O ispirandosi a un film recente, dieci anni troisiano. Sembra ieri, ma sono già passati dieci anni esatti dal giorno in cui le prime copie di Nihal della Terra del Vento, ancora per molti, come me, la massima opera di Licia Troisi, vennero messe in vendita nelle librerie con alcuni giorni di ritardo rispetto la prima data ipotizzata (mi pare 31 marzo). Dieci anni.
Questo non sarà un post lunghissimo come quello dedicato all’anniversario della scomparsa (del sito) di GL, con cui tra l’altro voglio congratularmi per il meritato successo internazionale in quei paesi che il Fantasy lo capiscono e lo rispettano, come diceva lui (Amazon Francia e Amazon Germania: lo trattano a pesci in faccia, dicendo che il romanzo non ha senso e i personaggi sono piatti), ma sarà comunque nostalgico.
Perché senza Nihal della Terra del Vento, e senza il successo di Licia Troisi, probabilmente non ci sarebbero stati né Baionette Librarie né Gamberi Fantasy. Ricordo che quando nacque Gamberi Fantasy, sito che avevo seguito fin da subito visto che conoscevo i fondatori e Bubba (uno dei collaboratori del primissimo periodo), Gamberetta aveva da subito avuto l’intenzione di recensire in modo dettagliato la prima trilogia di Licia Troisi, opera che l’aveva resa furente per lo sdegno, non appena avesse avuto una quantità di visitatori minima.
Possiamo dire che Fantasy Gamberi sia nato come reazione oltraggiata di fronte allo schifo, al degrado, alla malafede e all’incompetenza degli editori italiani, disposti sempre a far del male solo per il piacere degenerato del male, incluso investire soldi e risorse in fantasy atroci quando sarebbe bastato pochissimo (un minimo di competenze) per renderli “brutti in modo passabile” (scritti un pelino meglio di Nihal e molto meno stupidi).
Senza questa sensazione di schifo, probabilmente io avrei continuato a scrivere fantatrash fantasy simil-steampunk studiando “il minimo necessario” un po’ alla volta (come facevo nel 2006-2007), senza inoltrarmi così tanto nei manuali e senza appassionarmi di editing fino al punto di trovare il lavoro sui testi altrui e l’insegnamento molto più interessanti della scrittura stessa. E così non ci sarebbe stata nemmeno la collana Vaporteppa o quel sano e normale sentimento di stima che talvolta manifesto nei confronti della Dea Gamberetta.
I meravigliosi articoli di Gamberetta sulle opere di Licia Troisi:
Licia Troisi in pochi anni divenne la “Regina del Fantasy Italiano” nelle definizione entusiaste di giornalisti prezzolati che decantavano lei, la Strazzulla, il Ghirardi e tanti altri soggetti di simile valore, chiamandoli degni eredi di Tolkien. Detto da una persona che sa di cosa parla e conosce la narrativa, l’insulto camuffato fa sorridere: detto da giornalisti ignoranti come capre, in contesti di chiara lode, aggiunge solo l’insulto dell’ignoranza al degrado delle servili leccate di culo.
Licia Troisi, Regina del Fantatrash italiano, in pochi anni divenne un piacevole ricordo di quando eravamo ingenui e pensavamo che quello potesse essere il punto più basso del fantasy.
L’ho detto molte volte, l’ho scritto anche nell’articolo su GL linkato sopra, ma devo ripeterlo: dopo Licia Troisi, le cui opere fanno schifo ben oltre ogni tollerabilità editoriale, ciò che è venuto fu quasi sempre peggiore. Perfino Silvio Sosio, autore il 20 aprile 2004 della prima “seria” presa di posizione contro la Troisi in tempi e luoghi non sospetti, ben quattro anni dopo l’uscita di Nihal disse che:
abbiamo una quantità di altre nefandezze che riempiono gli scaffali del fantasy da far apparire i libri della Troisi capolavori.
