), anche perché il nome “science fiction” si diffuse realmente solo dagli anni 1950 (un tempo neppure si divideva Fantasy e Sci-Fi, per esempio), possiamo pure chiudere un occhio e dire che L’uomo di Marte è fantascienza anche se dell’Hard Sci-Fi ha solo la componente “scientifica” e non quella “fanta”.

Vi ricordo in breve la differenza tra certi romanzi scientifici di Verne e certi fantascientifici di Robida o Wells:

La meraviglia tecnologica da elemento centrale della storia interessante di per sé (e il cui funzionamento è spesso spiegato in modo accurato) diventa elemento contestuale che è interessante solo in funzione delle sue conseguenze. Robida non ci mostra il telefonoscopio o i veicoli volanti o altre diavolerie nel suo Ventesimo Secolo perché sono interessanti di per sé o perché vuole spiegarci come funzionano (non lo fa), ma per le conseguenze che esse hanno sulla società e sulla vita di tutti i giorni (o sulla guerra, in un altro romanzo fatto perlopiù di illustrazioni). Questa è la vera differenza tra romanzo scientifico e fantascienza, come spiegata in modo eccellente da Philippe Willems della Northern Illinois University nell’introduzione all’edizione americana del 2004 del Ventesimo Secolo di Robida.

Non dico che i romanzi scientifici siano meglio della fantascienza pura, ma di sicuro sono almeno altrettanto validi e non sono una roba morta e dimenticata. E comunque c’è la Hard Sci-Fi nata per accontentare entrambi i gusti. :-)

Giusto un ultimo approfondimento sulla questione Fantascienza.
La fantascienza è una suddivisione della Speculative Fiction (la “narrativa fantastica”). Al suo centro c’è la speculazione, il cosiddetto What If. Uno può dire che il What If ci sia anche nella narrativa normale, non so, “Cosa accadrebbe se un professore pieno di poesia ed esaltazione dell’individualità giungesse in una scuola di ragazzini irrigimentati e chiusi?” (L’Attimo Fuggente), e quindi cosa differenzia i What If della Speculative Fiction?

La Speculative Fiction ha What If non realistici. Non sono veri.
Il Fantasy è quello i cui What If sono, secondo le nostre conoscenze, del tutto impossibili (“Cosa accadrebbe se le fatine esistessero e controllassero la CIA?”) e la Fantascienza è quello dei What If oggi non reali, ma plausibili/possibili (“Cosa accadrebbe se i nostri eserciti usassero armature potenziate?”). Quelli della Fantascienza un giorno saranno veri, forse, e forse no, ma non sono del tutto impossibili. Ne abbiamo già parlato diverse volte, per esempio qui.

Questa è Fantascienza. Se avete difficoltà a distinguere questa dal duro lavoro della NASA, forse non vi è chiara cosa sia l’esplorazione spaziale.

L’Uomo di Marte impiega un progetto di esplorazione marziana reale, descritto per la prima volta al vasto pubblico in The Case for Mars nel 1996 (edizione attuale riveduta, 2011). Era un sistema già fattibile nei primi anni 2000. Le tecnologie che impiega esistono già o sono in avanzato stato di sviluppo (e, con maggiore interesse della NASA verso un progetto di esplorazione umana, sarebbero state completate molto prima).
Non c’è qualcosa di impossibile, è tutto possibile, e stiamo anche per farlo davvero: abbiamo già, leggete The Case for Mars, tutto il necessario per iniziare l’esplorazione umana con il sistema di backup e missioni Mars Direct (o varianti, come la Semidirect preferita alla NASA).

Addirittura alcune tecnologie in L’uomo di Marte sono inferiori a quelle reali: il rover ha un range ridicolo rispetto a quelli pensati per Mars Direct, l’unità RTG sottodimensionata e sottoutilizzata, la produzione di carburante per razzi dall’atmosfera poco impiegata, l’uso del permafrost per ottenere acqua nullo ecc.

