Oggi un articolo che volevo scrivere da ormai due anni, dedicato alla Compagnia della Teppa a cui si ispira indirettamente, per il “teppa”, l’italica traduzione Vaporteppa dell’inglese Steampunk. L’articolo è apparso già ieri sul sito di Vaporteppa, la collana che sto dirigendo sotto Antonio Tombolini Editore.
Procederò in modo simile anche con altri articoli adatti a Vaporteppa, di curiosità storiche e poco altro: prima pubblicati lì, poi rimbalzati con link qui. Con qualche modifica e magari piccole aggiunte, come avverrà in coda a questo articolo. Qualche articolo dovrà essere sacrificato nella “paternità” per i motori, se si vuole supportare e fare grande Vaporteppa. Finché non sia l’Italia una dall’Alpi al mar, e non è senza sacrifici che si compirà il Risorgimento.
Altri articoli già qui presenti, se interessanti, verranno adattati per Vaporteppa (linkando l’originale, sempre per non avere problemi coi motori di ricerca per le copie).
Capito bene tutto, compagno lettore?
Alcuni articoli prima lì, altri prima qui, altri ancora SOLO qui o SOLO lì.
La Rivoluzione non ha inizio né fine, è eterna.
Non ci sono molte fonti sulla Compagnia della Teppa. C’è la tradizione orale la cui affidabilità non è mai certa, ma che può aiutare a completare il quadro. A fomentare la confusione popolare contribuisce anche il film del 1941 di Corrado D’Errico, che nulla ha di vero nel rappresentarli come patrioti anti-francesi durante il periodo napoleonico.
Grazie alla rete di telefonoscopi queste memorie tramandate attraverso le generazioni, soprattutto per l’avventura dei nani, hanno avuto la possibilità di venire diffuse maggiormente grazie ai siti di curiosità locali, ai forum o agli articoli dei giornali che, a distanza di diversi anni, rispolverano come curiosità storica la Compagnia per riempire qualche centinaio di parole con vicende d’epoca che fanno sorridere.
Più facile, fuori dalla Lombardia, imbattersi nella Compagnia della Teppa cercando sui dizionari le parole “teppaglia” oppure “teppa”, quest’ultima magari pronunciata dal nonno come sinonimo di poco di buono.
Per esempio il Devoto-Oli 2009 recita:
teppa ‹tép·pa› s.f.
~ La malavita delle grandi città; anche, qualsiasi gruppo di malviventi dediti ad atti di violenza o di vandalismo.
ETIMO Voce dial. milanese, dal nome della Compagnia della teppa, associazione di giovani scapestrati, costituitasi intorno al 1817, che si radunava nei prati (coperti di teppa ‘musco’) di piazza Castello in Milano
DATA 1905.
teppista ‹tep·pì·sta› s.m. e f. (pl.m. -i)
~ Malvivente, dedito ad atti di violenza o di vandalismo: una banda di teppisti.
ETIMO Der. di teppa
DATA 1895.
teppismo ‹tep·pì·?mo› s.m.
~ Le manifestazioni caratteristiche delle associazioni di malviventi; anche, la malavita come fenomeno sociale.
ETIMO Der. di teppa
DATA 1905.
teppaglia ‹tep·pà·glia› s.f.
~ Feccia, gentaglia.
ETIMO Der. di teppa
DATA 1963.
E già da qui posso apprezzare quanto sia naturalmente vekkio, senza bisogno di maturazione decennale come gli altri: già d’intuito il “vaporteppista” che proposi a Gamberetta, con quel teppista del 1895, è italiano accettato più antico del “vaporteppa” consigliatomi da Lei. Ho l’istinto del frugatore di discariche.