Pur nello schifo, e dopo aver visto ben di peggio nel mondo editoriale, Licia Troisi mi sta simpatica e adoravo la sua ingenuità, come quando scrisse nell’aprile 2005:
Sono allora capitata nei commenti all’edizione economica del mio primo libro. Dovete sapere che c’è questa cosa strana: la versione deluxe del primo libro conta quasi solo commenti positivi, quella economica solo commenti negativi. Eppure è lo stesso identico libro; l’unica differenza è il colore della copertina e la consistenza delle pagine. Mah, misteri della mente umana. E lì, mi sono imbattuta in una caterva di commenti sull’acido andante. E mi sono ammosciata.
Completamente ignorante del fatto che la Mondadori, come tanti altri editori, dissemina di recensioni false IBS e altre librerie. Recensioni spesso facilissime da identificare, scritte parodiando un certo tipo di adolescente analfabeta e/o ritardato medio che esiste in massima parte solo nella testa degli editori (non perché non ci siano, ma perché probabilmente non leggono).
Vedere la reazione sconcertata di Licia Troisi di fronte a un errore momentaneo, la Mondadori che si era scordata di far disseminare le false recensioni adoranti anche sull’edizione paperback, lasciando così solo le recensioni di VERI CLIENTI (di cui troppe negative), mi riempe di quell’affettuosa commiserazione di quando si guarda un animaletto scemo lanciarsi ancora e ancora contro un vetro, senza che riesca a capire cosa lo fermi.
Divertente anche leggere questo articolo del febbraio scorso:
Dopo la pubblicazione, dopo le infinite letture e riscritture, gli scazzi e le parolacce che inevitabilmente riverso su quel che ho scritto quando mi tocca correggerlo, le mie parole non mi dicono più niente. Zero in croce. Leggo e il mio coinvolgimento è zero. […] Se ci ripenso sento l’ombra di quel che provavo quando erano ancora solo nella mia testa, se le rileggo mi danno il voltastomaco.
No, non è una cosa normale. La normalità è scrivere un buon testo, secondo criteri oggettivi, e poi trovarsi in futuro a pensare che in fondo si può fare questa o quella modifica, ma NON pensare che faccia schifo. Quando lo stacco dopo la “passione” della realizzazione porta al voltastomaco di norma è perché l’opera non ha nulla di oggettivamente valido e, senza “l’amore a render ciechi”, il cervello di fronte a una tale porcata si rivolta: ed ecco che Licia, rileggendosi, prova ciò che molti suoi lettori provano!
Un tipico esempio è quello dello scrittore alle primissime armi che pensa di avere un testo con dei problemi, si mette a studiare per migliorarlo e quando lo riprende mesi dopo… ne ha così schifo da doverlo rifare da zero! Ma questo effetto accade una volta, è il grande momento di epifania quando si vede finalmente tutta la pochezza delle proprie opere prima di imparare a scrivere davvero.
Dopo dieci anni ancora Licia Troisi non ha sviluppato i mezzi per scrivere con cognizione di causa opere che rimarranno apprezzabili da lei stessa anche dopo il completamento. Grande Licia! ^_^
Può piacere o non piacere, ma Nihal è ormai parte della Storia del Fantasy italiano. Le sue avventure insensate a base di catapulte che seguono la traiettoria del volo dei draghi per abbatterli (quasi meglio dell’artiglieria contraerea della Seconda Guerra Mondiale), foreste pietrificate piene di frutti commestibili, draghi che si comportano come cavalli selvaggi in attesa dell’eletto del momento a cui permettere di cavalcarli e tante, tante, TANTE lacrime sono entrate nella storia.
Scene indimenticabili come quando Nihal si aggrappa forte alla statua e si mette a strillare e a fare i capricci, come una ragazzina viziata, fino a quando il generale non acconsente a metterla alla prova per farla entrare nella più prestigiosa Accademia esistente, quella dei Cavalieri di Drago.