Onestamente, dov’è la Fantascienza in qualcosa di vero già oggi?
È Fantascienza allora anche un viaggio di esplorazione sottomarina con il meglio delle tecnologie di oggi, scoprendo solo cose già note (non civiltà nascoste o chissà cosa). Sì, ok, Marte è nello spazio… ma, bingo, anche la Terra. Non è lo spazio a fare la Fantascienza: già dimenticato che Star Wars è Fantasy? Anche senza parlare della gravità di Star Wars, con le navi spaziali che cadono verso un ipotetico basso… nello spazio…

So che sono discorsi un po’ tecnici e per appassionati (quelli veri, non i poser che pensano che un elfo faccia il Fantasy e un’astronave la Fantascienza), ma detto questo… se diciamo che è Fantascienza non muore nessuno. Ma solo perché è un romanzo scientifico e ormai li facciamo cadere per comodità nel maxi-calderone generico della Fantascienza. Solo per quello. Alla prova pratica il suo What If non ha i requisiti.
Torniamo al libro.

Di cosa parla L’uomo di Marte?
Un ingegnere/botanico rimane da solo su Marte dopo un incidente avvenuto durante la fuga di emergenza dal pianeta degli altri membri della squadra. Non ha mezzi per comunicare con la Terra. Dovrà trovare un modo di sopravvivere per 4 anni, fino a quando la successiva missione Ares arriverà con una nuova squadra, nel peggiore dei casi. Nel migliore, sopravvivere per un tempo minore sperando che sulla Terra capiscano che è vivo e si inventino un modo per salvarlo. Non c’è un nemico vero e proprio, intelligente: il “nemico” è l’ambiente ostile, Marte.

Marte: un’oasi felice!

Lo scenario è alla Robinson Crusoe, ma in condizioni molto peggiori. Fortunatamente il protagonista ha la combinazione di caratteristiche necessaria per sopravvivere: è un ingegnere e sa come modificare e aggiustare le apparecchiature presenti; è un botanico e sa come far crescere piante per nutrirsi; è molto attivo, propositivo, ottimista, e si difende dalla disperazione affrontando un problema alla volta e condendo il tutto con dell’umorismo nero.

“Se c’è soluzione perché ti preoccupi? Se non c’è soluzione perché ti preoccupi?” è un modo di pensare attribuito ad Aristotele (anche se ricorda un po’ certe frasi da saggio cinese) e rappresenta bene il personaggio ingegnere: preoccuparsi, nel senso di lasciarsi prendere dal panico invece di ragionare, non serve a nulla. Se una soluzione c’è, bisogna rimanere a mente fredda e trovarla. Se la soluzione di sicuro non c’è, non sarà il panico a cambiare qualcosa e tanto vale accettare il proprio destino.

Il protagonista affronta una sfida immensa, folle, riducendola ai singoli problemi da risolvere uno alla volta. Se si risolve un problema alla volta, è la morale spiegata a fine film, si può uscire da una situazione all’apparenza impossibile. L’ingegno umano salva, la disperazione uccide: un vero uomo è un uomo che ragiona, non uno che frigna a vuoto.

La storia è raccontata tramite le memorie del diario del protagonista. Questo è un metodo di solito non funzionale, perché ci sintetizza a posteriori ciò che potrebbe venire vissuto momento per momento, e questo è stato dimostrato che ha un impatto nettamente inferiore sul cervello. È la solita storia per cui se ci espongono le statistiche sulla malnutrizione in Africa non ci frega nulla, mentre se ci mostrano un negretto scheletrico morente cacciamo 9 euro al mese per salvarlo (o ci si indigna per foto di cani torturati ecc.).

Qui funziona perché…. beh, perché sono vicende in sé molto tecniche e noiose. Il protagonista ci toglie tutte le ore e giorni  di fatiche noiose e ci porta il succo della questione: il ragionamento, il risultato e l’umorismo per sdrammatizzare il tutto.

Salve, sto per coltivare patate su Marte.

L’umorismo è parte fondamentale della storia: il personaggio appare simpatico, propositivo (Aristotele direbbe che uno così è “moralmente giusto”) per cui ci dispiace per lui se qualcosa va storto (“sofferenza ingiusta”) e siamo felici per lui quando qualcosa va per il verso giusto (perché c’è “empatia”, un concetto che faceva sbavare Aristotele come i cani di Pavlov), anche se sappiamo che ogni vittoria è momentanea e catastrofi più grandi lo attendono dopo (“incertezza” e “paura”, altre due cose che fanno salivare Aristotele).

