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Cadaveri e candidati per il posto: tre edificanti storie di editoria

Non ho fatto in tempo a comprare la bottiglia di Alta Langa spumante millesimato di Cocchi che volevo tenere da parte per festeggiare La Caduta di Armenia, parafrasando la demenziale traduzione che la prestigiosa casa editrice fece del titolo della serie di Erikson (al posto di Il libro Malazan dei caduti oppure del Caduto: vedere wikipedia per altre meravigliose traduzioni da capraro armeno). Peccato. Per cui quando ho letto che era davvero in liquidazione (avevamo iniziato a parlarne a giugno) e ho potuto spulciare i documenti relativi messi online sul sito del Tribunale di Milano, non ho stappato nessuno spumante.

Aristotele, precettore di Alessandro Magno, 2300 anni fa insegnava cose che molti “professionisti” italiani ancora oggi non studiano e di cui si stupiscono quando le scoprono.

Non so, alla fine è così triste l’editoria italiana, così triste vedere questi cattivi editori che facevano un cattivo lavoro e finalmente fanno una cattiva fine, che la voglia di brindare passa. D’altronde manca il coinvolgimento emotivo: Aristotele aveva ragione nella Poetica a dire che è “piacevole” seguire le vicende di persone moralmente giuste (antipatiche o simpatiche non importa) a cui accadono disgrazie immeritate e ingiustizie, ma è molto meno interessante vedere gente schifosa a cui capita solo ciò che si merita.

Non sono quelli i protagonisti di cui il pubblico vuole sentire le storie: senza pietà (empatia) per l’eroe non può esserci la paura (suspense) e quindi è negata la liberazione della “catarsi” nel lieto fine in cui l’eroe trionfa rassicurando così il pubblico che le cose possono finire bene anche quando partono molto male. Aristotele amava il lieto fine ben prima di Hollywood, tanto da criticare il finale tragico dell’Edipo Re perché dietro non si nasconde alcun lieto fine conseguente (in Shakespeare invece di norma c’è: basta pensare a Romeo e Giulietta, unione nella morte e pace tra le famiglie, o al Macbeth, un nuovo re migliore).
L’editoria italiana è troppo spesso come una brutta tragedia in cui personaggi che non sono degni di esserne gli eroi e non creano empatia con il pubblico (nemmeno quella possibile a un Macbeth), falliscono miseramente e subiscono ciò che meritano di subire, senza alcuna ingiustizia che ci faccia arrabbiare per loro.

San Giuseppe Benedetto Cottolengo, patrono della “migliore” editoria italiana!

Solidarietà ai lavoratori Armenia competenti, se ce ne erano: e meritato fallimento a tutti quei cialtroni che hanno operato con incompetenza riducendo quel marchio a simbolo di infamia nel fantasy, con solo le opere di Erikson e poco più (pur con tutti gli errori di traduzione) a salvarli dall’avere ZERO lettori che augurassero ad Armenia la sopravvivenza. A parte gli astrologi, che in fondo si occupano pure loro di fantasy… di un tipo non molto intelligente e spesso con propositi non molto onesti. Meglio allora il fantasy più cliché con i nani nelle miniere, gli elfi nei boschi e gli scrittori al Cottolengo.

Il Gruppo Editoriale Armenia srl è stato messo in liquidazione e la gara per aggiudicarselo è avvenuta il 28 luglio 2014. Spulciando i documenti forniti dal Tribunale si dovrebbe poter scoprire qualcosa sui dietro le quinte di una casa editrice con distribuzione nazionale, e così famosa, fallita. E soprattutto vediamo come viene valutata l’azienda dal Tribunale, nelle diverse componenti cedute, per deciderne la base d’asta di 175.000 euro.

Il Fallimento Gruppo Editoriale Armenia cede l’azienda avente per oggetto l’attività di redazione e divulgazione di pubblicazioni di interesse vario, così composta:
magazzino merci;
marchio (ancorché non registrato);
contratti di diritti di autore e/o traduzione.
Prezzo base euro 175.000,00 con scatti in aumento non inferiori ad euro 2.000,00. Presentazione offerte con cauzione del 10% entro le ore 12.00 del giorno 26 luglio 2014. Apertura buste e svolgimento gara informale il giorno 28 luglio 2014 alle ore 15.00 davanti al Curatore.