Nihal fu inamovibile. A nulla valsero i tentativi di Fen di dissuaderla, di farla ragionare, di portarla via con sé.
«Ho preso una decisione» disse lei semplicemente.
Poi si sedette a gambe incrociate sul pavimento della sala, la spada sguainata davanti a sé, in attesa.
All’inizio la lasciarono fare: evidentemente Raven non la prendeva sul serio. Dopo dieci ore, però, arrivarono due guardie. Tentarono di portarla via di peso, ma Nihal non si fece spostare di un millimetro: un breve combattimento, ed ebbe ragione di entrambe.
Di tanto in tanto qualcuno provava ad allontanarla, ma la fine della storia era sempre la stessa: un colpo di spada e via, guardie disarmate.
Al quarto attaccò Nihal si spazientì. Con un balzo saltò sulla gamba di un’imponente statua che raffigurava un guerriero e si arrampicò agilmente fino alla grande testa: lassù nessuno poteva disturbarla.
Poco prima di mezzanotte comparve Raven. «Ancora lì, ragazzina? Vedremo che cosa farai quando avrai fame.»
«Vedrete voi di cosa sono capace quando ho preso una decisione!»[…]
A Makrat la voce si era sparsa in fretta: una ragazzina con i capelli blu e un paio di orecchie spropositate si era piazzata in cima a una statua nell’Accademia per ripicca contro Raven e nessuno riusciva a tirarla giù. Altrettanto in fretta una folla di curiosi aveva iniziato a radunarsi sul piazzale dell’Accademia chiedendo di poter vedere con i propri occhi quella bizzarria.
Il quarto giorno la situazione sembrò smuoversi. Verso mezzogiorno Raven in persona, in pompa magna e con il solito cagnolino in braccio, fece il suo ingresso nel salone facendosi largo tra la folla.
«Vista la tua perseveranza, ho deciso di accontentarti: domani mattina, nella piazza d’armi dell’Accademia, sosterrai la tua prova. Ora scendi. È un ordine.»
Come tutto il resto dell’opera ben sostiene, comportarsi come una mocciosa capricciosa permette sempre di ottenere ciò che si vuole. Miglior premise in secoli di narrativa, per originalità e utile insegnamento di vita per quel branco di stupide teste di cazzo ingrate che sanno solo lamentarsi le giovani fanciulle di oggi
Nihal non vive solo nei libri (le cui pagine fradice di lacrime potrebbero ridursi in poltiglia): è parte di una cultura comune del fantastico perché viene citata in molte sedi, da molti lettori diversi, come termine di paragone. Potremmo bruciare tutti i libri in cui appare e ancora vivrebbe in noi, come un tumore che tenta di estendersi e di diffondere metastasi. Licia Troisi ha creato un personaggio indimenticabile e lo ha diffuso, come uno scienziato impianta tumori nei topi e ne osserva evoluzione e reazioni.
Passeranno i libri e passeranno gli editori, ma Nihal non passerà. Un giorno tutto si confonderà nel mito, come ormai poco sappiamo di eventuali persone reali dietro Achille, Romolo o Agamennone, e forse una civiltà futura rammenterà di un’epoca mitica, prima del Diluvio, in cui la rosea Dea G’aham B’err’Etta affrontò nello spazio mistico del Bvlo”hg l’Eroe del male dai capelli blu, Niji’hal’.
Nel decidere un vino, o in generale un alcolico per il brindisi, bisogna ragionare sul rapporto tra ciò che si festeggia e ciò che si potrebbe bere: quale vino può avere elementi in comune con l’evento? Inizialmente ho pensato a qualcosa di laziale di livello qualitativo NON infimo, anche per non perdere del tutto la riconoscibilità, ma comunque di basso livello. Era la strada sbagliata.