Uno può dire: “Facile apparire moralmente giusto quando il personaggio è simpatico e pieno di risorse!” Ok, vero, effettivamente è facile farlo così. La vera sfida è far apparire moralmente giusti personaggi che sono autentiche merde umane, tramite l’accurata costruzione di scene, filtro psicologico e informazioni fornite nell’ordine più idoneo a creare empatia nel lettore, come ha fatto Giuseppe Menconi con il romanzo Abaddon, ma… beh, non c’è alcuna legge che vieti di prendere la soluzione più facile, no? Pollice su per Andy Weir che ha scelto di non complicarsi la vita, evitando di distrarre il lettore dallo spasso della vicenda in sé!

Nel libro il diario è scritto dal protagonista, mentre nel film è un video-diario. La scelta di modificarlo per il film è perfettamente ragionevole. Il diario qui non è fatto per essere realistico, ma è una scusa narrativa per gettare sul lettore informazioni necessarie a farci preoccupare a sufficienza senza dimenticare mai la situazione di merda in cui si trova: come funziona il Programma Ares, cosa sta facendo il personaggio, cosa ha fatto prima (spesso fa dei riassunti a evidente uso dei soli lettori) ecc.

Senza l’umorismo a distrarci, facendoci sembrare il tutto il blog di un autore davvero brillante, la cosa non reggerebbe e molti mollerebbe la lettura. Weir è stato molto bravo a gestire gli enormi problemi drammaturgici/narrativi della storia che si trovava a scrivere, riducendoli al minimo con l’ausilio di altri meccanismi narrativi.

Citando il protagonista quando capisce di poter ottenere terreno fertile, ricco di batteri vivi, usando la propria cacca:

Il mio buco del culo sta contribuendo alla mia sopravvivenza non meno del mio cervello.

Patate marziane. Come si fa a non apprezzare un’opera in cui coltivare patate su Marte è un elemento chiave per la sopravvivenza?

Sufficientemente ben gestite anche le parti in terza persona, vissute sul momento, in cui vediamo i personaggi della NASA sulla Terra che decidono cosa fare. Non è una scrittura geniale, ma l’ambito della fantascienza ci ha abituato a tali oscenità che questa scrittura, comunque più che dignitosa (un po’ meglio del G.R.R. Martin delle Cronache), non danneggia la lettura. Non è un punto di forza, ma non è nemmeno un punto debole.

Di buono c’è che queste parti sulla Terra non rovinano la lettura perché sono utili. Sapendo di volta in volta ciò che sanno sulla Terra ma non sa il protagonista oppure viceversa, siamo inondati dalla cosiddetta “ironia drammatica” (sbava Aristotele, sbava): ci preoccupiamo perché sappiamo più cose dei personaggi, che vediamo prendere decisioni errate perché non sono informati come noi.

L’ironia drammatica è un meccanismo chiave del teatro e della narrativa in generale: spesso lo si ottiene in modo brutto e stupido (salti di punto di vista a caso e narratore onnisciente), ma il vero autore competente sa farcela sperimentare sfruttando il non detto e il filtro psicologico del personaggio che non coglie ciò che noi cogliamo vedendo le stesse cose. Pensate a Caligo e alla scena del revolver sulla spiaggia.

Qui un esempio comico di come viene usata l’ironia drammatica per un breve momento di divertimento dei lettori (prima di “Giornale di bordo” il POV è sulla Terra, dopo siamo col diario del protagonista):

Teddy si girò a guardare il cielo dalla finestra. Stava scendendo la notte. “Come sarà?”, si chiese. “È bloccato lassù. Pensa di essere totalmente solo e che noi abbiamo rinunciato a lui. Che effetto ha sulla psicologia di un essere umano?”.
Tornò a rivolgersi a Venkat. «Chissà cosa sta pensando in questo momento».