Iniziamo con una domanda che pare lecita: ma chi potrebbe voler comprare Armenia?
Il Tribunale di Milano risponde puntualmente indicando che la valutazione di congruità dell’offerta d’asta è stata effettuata in seguito all’interessamento de Il Castello Srl, azienda che proprio due anni fa comprò Asengard, editore di fantasy sull’orlo del fallimento. Con Asengard, anche se il sito dedicato è fermo da ottobre (e la cosa è preoccupante: facendo due chiacchiere con un paio di lettori, il sospetto più forte è che il fondatore, Edoardo, non sia più in Asengard), pare abbia fatto un buon lavoro: ha ridotto drasticamente la pubblicazione di italiani e ha iniziato a portare opere straniere interessanti, come L’Alchimista di Ekaterina Sedia, assieme a opere molto commerciali ben scelte, nel senso che hanno avuto (perlomeno a quanto riferito sui primi due volumi) ottime vendite, come i romanzi su Doctor Who.

Se proprio bisogna portare roba commerciale in senso negativo, che almeno si porti quella che vende per davvero (questa regola i Grossi editori non riescono a seguirla sempre per cui ci imbottiscono di puttanate che comprano in pochissimi). Nel caso di Il Castello bisogna anche vedere quanto del successo o delle buone scelte dipendesse da collaboratori con cui ormai hanno tagliato i ponti. E comunque perché dovrebbero voler comprare Armenia mi sfugge, visto che il presunto prestigio del marchio, la simpatia che una nicchia di pubblico fantasy aveva per Asengard, non c’è per Armenia (che più che “famosa” era “infamata”). Forse per il magazzino?

Un Castello finito male… scelte editoriali sbagliate?

Continuiamo a leggere il documento di prima.

L’analisi comparata degli ultimi 5 anni di attività, evidenzia risultati costantemente negativi presentando, in particolare, perdite maggiori rispetto ai risultati già negativi del settore.Nello specifico si assiste ad una costante riduzione dei fatturato nei cinque esercizi presi in esame senza che i costi abbiano seguito un’equivalente riduzione percentuale. A conferma di quanto già descritto, si evidenzia poi che molti degli indicatori di bilancio presentano risultati peggiori di quelli della media del settore: la contrazione del fatturato, l’elevato livello di indebitamento e i continui risultati negativi parrebbero essere la fotografia della crisi dell’azienda, successivamente fallita.

Prosegue a pagina 7 indicando che l’offerta inizialmente fatta da, immagino, Il Castello Srl (il documento censura, dopo la prima volta, tutti i riferimenti a chi ha dimostrato interesse per l’acquisto) preveda di tenere solo 1 o 2 degli 11 dipendenti precedenti, con il solo scopo di avviare e riorganizzare il rilancio del marchio Armenia dopo l’acquisto. Direi che è un bel taglio, da 11 a 2. Mi ricorda un po’ quando faccio i conti su come funziona Vaporteppa e quanta gente serve invece per fare le stesse cose da altre parti.

Ciò che il fortunato acquirente otterrebbe con l’acquisto è così composto: magazzino; marchio; contratti. Ognuna di queste componenti ha un valore da stimare. Secondo il Tribunale, il magazzino composto da quasi 825.000 copie di libri ha un valore di copertina di 10.639.000 euro e un valore calcolato da Armenia stessa, al bilancio del 31 dicembre 2013, di 610.000 euro. In pratica Armenia già si diceva da sola, valutandosi il magazzino, che ne sarebbe rimasto invenduto il 94% del valore. Sembra una stima credibile, ma non lo è.