Lasciando da parte il Devoto-Oli, possiamo affidarci al Vocabolario Milanese-Italiano di Paravia (1897):
Vocabolario Milanese-Italiano, Paravia, 1897
In base al libro che cita la Compagnia, magari di sfuggita, dei dettagli possono cambiare leggermente e non si sa mai se questo avviene perché l’autore ha “interpretato” a modo suo il poco che sapeva o se la sua fonte gli ha fornito quella variazione in buona fede, magari attraverso la tradizione orale dei suoi ricordi di quanto aveva raccontato il nonno basandosi su quanto sentito da bambino dal proprio nonno che l’aveva saputo dal maestro di terza elementare.
Il problema non affligge solo gli studiosi di oggi. Considerato la fonte principale sulla Compagnia della Teppa con il suo libro XVIII del romanzo storico Cento Anni, citato anche in opere inglesi come The Secret Societies of All Ages & Countries di Charles William Heckethorn, Giuseppe Rovani ci avverte all’inizio della sua trattazione:
Di questa compagnia, che fece gran rumore in Milano dal 1818 al 1821, non rimane altra memoria che nella tradizione orale o nella testimonianza di alquanti galantuomini ancor vivi, sebbene non più giovani, che nella loro diversa qualità di bastonatori o di bastonati, furono o parte attiva di essa o vittime tragicomiche. Non v’è libro stampato, nemmeno tra i più fuggitivi di quel tempo, dove se ne tenga parola; soltanto ne esiste il processo firmato dall’attuaro Lomazzi; vi è una relazione scritta da un tal Milesi, che abbiamo tra mano; e se ne parla nel diario manoscritto del canonico Mantovani.
Nulla di cui stupirsi che possa aver parlato direttamente con alcuni ex-membri della Compagnia: Cento Anni è stato pubblicato tra il 1859 e il 1863, tra i 38 e i 42 anni dopo la dissoluzione forzata della Compagnia. Sull’origine del nome Teppa Rovani contesta l’idea del muschio, sostenendo l’idea che venga dal particolare feltro dei cappelli:
un distintivo di tutti gli addetti della Compagnia della Teppa […] di qualunque colore fosse la felpa, il pelo ne doveva esser lungo e sollevato e scomposto. Secondo alcuni etimologisti, è anzi da questa usanza che derivò l’appellativo alla compagnia; i quali etimologisti stanno contro ad una schiera più numerosa, la quale pretende che un tale appellativo sia invece derivato dai verdi prati di piazza Castello […] dove i socj avevano cominciato a tenere le loro adunanze.
Cosa portò un gruppo di giovinastri a divenire Teppa? Rovani attribuisce la nascita di questa Compagnia e di altri fenomeni simili in Italia, nel periodo 1815-1821, alla smania di azione che tanti giovani turbolenti avevano dopo aver assistito da bambini all’epopea napoleonica e, divenuti grandi abbastanza per menar le mani anche loro e fare la storia, si trovarono ripiombati nella calma del mondo pre-rivoluzionario.
Non accettavano che tutto fosse finito, volevano una fetta del divertimento, muovere di nuovo le acque. Un problema simile di integrazione in Francia, unito al bisogno di riciclare i soldati veterani messi in congedo anni prima e divenuti nel frattempo ubriaconi e disadattati, portò nel 1831 alla nascita della Legione Straniera.
Legione Straniera: un modo sano per sfogare le turbolenze giovanili.
La Teppa nacque nel 1817 e aveva per quartier generale Villa Simonetta, ancora esistente in via Stilicone 36, famosa per l’eco che produceva. Era celebre per le cene e per le feste che finivano in danze e in orgie, con tutto il gran casino che si può ben immaginare venisse dalla villa grazie all’eco, e venivano etichettati come “balabiott” ovvero quelli “che ballano nudi” (che in senso esteso indica il comportarsi come degli scemi).