***

Giornale di bordo: Sol 61

Ma come fa Aquaman a controllare le balene? Sono mammiferi! Non ha senso.

Qui invece un tipico pensiero in coda a un post del diario, quando si mette a parlare degli orrendi telefilm anni ’70 che è obbligato a vedere perché è l’unica roba che ha, portata dal comandante della spedizione Lewis (notate la critica da “autopsia letteraria” di Gamberetta, ovvero di intelligenza e raziocinio, che a certuni non piacciono):

E… siamo seri! È ovvio che il generale Lee non potrà mai essere raggiunto da un’auto della polizia. Perché Rosco non va alla fattoria dei Duke e non li arresta quando non sono in macchina?

L’ideale sarebbe sempre dare il massimo in ogni aspetto della storia, ma alla fine la sufficienza è pur sempre la sufficienza: l’importante è che si eccella in qualche altro aspetto. Guardiamo a qualche aspetto positivo e negativo: un personaggio brillante e divertente (+), ma privo di un’evoluzione personale su cui si regga la vittoria (-), affronta una serie di problemi così interessanti che non ci frega poi molto il fatto che sia tanto monolitico (+); le vicende che affronta sono molto noiose (-), ma il suo diario pieno di umorismo ci risparmia la noia  lasciandoci solo gli aspetti piacevoli (+) e ci affascina con la grandezza di un ingegno creativo autentico e credibile (+).

Non siamo di fronte alle soluzioni trash da fantascienza alla Star Trek piena di babbling: qui l’impressione è di trovarci davanti a vera scienza! Non sappiamo se ciò che dice sia esatto o meno, ma sembra tutto ragionevole! Proviamo autentica ammirazione per un uomo così: uno dei meccanismi narrativi per catturare il lettore spiegati da Chuck Palahniuk nelle sue lezioni di scrittura.

Si potrebbe continuare così per un po’, mostrando come i punti deboli vengono disinnescati da contromisure adeguate, lasciandoci alla fine soli con l’autentico punto di forza della storia: la genialità delle soluzioni di fronte a problemi gravissimi, spiegate in modo comprensibile. Poteva avere più punti di forza, ma anche così va bene.

Darsi da fare, non frignare! Questo fanno gli ingegneri.

Vista la natura dell’opera e del film, per entrare un po’ nel dettaglio sarà necessario fare un po’ di spoiler sui problemi che vengono affrontati e sulle soluzioni trovate. Se non volete spoiler smettete di leggere qui e accontentatevi di questo giudizio: il film è bello, ma il romanzo è molto meglio (ed è molto più spassoso nei toni).

ATTENZIONE!
DA QUI IN POI POSSIBILI SPOILER !

Ho saputo di alcune critiche (insignificanti nel mare di lodi) sugli aspetti scientifici del libro e del film, soprattutto nel secondo non sempre approfonditi o accurati. Queste critiche non sono ragionevoli, onestamente. Tutti gli aspetti scientifici sono adeguatamente accurati, come affermato anche dei consulenti della NASA che hanno curato la trasposizione cinematografica. Nel libro, dove è possibile seguire i ragionamenti, si ricevono maggiori spiegazioni e il tutto è ancora più apprezzabile soprattutto per chi ha una formazione scientifica da ingegnere o chimico.

Bisogna anche considerare che questa è finzione, ovvero si cerca il realismo ma non è che sia tutto credibile come se fosse accaduto davvero. Sono anche problemi troppo vasti come conseguenze per poterli simulare in ogni dettaglio così, a mente, per scriverne. Bisogna accontentarsi di un livello di credibilità adeguato a farci sentire che non siamo presi per il culo. E qui il livello è molto più che adeguato!

Ricordate che Robert Heinlein viene lodato per il fatto di aver speso giorni sulla soluzione di un’equazione riguardante la traiettoria di un razzo solo per scrivere in modo credibile una frase di un romanzo per ragazzi, Space Cadet?
Qui avviene di continuo. Andy Weir ha fatto i conti di ogni cosa e spesso li condivide con noi. Anche le dinamiche orbitali del viaggio dell’astronave, con tanto di effetto fionda passando accanto alla Terra e poi accanto a Marte, sono corrette. Questo è anche uno dei punti di forza sottolineati da Rudi Schmidt, manager per l’ESA del progetto satellitare Mars Express.