Il Tribunale, rimanendo nei valori di stock del 1-5%, fa una stima più credibile valutando i libri in base a quanto hanno venduto in un periodo scelto di 22 settimane. Le 23.000 copie vendute in 22 settimane (un migliaio di copie a settimana avendo però 11 dipendenti da pagare, da suicidio) vengono divise in tre gruppi: le opere che hanno venduto almeno 20 copie in 22 settimane (14.000 copie vendute, 195.000 rimaste), quelle che hanno venduto meno di 20 copie (9000 copie vendute, 441.000 rimaste) e quelle che non hanno venduto niente (189.000 copie rimaste).
Al primo gruppo attribuisce un valore stock del 3% del prezzo di copertina, al secondo gruppo 1% e al terzo, per pura carità, un simbolica 0,5%. Totale 153.190 euro. Usando un diverso sistema di calcolo, quello impiegato nel caso di un altro editore fallito a cui le 160.000 copie vennero valutate 0,26 euro l’una, verrebbero invece 214.500 euro. Quest’ultima cifra, ci riferisce il Tribunale, è considerata irragionevole dall’offerente che ritiene il magazzino Armenia di minima vendibilità e lo valutata… suspense! Il documento è opportunamente censurato, anche se sotto la cancellatura si scorge un 20 o un 22 centesimi a copia, credo. Non importa molto.

“Perché voi valete!”

Ma in questo benedetto magazzino cosa c’è dentro?
Può essere interessante buttare un occhio sugli avanzi di Armenia, su tutta quella massa di invenduti, di copie già rese dai librai e di copie ancora in libreria speranzose di venire vendute: circa 825.000 copie di EPIC FAIL da comprare. Qui non si tratta di pareri personali, sono un Epic Fail certificato dal Tribunale e con un parere molto negativo perfino da parte dell’aspirante compratore di Armenia! Un altro documento del Tribunale viene in nostro soccorso, il verbale di inventario del 20 giugno 2014.

Ecco quali meravigliosi titoli si è comprato il fortunato acquirente di Armenia, se c’è stato un acquirente: 1769 copie di Il Risveglio del Demone (2001), 1527 di L’Ora di Wulfgar (2002), 2637 de I Draghi della Luna Evanescente (2003), 1843 de La Stella degli Elfi (2003), 1437 copie de Il Destino dei Gemelli (2003), 1509 de Gli Elfi d’Inverno (2007), 2286 de I Troll (2006), 2607 de Gli Orchi (2008), 3217 de La Corona di Lytar (2009), le 3492 di Emily Laing e l’Antica Metropoli (2009), 2326 de La Guerra dei Troll (2009) e poi tanto altro fantasy assieme decine e decine di migliaia di copie di altre delizie come le 2992 de Il Piccolo Libro di Padre Pio (2008), le 3692 di Le 10 Regole per Risparmiare (2009), le 3325 di Aion (2010), le 2800-2900 copie per ogni singolo segno zodiacale della serie Se il Tuo Bambino è… (2010) o le 6000 complessive dei due volumi di Segreti tra Ragazze (2011)!
Che prelibatezze: questo è un goloso banchetto per coprofagi! Manca solo il depravato in impermeabile a spruzzare di salsa d’uomo tutte queste delizie!

Ops, è caduto in terra! Che spreco, è tutto sporco ora, non lo si può mangiare più!

Il fantasy è perfino poco, se consideriamo che vari titoli non sono contati perché già finiti al macero completamente da un pezzo (es: La Lama Nera di De Judicibus) e degli altri bisogna considerare, soprattutto sui più vecchiotti, che una parte probabilmente è già andata al macero. Alcuni titoli hanno sicuramente venduto bene o molto bene, all’epoca, penso per esempio a certi libri su Dragonlance di cui probabilmente le 1500-2000 copie in magazzino adesso riguardano l’ultima ristampa.
Basta pensare alle sole 4 copie rimaste di libri come La Trilogia delle Terre Perdute (2006) che ha solo 3 recensioni su IBS (0 su Amazon): non penso di dovervi sottolineare che non è credibile, e lo è ancora meno con così poche recensioni nei negozi, che abbia avuto resi inferiori al 1% quando il 20% è considerato fisiologico e il 70% è quello medio che parecchi anni fa permise di ottenere l’IVA ridotta al 4% per i libri. Giusto?

Avete visto già prima quanto vendevano questi libri: se le 441.000 copie del gruppo che vende 9000 copie ogni 22 settimane continuassero sempre a vendere con questo ritmo (possibilità NON credibile) impiegherebbero 20,6 ANNI a essere vendute tutte. Non prendiamoci in giro, quel magazzino non vale né 610mila euro né 153mila euro: c’è da pagare per portare via tutto coi camion e poi mandarlo al macero direttamente. O piazzare tutto nei mercatini dell’usato e ai rivenditori di libri su eBay (ecco, lì magari i soldi previsti li si fanno vendendo a casse da 50 centesimi a volume: ho un amico venditore che qualche cassa di fantasy se la prenderebbe volentieri).