L’attività distintiva della Compagnia della Teppa era bastonare i mariti. Spesso mariti ben più anziani delle giovani mogli. Quando un membro della Teppa metteva gli occhi sulla moglie di qualcuno e quella sembrava interessata, preparavano un agguato al marito di notte, lo bastonavano di buona lena e quando quello tornava a casa la moglie non c’era. Poteva fare due più due e tenersi le corna senza rompere le scatole o altre bastonate sarebbero piovute, come la prima lezione serviva a insegnare.
trascinarsi a casa […] applicarsi le fasciature […] non veder più la moglie […] e poi pensare, oh orrore! che i rapitori eran tutti giovani e anche belli, e che la cara moglie era bella e molto giovane e, per certi sintomi, forse non nata a fedeltà modello
Bastoni & bastonate erano molto di moda anche in Inghilterra,
tra la seconda metà del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento.
Ovviamente non sempre i bastonati rimanevano quieti. Molte volte tornavano alla carica, con gli amici, e spedivano a casa con la gobba frollata i membri della Teppa. La popolazione di Milano in generale non era meno agguerrita della Teppa, solo meno organizzata in squadracce di bastonatori. Il bastone da passeggio della Milano dell’epoca non era solo un elemento del vestiario, era pensato prima di tutto come arma:
Per aver un’idea di codesto spirito guerriero passato di quel tempo dai campi aperti delle battaglie europee nelle anguste vie della tortuosa città nostra, basta dare un’occhiata ai bastoni dei nostri padri: bastoni che da quarant’anni giacciono polverosi e dimenticati in qualche angolo di qualche vecchia casa; bastoni di frassino o di spino o del più formidabile corniolo, con pomi d’avorio grossi come biglie, e puntali lunghi di ferro.
I membri della Teppa non si limitavano a rapire ai mariti le mogli più o meno consenzienti, ma comunque molto ben disposte a farsi rapire: qualche volta facevano anche qualcosa di utile. La Teppa sfruttava le squadracce armate di bastoni anche per fare giustizia… sommaria, ovviamente. Una giustizia biblica: a chi faceva il male e la Legge non poteva raggiungerlo, erano le bastonate a colpirlo.
Però più di un birbone sotto mentite spoglie, di quelli che alla sordina rovinano la società come fanno i topi nei bastimenti; più d’un funzionario pubblico noto per abusi di potere non intaccabili dalla legge; più d’un padre tiranno, più d’un marito assassino fu messo al dovere dalla minaccia e dall’assaggio del notturno bastone.
Per declinare in stile Teppa la Giustizia Biblica, praticavano anche un secondo tipo di bastonatura: quella alla cieca. Sceglievano di notte uno a caso che a vista pareva meritevole e gli davano una buona bastonatura, giusto per mandarlo a casa dolorante. Così capitava certo di bastonare degli innocenti, ma anche dei farabutti. Soprattutto quelli che la normale giustizia della Teppa non avrebbe mai raggiunto, perché nessuno li avrebbe mai denunciati (pensiamo a quelle mogli che non denuncerebbero mai gli abusi domestici).
Giustizia cieca e casuale, vagamente comica.
Prima la Giustizia era solo cieca.
Con la Teppa divenne casuale e rincoglionita.
Tra questi giovinastri amanti della baldoria, del fracasso, della rissa e della derisione dell’aristocrazia, su cui si preoccupavano di far girare ogni informazione scandalosa scoperta, spiccava Mauro Bichinkommer, un falsificatore professionista di origine svizzera tedesca. Era capace di imitare ogni firma e realizzare identico all’originale ogni documento.
Con questa abilità realizzò diversi scherzi, tra cui:
La seconda burla fu un invito segnato dal principe di Carignano al provinciale dei Cappuccini, di recarsi alla casa del principe per trasportare alla chiesa la povera principessa sua moglie morta di parto. (Il Carignano non aveva ancora avuto figli). La buffonata ebbe luogo con grande scandalo della casa principesca ed infinite risa del pubblico. La terza burla fu un invito a pranzo fatto a diciotto curati della città e sottoscritto dal segretario di quell’arcivescovo con ordine contemporaneo ai pasticcieri, ai pizzicagnoli, agli osti di mandar dolci, salsiccie, manicaretti. (L’arcivescovo era famoso per la sua sordida avarizia, e i diciotto curati erano stati scelti fra i più ghiottoni).