Per uno schifo di Cavaliere frignone che cavalca un Drago da operetta (in pratica un cavallo volante con le squame), ha frequentato un’Accademia da facepalm e vive avventure demenziali, ci vuole uno spumante così indegno da sembrare la parodia di uno spumante, di scarsissimo valore, con un packaging di falsa grandezza e ovviamente Rosè, in onore del lato femminile (ueee, ueee!) e della maschia potenza (ueeee, ue… no, non è la citazione giusta) di Nihal.
Gran Class Brut Rosé, 3,19 euro presso LD. Ammirate la confezione lussuosa e sibaritica (parafrasando Andrea Dipré), una bottiglia ricolma di estetica! La pacchiana eleganza dell’etichetta ci delizia con un elmo da cavaliere, falso e ridicolo come la carriera di Cavaliere di Nihal. Entrambi prodotti in massa e con pochissima cura: il metodo Charmat (grandi quantità, prodotti semplici) è l’equivalente del metodo Troisi delle cinque pagine al giorno (senza bisogno di editing, come diceva Sandrone Dazieri). Si possono avere prodotti molto buoni con lo Charmat, come si possono avere ottime opere prodotte a ritmo industriale, ma non è la norma… e non è il caso.
Bel colore e discreta spuma (anche se poco cremosa): appena versato si presenta bene, proprio come si presenta bene l’opera della Troisi a giudicare solo la copertina. Un’occhiata più approfondita permette di notare subito le bollicine grossolane e di numero ridotto. Proprio come le copertine: all’apparenza sono molto ben fatte, ma guardando meglio si tratta solo di pacchianate, per quanto ben realizzate.
Il profumo è di fragola con punte più acide di lampone e un po’ di floreale. Di buono si può dire che è semplice (come la scrittura della Troisi) e non esce fuori la nota sgradevole di alcool di altri prodotti peggiori (niente finto aulico pseudo-tolkeniano o stronzate simili).
Passiamo all’assaggio. Debole struttura: in bocca punge solo se si muove bene il vino con la lingua e, a sua difesa, si può dire che regge senza schiumare. Se si beve senza muoverlo sembra a malapena un vino frizzante, altro che spumante! Retrogusto amarognolo in bocca non gradevolissimo e fin troppo lungo, fa sparire le altre sensazioni sentite al naso. Non è del tutto sgradevole, ma non è nemmeno particolarmente elegante. il minimo termine dei vini spumanti, 3-4 punti sotto perfino i prodotti da 3,49 euro di Maschio (linea frizzante e spumante rosé): 70 punti.
Proprio come Nihal, è un pelo sopra la feccia a malapena leggibile (i Tavernello e compagnia da 62-66 punti), ma non arriva alla soglia delle decenza dei 75 punti. Forse sono stato fin troppo generoso nello scegliere il vino, serviva un 66-68 punti (non ne ho trovati). Comunque, la fascia dei buoni vini che viene voglia di bere di nuovo, 80-84 punti, è molto distante.
Fino ad adesso è stato un articolo un po’ noioso, lo capisco, per cui è il momento di mettere una puntina di valore aggiunto per gli appassionati (in positivo o in negativo) delle Cronache del Mondo Emerso.
Di solito ci si concentra sulla Torre di Salazar, come abbiamo fatto prima, e non si calcola con un’approssimazione credibile l’altezza della Rocca che pure è un oggetto altrettanto interessante. I calcoli che faremo si potranno considerare automaticamente approvati da Licia Troisi, avendo usato le stesse formule note a Licia Troisi (laureata in Fisica) e lo stesso metodo impiegato da Schiaparelli (astronomo, Licia Troisi è astrofisica) per fare ipotesi “fantasiose” sulla vita marziana fondate sul poco che l’osservazione forniva (nel nostro caso, dare per vero ciò che i libri dicono e trarne le conseguenze).
Cosa sappiamo della Rocca del Tiranno?
La prima informazione la possiamo prendere dalle citazioni che aprono il romanzo Nihal della Terra del Vento.