Rimangono ancora due aspetti da valutare: valore del marchio e contratti.
Il valore di un marchio è qualcosa che viene spesso sopravvalutato dalla gente, convinta che abbia valore in sé. Tipo, non so, un’azienda per anni fa schifo e infine fallisce, ma il suo marchio è una miniera d’oro. Sì, WTF è il minimo: a meno che non sia fallita perché era fantastica, amata e con tante vendite legate DIRETTAMENTE al marchio famoso, ma gli è caduto un meteorite sopra il magazzino con mezzo milione di libri non assicurati… ma non è questo il caso. Qui abbiamo un marchio editoriale che NON RIESCE A VENDERE nonostante la sua distribuzione nazionale in Italia e il nome conosciuto. Eppure non è difficile trovare gente online che lo ritiene “appetibile” e prevede che verrà comprato e valorizzato di nuovo, come fece Mauri Spagnol snaturando la Nord e assassinando la già malaticcia (a causa di pessime scelte editoriali negli ultimi anni) Fantacollana che ne era stata il simbolo.

Salve, siamo la Fantacollana. Dal 1973 siamo stati un punto di riferimento, assieme a Urania, per i lettori italiani. Abbiamo portato le opere di una gran varietà di autori:
Turtledove, Card, Garrett, Friedman, Zelany, Vance, Leiber, Silverberg…
Negli ultimi anni della sua direzione, Viviani ci fece pubblicare la merda di Andrea D’Angelo e altra roba indegna del nostro nome e siamo falliti, sudici di vergogna. Mauri Spagnol ci ha comprati nel 2005. Sotto la direzione di Mauri per TRE anni abbiamo avuto solo antologie di racconti di Marion Zimmer Bradley.
Ogni. Singola. Fottuta. Uscita. Poi siamo morti. Strano, eh?
Potevano scegliere tra la morte e il disonore: scelsero il disonore e ci diedero la morte. Ora vaghiamo nell’Ade e li aspettiamo per poterci vendicare.

Ci si domanda che cosa intendano alcuni con “marchio appetibile”…
Vediamo cosa dice il Tribunale sul valore del marchio Armenia che, seppur non registrato, per semplice uso è divenuto marchio editoriale riconoscibile e non copiabile da altri nello stesso ambito commerciale in Italia. È un valore “intangibile” calcolabile: il nuovo padrone potrà poi provvedere a registrarlo, se vorrà. Il Tribunale fornisce una stima del suo valore, ma è ovviamente molto difficile farla in modo sensato perché da anni Armenia ha i conti in rosso. Un marchio che seppur ben riconosciuto non fa soldi, non sembra molto appetibile… di sicuro vale molto meno del suo magazzino di libri.

Il Tribunale, non sapendo che pesci pigliare, stima il valore del marchio in un range, calcolandolo con il tasso di redditività applicato ai fatturati di due anni: il 2011 al 6%, ultimo anno positivo, e il 2013 al 2%, l’anno da cui chi lo comprerà dovrà davvero partire (con un marchio ormai zoppo e che ha perso posizioni sul mercato). È palese che solo questo secondo valore può avere senso, visto che le passate fortune di un marchio morente non contano niente. Facendo un paragone contemporaneo: in Europa a chiedere flessibilità economica non ci si va con la Storia dell’Impero Romano, ma con i conti di oggi. Ecco il valore del marchio per come si era ridotto nel 2013: 13.279 euro.

D’altronde i bilanci 2009-2013 hanno messo in luce uno scenario da incubo, con una profonda crisi editoriale già prima dell’arrivo della crisi vera e dei passivi dell’editoria italiana nel 2011:

Ma non dicevano, per giustificare la merda, che gli editori devono pensare a guadagnare? Armenia coniugava le peggiori porcate commerciali con l’incapacità di arricchirsi.