Essendo quelli della Teppa giovinastri che si divertivano alle spalle dell’autorità, della moralità, di chi aveva una moglie troppo giovane e bella ecc. è normale che finissero a prendersela, qualche volta, con gli occupanti austriaci. Ciò però non li rende dei patrioti: fossero state italiane le autorità con cui prendersela, quasi sicuramente avrebbero fatto le stesse cose.
Una mattina la folla si accalcò alle sbarre di quel tratto di naviglio che corre dal Palazzo del Senato a Porta Nuova, per vedervi galleggiar sull’onde, come se fosse un canotto americano, una garitta dipinta in giallo e nero. Quella navicella di nuovo genere non voleva dir nulla per sè; ma il gran ridere che faceva il pubblico accorso, dipendeva da ciò, che sapevasi come quei della Compagnia della Teppa, colta l’occasione che la notte era stata piovosa e che la sentinella col suo cappotto erasi messa al coperto, presero la garitta e la gettarono con gran disinvoltura nel naviglio, tutt’insieme, guscio e lumaca; con gran stupore di quel biondo gregario del Baumgarten, il quale, temendo l’acqua piovana, si trovò invece inzuppato in un bagno più fitto, e buon per lui che nelle acque del patrio Inn aveva imparata l’arte del nuoto!
Garitta in pietra al Quirinale: poco adatta per i lanci nel Tevere.
L’episodio del lancio della garitta nel Naviglio è citato anche da Arrigo Petacco nel libro La principessa del nord, sottolineando il fatto che quelli della Teppa fossero dei simpatici mascalzoni, dei prepotenti per il gusto “goliardico” della gozzoviglia, e non certo dei patrioti (anti-francesi, per giunta!) come vorrebbe il film di D’Errico:
In realtà si trattava di una banda di simpatici mascalzoni che profittando della tolleranza poliziesca movimentavano le notti milanesi con le loro clamorose bravate. Di patriottico nel loro agire non c’era proprio nulla, tranne forse un unico episodio che sarebbe stato poi ingigantito con compiacimento dai cronisti milanesi, ossia il tuffo nelle acque gelide del Naviglio di una garitta con dentro una sentinella croata sorpresa nel sonno. Per ii resto si trattava di violenza gratuita o di vandalismo teppistico che comprendevano vendette amorose, bastonature di mariti cornuti, rapimenti di dame più o meno compiacenti e altre stravaganze di stampo goliardico. Come, per esempio, il famoso «Ratto dei besios» di cui si rise a lungo.
D’altronde lo stesso Rovani lo dice, la polizia austriaca lasciava correre, pur sapendo tutto della Teppa, perché:
a lei premeva di deviare la gioventù dalla serietà della vita; e godeva che si fiaccasse nella corruzione e nel disordine
Insomma, meglio dei fastidiosi buontemponi che scaricano la tensione verso lo straniero in modo innocuo, che avere gente seria che complotta sommosse nell’ombra.
Ed eccoci all’ultima bravata: il “ratto dei besios” o “avventura dei nani”, del 1821.
A Milano all’epoca vi erano molti nani e molti deformi, anche di quel tipo massiccio e tarchiato che chiamavano “besios”. Uno di questi era il Gasgiott (“gazzerotto“, epiteto bonariamente offensivo), un robustissimo nano superdotato (dicono alcune fonti) che era afflitto da uno spirito violentissimo, sempre armato di coltello, e da appetiti sessuali insaziabili. Una volta, per vendicare una ragazza a cui Gasgiott si era approcciato in modo offensivo, un membro della Teppa lo pestò e lo imprigionò in una villa. Ma cosa fare di quel nano dai rinnovati propositi omicidi?