[…] è il più piccolo e sperduto paese del Mondo Emerso. Posto a ovest, è chiuso da un lato dal Saar, il Grande Fiume, e dall’altro è minacciato dalla Grande Terra. Non vi è punto da cui non si veda l’altissima torre della Rocca, dimora del Tiranno. Essa incombe come un’oscura minaccia sulla vita di tutti gli abitanti della zona. Ricorda a ciascuno che non v’è luogo dove il Tiranno non possa giungere. Il regno tuttavia è ancora parzialmente libero.
Sappiamo che dal lato più estremo della Terra del Vento ancora “incombe” la torre della Rocca del Tiranno. Giacché si precisa che incombe come un’oscura minaccia, non serve che incomba fisicamente davvero: basta che ne sia visibile la cima. Non teniamo conto degli alberi, nemmeno su lunghe distanze: diamo per scontato che incomba a patto di guardare lungo un’ipotetica striscia di pianura sgombra di alberi o che eventuali colline e collinette permettano di compensare boschi all’orizzonte che potrebbero nasconderla.
l’occhio poteva spaziare senza limite per la pianura, e le uniche cose che si intravedevano erano l’onnipresente Rocca del Tiranno e le sagome sbiadite delle altre città
Qui Nihal è nella capitale della Terra del Sole, sede dell’Accademia per Cavalieri di Drago:
Corse finché non si trovò di fronte a un ampio belvedere che dava su un bosco. Oltre la linea dell’orizzonte si stagliava netto il profilo terribile della Rocca del Tiranno.
Qui Nihal si trova presso l’accampamento in cui completa l’addestramento e diventa ufficialmente un cavaliere, più vicina alla Rocca rispetto a prima tanto che la Rocca incombe perfino sopra i vicini alberi:
La Terra del Mare aveva confini sicuri ed era esposta a possibili attacchi solo verso sud, dove incombeva la Grande Terra. La figura oscura della Rocca del Tiranno si ergeva ostile al di sopra degli alberi, grande come Nihal non l’aveva mai vista.
Insomma è alta e a meno di non trovare enormi ostacoli davanti agli occhi è possibile vederla spuntare all’orizzonte dovunque ci si trovi nel Mondo Emerso.
Cosa sappiamo del Mondo Emerso?
Partiamo dalle dimensioni. Invece di tentare di fare conti usando i tempi di percorrenza di Nihal o di Sennar nell’opera, prendiamo per buona la precisa indicazione data da Licia Troisi in un’intervista a Vanity Fair del novembre 2007:
Che luogo è il mondo emerso?
Un pezzo di terra grande come l’Europa, parte di un universo parallelo, su cui si muovono uomini e donne, folletti, mezzi elfi e le mie donne guerriere.
Come l’Europa. Possiamo ipotizzare che dal fiume Saar a sinistra nella mappa fino al confine con le propaggini del Grande Deserto a destra, il Mondo Emerso sia ampio come l’Europa dalla costa atlantica della Francia agli Urali? Facciamo da Nantes a Ekaterinburg? Non è proprio grande come l’Europa, ma possiamo prenderla come un’approssimazione per difetto accettabile: 4200 chilometri.
Al di là delle stupidate presenti nell’opera, il mondo in cui si muove Nihal pare molto simile alla Terra. Qualsiasi minima modifica di rilievo porterebbe a enormi differenze negli organismi viventi (e invece abbiamo uomini, lattuga, zucchine, cavalli), nelle tecnologie sviluppate ecc. mentre qui il mondo, con minimi distinguo “fantasy”, sembra una versione stupida del medioevo europeo.
In più, e questo è il vero discriminante, diversità di rilievo con la nostra Terra non vengono mai in alcun modo né mostrate né dette dall’autrice: possiamo ipotizzare che la gravità sia molto simile a quella della Terra, possiamo (in mancanza di dati diversi) ipotizzare una curvatura simile e dare per scontato che anche l’atmosfera sia somigliante. D’altronde non possiamo inventare dati che non sono presenti: ciò che non è differente, si dà per scontato simile.