Fatturati in calo costante, con un crollo del 50% nel 2013.
Costi incapaci di ridursi in proporzione, con oscillazioni demenziali: se nel 2012 avevano costi per 1,4 milioni e ricavi per 1,2 milioni, misteriosamente nell’anno in cui ottennero aiuti dallo stato, con la cassintegrazione straordinaria, le loro spese balzarono a 2,8 milioni (il DOPPIO) pur fatturando solo 0,66 milioni (la META’). Poi uno va a pensare male, eh… speriamo fossero solo spese posticipate e ormai inevitabili e non, come troppo spesso capita in questi casi, spostamenti di soldi con acquisti e donazioni per far uscire più soldi possibili prima di portare i libri in tribunale.

Alla fine il Tribunale non attribuisce alcun valore ulteriore ai contratti perché in gran parte decaduti e i rimanenti vengono considerati come già conteggiati nel valore del marchio stesso. Tira i conti e, come abbiamo visto all’inizio, mette una base di partenza di 175.000 euro. In pratica come se il marchio non valesse nulla e i libri venissero valutati poco più di 21 centesimi l’uno. Come detto, d’altronde, i 26 centesimi standard non li valgono. Figo, eh?

Quasi tre settimane dopo, ancora non ho visto annunci su chi avrebbe acquistato Armenia. Il Castello Srl non ha rilasciato comunicati sul sito. Se qualcuno sa qualcosa, mi faccia sapere.

“175.000 euro, solo 175.000! Guardate che catalogo: chi offre 175.000?”

Passiamo alla Mondadori.
Dopo il morto, un possibile candidato a fare una brutta fine se continua a fare cazzate. Magari non il fallimento, ma qualcosa di poco allegro sì. Come da un paio di anni, a rallegrare la mia estate è arrivata la relazione finanziaria semestrale al 30 giugno 2014 della Mondadori! Adoro leggerla, è meglio del miglior Pratchett. Ricordate quando scrissero che se Saviano lo cita a Che Tempo che Fa vende molto perfino un libro di poesie polacche? Epico.

Infine, il caso editoriale più inusuale della prima metà del 2012: la raccolta di poesie diventata un bestseller. Ci riferiamo alla polacca Wislawa Szymborska, premio Nobel nel 1996, che ha spopolato in libreria dopo la sua scomparsa a febbraio (e dopo essere stata ricordata da Roberto Saviano alla trasmissione televisiva Che Tempo che fa).

Insomma, Mondadori pubblica la mia lettura preferita dell’estate, c’è poco da girarci attorno. Ed è pure gratis. Nessun altro editore fa meglio di Mondadori.

Sarà all’altezza il numero dell’estate 2014?
No, non lo è. Mancano gli elementi di autentico lulz dell’imbattibile 2012, c’è solo l’imbarazzante performance di un gruppo editoriale che ha tagliato 70 milioni di spese per migliorare le proprie prestazioni rispetto all’anno scorso: -13,1% nei costi e solo -10,3% nei ricavi consolidati. Quando i costi si riducono quanto o più della contrazione dei ricavi, di solito significa che si sta tagliando adeguatamente (perlomeno a numeri, poi magari si fanno scelte disastrose sul medio e lungo termine). Forse sarà l’unico complimento che potremo fare a Mondadori, per cui godiamocelo.

Come sta l’editoria italiana?
Per capire i numeri che la Mondadori ci mostrerà è importante sapere come sta andando l’editoria. Ricordate quei bei crolli a botte del 5% l’anno? Storia passata! La nuova moda è l’8%! E così il primo trimestre segna un -5,3% a valore mentre il secondo trimestre un -8%, per un totale semestrale del -6,6% (e -9% a copie), secondo i dati Nielsen utilizzati dalla Mondadori. In base a quel -6,6% possiamo valutare le performance dei diversi marchi editoriali della Mondadori, senza lasciarci ingannare dal totale del gruppo che segna solo un -4,1% che potrebbe illuderci di performance migliori della media!