Per prima cosa, su suggerimento del cosiddetto barone Bontempo (il capo della Teppa), si iniziò a collezionarli come se stessero rubando i nani da giardino invece che rapire persone vere:
nacque la idea di organizzare un rapimento di tutti i nani più vistosi della città. I Romani fecero il ratto delle Sabine; i pirati greci e turchi rapivano le beltà delle isole greche e dell’Eritreo o della Cascemira per provvedere odalische ai voluttuosi emiri. La Compagnia della Teppa tese invece i suoi agguati a quanti ebbero gambe tortuose e menti da gnomo. Se il fatto fosse continuato per molto tempo, i nani, diventati oggetti di lusso, sarebber saliti a prezzi d’affezione.
Sempre più rari: non ne volete uno?
E poi?
Certo, ora il Gasgiott non era meno desideroso di ammazzarli tutti e loro non intendevano mica farlo fuori per precauzione. Non erano degli assassini, erano dei buontemponi. Bisognava offrire un dono per placare il nano e i suoi dodici nuovi compagni altrettanto incazzati. Promisero, per farsi perdonare, di offrire ai nani una notte con un gruppo di baldracche di lusso.
Ovviamente le baldracche non erano proprio tali, di mestiere. Bichinkommer sapeva bene quanto i membri della Teppa detestassero le molte fanciulle altolocate con la puzza sotto il naso che se la tiravano e usavano la propria bellezza per far ingelosire gli italiani, sfruttarli e alla fine sedurre austriaci più ricchi e più importanti:
Queste donne io vorrei che si potessero condannare a un perpetuo disonore, ma a un disonor fisico e materiale, non ideale; ci vuol altro. Io, per esempio, le metterei in compagnia di questi gnomi ributtanti e furibondi, farei chiudere le porte, e buona notte.
[…]
Esse erano tutte della classe più alta e più ricca; scelte tutte fra le più orgogliose e beffarde che avevano abusato della beltà.
Le fanciulle vennero convinte a venire a villa Simonetta, sede della Compagnia della Teppa, con la promessa di una festa in cui conoscere uomini ricchi e importanti. Tutte le fonti dicono che vennero convinte con l’inganno mentre il Rovani, pur senza negare del tutto l’opzione dell’inganno, forse per pudore e per difendere la memoria delle donne, calca la mano sull’uso della forza per rapirle… cosa un po’ troppo pericolosa e che avrebbe vanificato il senso dello scherzo.
Comunque vennero portate, i nobiluomini promessi si rivelarono essere la dozzina di nani ributtanti col Gasgiott a capo, tutti vestiti con costumi teatrali da aristocratici procurati per l’occasione dalla Scala. Il barone Bontempo e i suoi colleghi non avevano considerato che i nani avrebbero tentato davvero di stuprarle. Quando le molestie e le umiliazioni arrivarono vicine alla violenza sessuale, la Teppa si fiondò a bastonare i nani per ridurli alla ragione e fece fuggire le fanciulle.
Questa volta avevano scherzato con le persone sbagliate. La polizia scoprì cos’era successo e visto che tra le vittime vi era la rampolla di una famiglia molto vicina al viceré austriaco, forse dei Traversi, esplose un putiferio pubblico e la Teppa non la scampò. Ben sessanta membri della Compagnia vennero processati e condannati: alcuni all’esilio e altri a prestare servizio militare.
Così finì la prima Compagnia della Teppa.
Villa Simonetta, dove avvenne lo scherzo.
Matteo Benvenuti nel suo Milano, usi e costumi vecchi e nuovi del 1873 confessa che la sua principale fonte di informazioni sulla Compagnia della Teppa è il romanzo di Rovani. Eppure Benvenuti aderisce come molti altri alla teoria che Teppa venisse dal “muschio”, cosa che Rovani considerava errata. La verità sull’origine del nome? Boh!