Iniziamo i conti!
Per calcolare l’altezza di un oggetto visibile sopra l’orizzonte, si calcola la distanza dell’orizzonte per un ipotetico osservatore sopra a tale oggetto, e la si aggiunge alla distanza dell’orizzonte dall’osservatore reale. Ad esempio, per un osservatore con un’altezza di 1,70 m da terra, l’orizzonte è a 4,65 km di distanza. Per una torre con un’altezza di 100 m, la distanza dell’orizzonte è di 35,7 km. Così un osservatore su una spiaggia può vedere la torre finché la sua distanza non supera i 40,35 km. Al contrario, se un osservatore su un battello (h = 1,70 m) può appena vedere le cime degli alberi su una spiaggia vicina (h = 10 m), allora gli alberi sono probabilmente a circa 16 km di distanza.
(Fonte: Wikipedia)
dove DBL è in chilometri e hB e hL sono in metri. Un osservatore con gli occhi posti a 170 cm di altezza avrà bisogno che la torre sia alta almeno 344 chilometri per vederla spuntare a malapena dall’orizzonte a 2100 km di distanza.
Questo con il metodo geometrico di calcolo: se teniamo conto della rifrazione, la distanza massima di visibilità diventa:
e dovremmo guadagnare circa un 8%: l’altezza della torre della Rocca cambierà leggermente, scendendo ad “appena” 295 chilometri.
Ricordiamo ancora che questi non sono dati inventati, ma sono conseguenze necessarie di affermazioni verificabili fornite dall’autrice o dall’opera: una Rocca alta circa 300 chilometri (o comunque 1000 volte un grattacielo: che siano 200 km o 300 km importa poco) è stata immaginata così apposta da Licia Troisi che coerentemente l’ha delineata nelle sue conseguenze (es: vederla a distanza di mezza Europa circa).
Considerando che nel Mondo Emerso di Licia Troisi ci sono montagne così alte da richiedere quattro giorni in volo per discenderle (Gamberetta ne parla qui) e ogni sorta di altra stranezza nei tempi di percorrenza o nelle dimensioni (qui i calcoli per capire quanto sia alta Salazar, probabilmente oltre 600 metri), una Rocca del Tiranno alta così tanto non mi stupisce affatto.
Per altre stime, con una Rocca alta 8 km oppure 37 km (usando due altri dati diversi dalle affermazioni di Licia), vedi questo commento.
Piuttosto mi stupisce il fiato della prode Nihal, ancora più possente della capacità lacrimatoria!
Infine, quando il pomeriggio aveva steso le sue dita sulla piana, Nihal giunse con un drappello a ridosso dei battenti neri.
[…]
L’interno della Rocca era invaso dall’oscurità. Nihal si trovò in un corridoio dalla volta a sesto acuto, tanto ampio che Oarf poteva passarci comodamente. Lo percorsero in un silenzio assoluto, quasi quell’immenso palazzo fosse disabitato. […] «Devo abbandonarti qui, non puoi più seguirmi» disse dopo essersi voltata verso Oarf. Il drago rispose con un grugnito di diniego, ma Nihal gli accarezzò il muso.
E qui Nihal parte nella sua folle corsa, senza più il drago ad aiutarla nella salita, da poco sopra il piano terra fino alla stanza del Tiranno!
L’ira la travolse e i suoi passi si fecero sempre più rapidi, fino a diventare una fuga precipitosa. Corse più veloce che poté, con il petto in fiamme, e quando vide le scale le parvero la salvezza. Vi si gettò e iniziò a salirle a grandi falcate.
Dove sei, maledetto, dove sei?
La salita le parve interminabile e dopo un po’ dovette fermarsi perché le mancava l’aria. Il dolore era aumentato e Nihal si accasciò sulle scale.