Per ulteriore paragone allego anche la tabella del 2012, così saranno disponibili i valori di 4 annate diverse:

Anche a voi non tornano i conti guardando quei crolli enormi? Solo -4,1%?
La magia sta tutta nei due piccoli estranei, quelli che non c’entrano con i marchi editoriali veri e propri: distribuzione libri e altri ricavi, entrambi in ottima risalita! Ecco quei 13 milioni mancanti che tramutano un -16,6 % (considerando solo i marchi editoriali trade) in un -4,1%. Pensano che non se ne accorga nessuno, che guardino solo i dati riassuntivi? Ciò che a noi importa per capire la salute degli editori in sé sono i libri, o meglio i “libri trade”, e lì… beh, è inutile dire che Piemme e Edizioni Mondadori hanno fatto molto peggio del -6,6% medio del mercato. Complimenti a Sperling & Kupfer che di nuovo si dimostra un piccolo editore solido, con una crescita di ben +19,8%, ed Einaudi regge il colpo con solo -1,9%.
Il bisonte Edizioni Mondadori, pur essendo presente, come si vanta

nella classifica dei 15 libri più venduti nel 2014 con La strada verso casa di Fabio Volo e con Splendore di Margaret Mazzantini

fa il risultato più merdoso del gruppo in percentuale (-27,6%) e in ricavi mancanti (-13,2 milioni). Fa un po’ senso vederlo passare dai 60,1 ai 34,6 milioni di euro in tre anni, -42,4%.

Ci sarebbe altro di cui parlare, ma davvero dopo certi dati da condanna a morte passa la voglia di prendere in giro. Va bene finché si scherza, Mondadori qua, Mondadori là, ma questi stanno davvero messi di merda. E come spiegato all’inizio, non riesco davvero a trovarlo divertente. Mi piace, ma non come pensavo mi sarebbe piaciuto. Grazie Mondadori, riesci a rovinare anche questo.

Qualcuno certamente ora griderà: “te guardi sempre ai ricavi, ricavi, ricavi! Sei satanico! Cosa si insegna oggi a scuola, eh? Ricavi, scopaggio, frogi, bestemmie e satanismo! Non si insegna più a prega’ aGGesù, eh?! Va a recita’ il rosario invece di pensa’ a ‘ste cosacce!”
Ragionevole, vero, bado molto ai ricavi perché quando tracollano così tanto in un settore in cui la media del crollo è nettamente inferiore, è praticamente certo che siano un buon parametro. Ma è vero, bisogna guardare i costi: se i costi sono scesi più dei ricavi, il quadro diventa un pochino meno fosco. Eccoli qua:

Qui per forza dobbiamo tenerci tra le palle tutto, inclusi altri ricavi e distribuzione libri, d’altronde non abbiamo idea di come sbarazzarci delle componenti di costo della distribuzione. Comunque, inglobando due valori ulteriori in forte crescita potrebbe solo andare meglio? Forse, ma non abbastanza. Quei 70 milioni di euro di tagli, con tanto di 85 licenziamenti ulteriori, tanti dipendenti obbligati a divenire partite IVA e perfino la richiesta ai librai di rinunciare a parte degli incassi già fatti per devolverli a Mondadori (LOL!), hanno ridotto i costi delle case editrici (più distribuzione) di solo 1,1 milioni di euro. RIDICOLO. E infatti il margine operativo lordo si è dimezzato.

I ricavi di tutto l’ambaradan assieme fanno -4,1%, mentre i costi solo -0,99%.
Questo è il quadro di un gruppo incapace di ristrutturare i propri costi per adeguarsi alle minori entrate.

Guardate nella tabella  i costi e i ricavi nello stesso periodo del 2012 e 2011:

Avevano già tagliato tanto nel 2012 e nel 2013, ma mai abbastanza: nel 2012 rispetto al 2011 il crollo di circa il 13% nei ricavi è stato compensato da un crollo adeguato nei costi, ma già nel 2013 rispetto al 2012 era iniziato lo squilibrio con -7,4% ricavi e solo -6,7% costi. Da un margine di 15,7 milioni nel 2011, sono passati ai 5,4 milioni di oggi: crollato di 2/3. Questo è inaccettabile per un’azienda seria.

D’altronde finché si riempiranno di gente, editor, direttori inetti e servetti vari, che fanno in 10 il lavoro che un solo specialista VERO fa da solo perché un po’ sono degli inetti e un po’ cazzeggiano per ore, e spesso perfino il poco lavoro che fanno lo fanno molto peggio di come lo potrebbe fare un vero esperto (libri di merda scelti di merda), potranno solo continuare così.
Per non parlare SOPRATTUTTO di dirigenti a caso e altri ruoli dell’Aristocrazia Mondadori fatta di cariche e stipendi che NON GENERANO entrate pari o superiori all’azienda. Per me va benissimo tenere un gonzo in più dandogli 500mila euro l’anno, ma quel gonzo deve portare 500mila euro in più di ricavi a compensare il costo. Se li porta, puoi anche metterne 100 così. Se sono solo Aristocrazia con rendite, li deve cacciare. O si esce dalla mentalità italiana del “10 che lavorano e 10 che comandano senza produrre un cazzo” e si torna a “1 che comanda senza produrre, 19 che producono” o si muore. Con disonore.