Questo non vuole dire che sia tutto perfetto, ripetiamolo ancora, ma è tutto giusto al posto giusto quanto basta! Per esempio, guardiamo qui:

Grazie ai generosi contribuenti americani, ho 100 metri quadrati dei pannelli solari più costosi mai realizzati. Hanno una stupefacente efficienza del 10,2 percento, ed è un bene che sia così perché su Marte non c’è la stessa luce solare di cui godiamo sulla Terra. Da 500 a 700 watt soltanto per metro quadrato (in confronto con i 1400 della Terra).

Questo, per esempio, non è esatto su due fronti.
Il primo è l’efficienza dei pannelli di cui si stupisce: forse nel 2008 un 10,2% era figa per un comune pannello, ma dal 2008-2011 in poi c’è stato un enorme avanzamento che ha portato i comuni pannelli odierni al 10-12%. Un valore da indicare come eccellente, anche in prospettiva che la storia è ambientata nel vicino futuro, è 17-20% e non è comunque alto: abbiamo già avuto pannelli al 19%, anche senza considerare i record da oltre 40% di certi pannelli per il solare a concentrazione che però non fanno testo in questo caso.

Non è esatto nemmeno il valore di 1400 Watt per la Terra. Sì, grossomodo prima di entrare nell’atmosfera ci sono quasi 1400 Watt (1353 Watt/m^2 secondo questa fonte) medi di intensità di irraggiamento, la cosiddetta costante solare, ma perfino in una giornata di pieno sole la semplice atmosfera riduce il tutto a soli 1000 Watt (90% radiazione diretta e 10% diffusa) e bastano un po’ di nuvole per crollare a 500. Ok, tutto molto bello… ma chissenefrega? Non cambia granché, soprattutto se considerate che i suoi pannelli in realtà sarebbero il doppio più efficienti di quanto dichiarato: anzi, è in vantaggio lui a conti fatti. In più i 500 Watt/m^2 medi stimati nel romanzo sono comunque corretti e sono la cifra riportata in The Case for Mars.
Lo stesso discorso vale per altre piccole imprecisioni nel libro.

Il protagonista a riposo, mentre i pannelli solari ricaricano il rover.

Il ragionamento del protagonista fila comunque e poi, diciamolo, lui è un Ingegnere Meccanico e un Botanico. Non è un ingegnere specializzato in impianti di potenza: si capisce che è un ingegnere freddo, non uno caldo. Ha diritto a sbagliare qualcosa andando a memoria, lo fa spesso. Sui suoi errori si gioca tutto l’incidente della prima volta che cerca di produrre più acqua, non ricordate? È lì apposta per dirci che è uno che approssima, che sbaglia, ma che si ingegna per cavarsela! E questo a livello drammaturgico è anche elegante: sappiamo cosa aspettarci, disinnesca le critiche dei più informati.

Sarebbe stato peggio se l’autore l’avesse reso tutto precisino e perfettino da sembrare uno con sotto mano Wikipedia e i manuali dell’università: non è questo il caso, è un tizio con un diario che tenta di sopravvivere. Anche questo dettaglio permette di apprezzare la scrittura di Andy Weir e capire che, pur con tutti i suoi difetti (comuni alle storie di fantascienza), quest’opera non è dilettantesca nemmeno a livello narrativo, come già spiegato all’inizio.

Leggermente più grave è il problema della tempesta marziana che causa l’incidente scatenante della storia. A causa della pressione atmosferica molto più ridotta rispetto alla Terra, una tempesta di sabbia su Marte con venti da 160 km/h avrebbe un effetto reale di spinta di venti da 18 km/h sulla Terra. La sabbia rimarrebbe un enorme problema, ma il vento in sé non lo sarebbe.

Questo è spiegato anche in The Case for Mars:

The Martian atmosphere is only about 1 percent as thick as the Earth’s, and, therefore, the dynamic pressure created by a 100 km/hour Martian wind is only equal to that of a 10 km/hour (6 knot) breeze on Earth.