Direi bene che stava facendo fatica: per arrivare nella sala del Trono e incontrare il Tiranno, sala che si sospetta sia in cima alla torre della Rocca, o comunque non troppo distante (metà strada almeno?) la povera Nihal ha percorso decine e decine (o centinaia) di chilometri in verticale di scale! E quando arriva è il tramonto.
L’alternativa è che la sala del trono non sia collocata né in cima né a 1/3 dell’altezza della Rocca, ma molto, molto in basso… praticamente alla base. A quel punto che senso avrebbe avere la torre della Rocca così alta, se non può ammirare il panorama dalla sala del trono? L’unica indicazione che abbiamo è
«Dov’è il Tiranno?» gridò Nihal, mentre gli puntava la spada alla gola. «Dimmelo o ti ammazzo.»
«Nella sala del trono!» rispose subito l’omuncolo.
«Idiota! Non so dove si trovi la sala del trono. Indicami la strada!» urlò ancora Nihal.
L’uomo alzò una mano e indicò una direzione, in fondo alla sala; tremava convulsamente. «L-l-l-là in f-f-f-fondo ci sono i laboratori… s-s-s-se li a-a-attraversi trovi delle scale.» Deglutì. «Salile per v-v-venti rampe e troverai quello che c-c-c-cerchi.»
Non è molto utile: una rampa può essere alta a piacere, in particolare se lentamente si snoda a chiocciola, e avere centinaia di pianerottoli e porte sui lati prima di dover passare alla rampa successiva. Teniamo per buono che la sala del trono sia posta in alto.
Aster guardò fuori dalla finestra e al di là delle sue spalle di bambino Nihal vide che il sole calava sempre più rapido verso la linea dell’orizzonte. Non mancava più di mezz’ora al tramonto.
Questo ci dice non solo che Nihal ha un fisico incredibile per scalare 100-300 chilometri di dislivello di scale, ma che è anche rapidissima! Se ogni gradino fosse alto e largo uguale, avrebbe corso in “orizzontale” per altrettanti chilometri quanti ne ha percorsi in salita, più tutto il tempo per percorrere il “braccio” della Rocca in cui era entrata (ma quello lo ha fatto a dorso di drago: complimenti ad Oarf, ha percorso l’equivalente del Belgio in un’oretta).
Ricordiamo anche che è il giorno del Solstizio di Inverno, il giorno più breve: quanto tempo ha avuto Nihal, dal pomeriggio a mezz’ora prima del tramonto, per percorrere in lungo il braccio della Rocca (200-300 chilometri) fino ad arrivare alla torre, smontare e partire a razzo per per le scale? Quattro ore? Di cui ipotizziamo metà a dorso di drago e metà correndo su per le scale? Non dimentichiamoci il lungo combattimento iniziale all’entrata nella Rocca, molto prima di arrivare alla torre:
Lo scontro nel corridoio fu lungo e sanguinoso. Nihal combatté con la spada, mentre Oarf si abbatteva con la forza delle sue mascelle su quegli esseri sciancati, eppure incredibilmente forti e agguerriti. Sembravano non finire mai; non appena una fila veniva abbattuta, subito ce n’era un’altra pronta a immolarsi.
Se ha corso per due ore (massimo del tempo disponibile, probabilmente ne ha avuto di meno, forse neanche un’ora) percorrendo 100-300 km di scale in orizzontale, Nihal ha corso a 50-150 km/h.
Non male, Nihal! ^__^
Per altri problemi legati all’altezza di una Rocca simile e poter lodare quindi altre straordinarie capacità fisiche di Nihal, come la capacità di rimanere in apnea per ore e di vivere comodamente a -100 gradi (senza mai lamentarsi del freddo!), vedi il commento di Tapiro.
E si conclude qui questo piccolo post dell’anniversario per i dieci anni editoriali di Nihal della Terra del Vento: grazie, Licia Troisi, regina del Fantatrash italiano, per aver contribuito con tanta maestria al legame tra Fantasy e WTF.
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