Passiamo al digitale:

E-book: i ricavi per la vendita di e-book crescono di quasi il 13% rispetto al primo semestre 2013, per effetto di un catalogo che si arricchisce continuamente e che attualmente conta più di 7.000 titoli. La performance è certamente rilevante considerato l’elevato numero di download registrato nei mesi di maggio e giugno del 2013 per i due best seller E l’eco rispose e Inferno

Un +13% negli eBook è tanto o poco?
Chi ricorda qualcosina dei dati di crescita del mercato avrà già capito che è poco, che Mondadori sta perdendo quote di mercato a favore di altri editori, ma quanto poco? Qui viene ci viene in soccorso Antonio Tombolini, proprietario della principale piattaforma indipendente di distribuzione digitale (oltre 30.000 titoli e 1000 editori), che muove, se ricordo giusto, circa il 40% del volume di titoli digitali esistenti. È lo stesso signore che mi passa qualche soldo mentre cerco di dimostrare, con Vaporteppa, che sono in grado di fare perfino peggio dei dinosauri editoriali più ritardati (“Con questo progetto non è possibile fallire!” – “Fidati di me, IO posso fallire!”). ^_^

Dicevo, Antonio Tombolini è stato intervistato dalla International Publishers Association e ha rilasciato qualche dato utile per noi: gli eBook in Italia sono cresciuti, secondo i dati di cui dispongono, di un +100% da 2013 a 2014 (e gli autopubblicati ancora di più), passando da un mercato di 30 milioni di euro a un mercato (stimato) di 60-70 milioni. Ora pensateci da soli: per Mondadori, un colosso abituato a controllare MINIMO il 25% del mercato editoriale, crescere del 13% quando il settore cresce del 100% come vi suona? A me suona di merda. Più o meno come crollare del 27,6% quando il mercato scivola del 6,6%. ^_^ Poi non so, non sono un esperto… magari c’è una peculiare e raffinata bellezza del tentare di allineare anche l’unico settore in positivo con i segni negativi degli altri… non ho lo spirito da esteta di certi editori, mi scuso. ^_^”

L’ultima delle tre edificanti storie di editoria, dopo Armenia e Mondadori, si spiega da sola:

Beh, Shinji aveva di sicuro un rapporto non facile col padre… anche se alla crudeltà di obbligarlo a scrivere minchiate sul diario non era arrivato. ^_^”

Ok, è roba vecchissima, risale al 2001, ma è sempre un piacere da ricordare perché rappresenta quel tipo di mentalità da due soldi dell’Italia editoriale. Un fotogramma fuori contesto, e nemmeno troppo bello o ben scelto, quasi certamente di cui NON hanno comprato il diritto d’uso, buttato su un classico considerato forse ormai poco vendibile (e allora perché ristamparlo? Salva una foresta, vattene affanculo pubblica eBook!).

Epico commento ironico:

In questa versione i ragazzi vanno a scuola a bordo di un Evangelion, il modello Cuore 01. Non ci sono commenti…

Con tanto di immagine in abbinamento (grazie a Okamis):

Cuore: i Mech di Umberto I

Tra la Mondadori in pieno crollo che ha praticamente smesso di pubblicare saggi storici decenti e si rifugia in libri che aspirano a divenire bestseller per lettori da 1 libro l’anno, continuando come criceti ritardati che mordono il cibo elettrificato a reiterare gli errori che hanno causato la crisi editoriale (che, ricordiamo, non è legata a quella economica: storicamente l’editoria era anticiclica, andava meglio quanto tutto andava peggio), e i piccoli editori che oggi come 13 anni fa continuano a fare stronzate…