Qui Weir è stato onesto ammettendo che era una libertà che si era preso pur di riuscire in modo credibile a far sì che il protagonista rimanesse solo e fosse ritenuto morto. Non è il massimo, ma è una cosa che accade all’inizio e dopo si godiamo solo il resto più accurato. Su Wikipedia trovate altre informazioni scientifiche.

Ah- ah, coniglietto cattivo! Cattivo!

Quando decide di usare l’RTG (il generatore termoelettrico a radioisotopi), in pratica uno scatolone di plutonio rovente da 1500 Watt, come stufa da viaggio per il rover è geniale. L’uso del calore degli RTG è un elemento importante anche in The Case for Mars: lì (se ricordo giusto) si ipotizza un RTG che fornisca 300 Watt in corrente elettrica e 6000 Watt in calore disperso inutilmente e che, anche senza fare migliorie, potrebbe ottenere oltre 7 litri d’acqua al giorno sciogliendola dal permafrost marziano. Ma come stufa un RTG ben meno potente, quello della storia, va benissimo!

A occhio mi pare anche di ricordare che i rover ipotizzati in The Case for Mars fossero un po’ diversi, con l’uso di carburante estratto dall’atmosfera marziana e non solo a batterie, con un’autonomia molto maggiore (più di 100 km di sicuro). Il tema dell’atmosfera marziana come riserva di carburante da estrarre con tecnologie risalenti al 1890 è fondamentale in The Case for Mars ed è, tristemente, molto secondario in L’uomo di Marte. Peccato. Era così deliziosamente Steampunk alla Space 1889 da immaginare… tecnologia di fine Ottocento su Marte… ^__^

Mi è un po’ dispiaciuto, a tema scientifico, che non abbia avuto alcuna importanza la ricchezza d’acqua di Marte nemmeno nei ragionamenti più astratti del protagonista. Non so, anche solo un pensiero sul fatto che dove è lui non è possibile ricavarne o non ha gli strumenti adatti. Qualcosa così, giusto per non dare l’impressione errata di totale assenza che dà quando scrive:

Qui su Marte non c’è molta acqua. C’è del ghiaccio ai poli, ma sono troppo distanti. Se voglio dell’acqua, dovrò produrla dal nulla. Per fortuna ho la ricetta: prendi dell’idrogeno, aggiungici dell’ossigeno, brucia.

Perché Marte, anche senza considerare le recenti scoperte che fanno presumere vi sia acqua liquida, ha molta acqua: gli oceani marziani non sono altro che distese di permafrost, ovvero acqua e polvere ghiacciati. Trovate ampie spiegazioni su come l’acqua non sia un vero problema per la colonizzazione in The Case for Mars.

Sì, lo so che volevate questa stronzata. Ora andiamo avanti.

Un po’ di differenze tra romanzo e film.
Come già accennato, nel romanzo il tono è più umoristico. Si sghignazza, e lo si fa spesso. Il film fortunatamente non è un drammone, ma ci si avvicina un po’ troppo. Molte vicende e pericoli presenti nel romanzo sono assenti nel film: non vediamo il protagonista distruggere per errore il proprio sistema di comunicazioni con la Terra; non lo vediamo dover lottare contro la tempesta di sabbia che sta coprendo mezzo pianeta (lì il romanzo si reggeva sull’ironia drammatica) e che lui non sa nemmeno esista perché non può più comunicare con la Terra; non vediamo il protagonista rotolare dentro la camera d’equilibrio dell’HAB dopo l’esplosione, muovendosi a spallate; non lo vediamo viaggiare senza bussole, perché non funzionano su Marte, usando l’orbita della luna Phobos come guida ecc.