…ecco un piano per una collana editoriale! Gratis! Chi vuole prenderlo può concretizzarlo, lo regalo. Poi se non lo fate siete nati stronzi, ma io ci ho provato a darvi una mano. Un collana di saggistica d’attualità e manuali pratici, sincera, diretta e onesta, con direttore onorario Calderoli (in modo che faccia pubblicità e per il prestigio), considerato da esponenti del PD come la Finocchiaro uno dei più capaci ed intelligenti politici italiani, amato soprattutto dai Cinque Stelle (“Noi li vedevamo in tv e ci parevano tutti orrendi, invece ce ne sono di intelligenti e preparati, gran faticatori. Per esempio Calderoli” disse Buccarella, o “Roberto Calderoli è il miglior vicepresidente del Senato che ci sia: quando è lui a presiederla, l’Aula funziona benissimo”, disse Serenella Fucksia ecc.) e soprattutto mito vivente per tutta Bergamo, massima espressione della grandezza cittadina e della sua anima, fin dal tempo delle passeggiate coi maiali sui siti per le moschee. Anzi, solo per le passeggiate coi maiali. A Bergamo siamo gente concreta. Con questa formula vincente può nascere Edizioni Ammerda.

E alle presentazioni in libreria, panino con lo stronzo per tutti!

Ho già in mente una lista di titoli da commissionare per avviarla nel primo anno:

  • Se fai sesso con il culo sei un malato di mente – piccola guida di conversazione con gli omosessuali a uso dei normali.
  • Pizze di fango – storia economica degli africani, da quando stavano sugli alberi alla discesa nella merda.
  • Spalle al muro e sempre in gruppo – manuale di sopravvivenza allo stupro per chierichetti.
  • Come carichi di banane – storia dell’emigrazione dei negri sui barconi ammassati.
  • Facce nuove, stronzi uguali – la nuova immigrazione cinese, da accattoni a ricconi.
  • Tutti in Paradiso – come nuclearizzare la Mecca e mandare gli inculacammelli a godersi le loro vergini.
  • Una meravigliosa distesa radioattiva – come liberarsi in un colpo solo del pericolo nucleare e dei negri.

E poi magari pubblicare pure un libello di Borghezio, se trovate un traduttore Ritardato-Italiano! È questo il futuro, è questa l’editoria di qualità che vende, unendo l’utilità sociale con la vendibilità. No, non è ironia: è la vera editoria a essere l’ironia.

Metafora dell’editoria italiana?
(http://elblogdejoancornella.blogspot.it/)

Qualche volta mi si chiede cosa penso che succederà in futuro a colossi come Mondadori, anche alla luce della caduta e acquisizione di Penguin (un Big Six in meno in poche ore) che ci ha mostrato come nessun editore sia troppo grosso per fallire. Non so che dire. Penso che ne vedremo cadere tanti di piccoli e medio-piccoli, e nascere nuovi editori al loro posto, assieme a tanti editori di sé stessi non diversi da quegli editori di una volta che pubblicavano solo il libro o libri del fondatore stesso (e da giudicare con gli stessi criteri degli altri editori, nel bene e nel male, essendo sullo stesso terreno di gioco).

E i grossi? Eh, già, i grossi. Penso che se Mondadori non rimetterà davvero il culo in carreggiata, passerà brutti problemi. Se non troverà una strategia per smetterla di andare male, problema che la accomuna anche agli altri big, mentre col digitale tantissimi nuovi piccoli editori continuano a crescere (e anche medi come Newton Compton), tra cinque anni non posso giurare che esisterà ancora. O che non sarà divenuta proprietà di qualche vero Big capace di inglobarla e riformarla sul serio, con licenziamenti in massa e nuovo personale competente. Lo stesso discorso vale per le sue colleghe.

 

Il Duca di Baionette

Sono appassionato di storia, neuroscienze e storytelling. Per lavoro gestisco corsi, online e dal vivo, di scrittura creativa e progettazione delle storie. Dal 2006 mi occupo in modo costante di narrativa fantastica e tecniche di scrittura. Nel 2007 ho fondato Baionette Librarie e nel gennaio 2012 ho avviato AgenziaDuca.it per trovare bravi autori e aiutarli a migliorare con corsi di scrittura mirati. Dal 2014 sono ideatore e direttore editoriale della collana di narrativa fantastica Vaporteppa. Nel gennaio 2017 ho avviato un canale YouTube.

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