Per esempio nel libro la prima esplosione, quando cerca di produrre più acqua, ha conseguenze peggiori e non è così immediata. Ci sono tutta una sequenza di ragionamenti legati alle reazioni chimiche e ai sistemi di gestione dell’HAB automatizzati. Qui un paio di estratti di quando bruciava idrogeno con una fiamma libera e lavorava all’ottenere più acqua:

La chimica è un casino, così nell’aria c’è dell’idrogeno che non è bruciato. Tutt’intorno a me. Mescolato all’ossigeno. Se ne sta lì… sospeso. Ad aspettare una scintilla per poter far esplodere lo Hab!
Quando sono giunto a questa conclusione e mi sono ricomposto, ho preso una bustina a tenuta ermetica di quelle per i campioni, l’ho agitata un po’ nell’aria e l’ho chiusa.
Poi una rapida EVA fino a un rover, in cui teniamo gli analizzatori atmosferici. Azoto: 22 percento. Ossigeno: 9 percento. Idrogeno: 64 percento.
Da allora sono nascosto in questo rover.
Lo Hab è diventato Idrogenville.

Il problema era nell’esalazione. Sapete quanto ossigeno assorbite dall’aria con un respiro normale? Non lo so nemmeno io, ma non è il 100 percento. Ogni volta che espellevo fiato, aggiungevo ossigeno al sistema. Solo che non ci avevo pensato. E invece avrei dovuto pensarci. Se i polmoni catturassero tutto l’ossigeno, la rianimazione bocca a bocca non funzionerebbe. Se non ci ho pensato è perché sono un perfetto idiota! E la mia perfetta idiozia per poco non mi è costata la vita!

Una differenza in positivo del film è che salta tutta quella parte, francamente inutile, in cui vediamo con punto di vista onnisciente le vicende di produzione del telo dell’HAB “difettoso” che poi si lacererà facendo fare il botto alla camera d’equilibrio. Non serviva a nulla nemmeno nel libro: l’ironia drammatica creata dai nostri timori per il telo era compensata in negativo dalla noia della vicenda… sarebbe stato altrettanto efficacie se il personaggio avesse pensato all’inizio, e poi sottovalutato, il problema dello stressare troppo l’HAB usando sempre lo stesso ingresso. Quando poi ci ripensa dandosi del fesso, come fa, la spiegazione al lettore è comunque data.

Insomma, ci sono parecchie differenze. Molte spiegazioni erano troppo noiose per portarle nel film, adatte al massimo per un blog, e se avessimo dovuto vedere tutti i problemi in cui si imbatteva nel romanzo, il film sarebbe durato 8 o 10 ore.

Però nell’insieme anche il film è bello. Ed è distante anni-luce dalle troiate a base di sentimenti, amore, e scienziati donne irrazionali (qui le donne sono serie, fredde, non sono botoli di sentimentalismo antiscientifico) di troiate come Interstellar.
Però il romanzo è meglio.

Compratelo. Leggetelo. Spakka.

Forse L’uomo di Marte non è davvero fantascienza in senso stretto, visto che descrive e impiega tecnologie o già esistenti o in sviluppo avanzato, come nei romanzi scientifici di una volta, ma di sicuro è una figata che può piacere sia ai fan dell’Hard Sci-Fi sia ai comuni lettori che cercano un po’ di sana meraviglia scientifica con un protagonista pieno di risorse.

Una storia sugli uomini che fanno, non che frignano.
C’è chi dice che sono storie che ormai non piacciono più, che ormai si preferiscono storie più lagnose e intimiste, ma l’enorme volume di vendite del romanzo pare dire proprio il contrario: forse è meglio smetterla di raccontarsi ciò che si vuole credere del pubblico e riprendere a credere nel pubblico.

Ma sono anni che lo si dice agli editori.
E non ascoltano mai. :-)

Il Duca di Baionette

Sono appassionato di storia, neuroscienze e storytelling. Per lavoro gestisco corsi, online e dal vivo, di scrittura creativa e progettazione delle storie. Dal 2006 mi occupo in modo costante di narrativa fantastica e tecniche di scrittura. Nel 2007 ho fondato Baionette Librarie e nel gennaio 2012 ho avviato AgenziaDuca.it per trovare bravi autori e aiutarli a migliorare con corsi di scrittura mirati. Dal 2014 sono ideatore e direttore editoriale della collana di narrativa fantastica Vaporteppa. Nel gennaio 2017 ho avviato un canale YouTube.

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