Non è per questo che mi interessa, ma per un altro motivo:
Ho detto la vera perchè più tardi fino all’anno 1845 una società di crapuloni effemminati tentarono rubare alla precedente compagnia la celebrità del nome non vi riescirono perchè non avevano l’indole arrischiata di essa possedevano soltanto la parte peggiore della vera Teppa ch’era il vanto dell’orgia in permanenza
Di questa seconda Compagnia della Teppa non so altro, tant’è che a quanto mi risulta la “vera” seconda Compagnia della Teppa (che ormai temo sia divenuta terza) fu quella distrutta dal capitano dei carabinieri Michele Giacheri nel 1884. Maggiori informazioni su Giacheri sul sito dei Carabinieri. In futuro magari parlerò della “vera” seconda Compagnia della Teppa, devo giusto reperire in biblioteca un articolo del 1992 che se ne occupa in modo approfondito.
Steampunk e Vaporteppa?
Torniamo ai due termini di interesse. Non tutti sanno che “punk” non è un termine del Ventesimo secolo e non nasce con la cultura punk, ovviamente. La parola punk ha una storia lunga e diversi significati. Al tempo di Shakespeare indicava la sgualdrina, per esempio. Ma cosa significava nell’Ottocento, periodo a cui ci riferiamo per lo Steampunk?
Punk indicava, forse derivando da ponk, il legno secco da usare come esca. Aveva comunque mantenuto il vecchio riferimento sessuale che da prostituta si era spostato verso il catamite ovvero il giovinetto omosessuale, generalmente passivo (da Catamitus, nome latino di Ganimede, coppiere di Zeus). Già nel 1896 punk si era arricchito di un ulteriore significato, quello di qualcosa di “scarsa qualità” (forse evolvendosi allo stesso modo per cui si dice negli USA che è “gay” qualcosa che fa schifo). Nel 1870 punk passò a indicare anche l’incenso cinese, giusto per confondere di più tutto. Dal 1917 prese a indicare le “persone inutili”, inclusi i delinquentelli e i teppisti, ma quando si diffuse dal 1904 nello slang inglese aveva ancora una connotazione omosessuale passiva (qualcosa tipo “frocetto delinquente”, insomma).
Steampunk! O forse gli Allievi della Scuola di Ardimento?
Andando ancora oltre, anni ’20 e ’30, cominciò a indicare le persone con poca esperienza in generale, i giovani: il punk day nei circhi era il giorno in cui bambini entravano gratis. Grossomodo a metà Novecento nello slang carcerario statunitense iniziò a indicare il compagno di galera passivo nei rapporti omosessuali e ancora oggi “punk” assieme a “donna” e “troia” viene usato in tal senso.
Insomma, se andando indietro nel tempo, nell’Italia del 1910 o a Milano anche decenni prima, e diciamo di essere Vaporteppa, capiranno proprio ciò che a intuito possiamo capire anche noi: cialtroni, mezzi delinquenti, spostati, a vapore. Se fate lo stesso giochino nell’Inghilterra Vittoriana del 1890 rischiate i lavori forzati come Oscar Wilde. ^_^
Per chiarezza e precisione storica, Vaporteppa batte a mani basse Steampunk.
Articolo meraviglioso!
L’avventura dei 13 (cavolo, proprio 13…mi ricorda qualcosa…) nani poi è sublime. Degna di Amici Miei e/o di uno speciale del Vernacoliere.
Dal punto di vista linguistico poi sono assolutamente d’accordo. Vaporteppa è molto più calzante di Steampunk e inoltre mi suona talmente bene che credo comincerò ad utilizzarlo al posto del termine albionico.
Lunga vita a Vaporteppa!
mi permetto di precisare che l’eco famosa di Villa Simonetta (attribuita ad una leggenda di una serial killer e di fantasmi), non esiste più. Gli inglesi, nel corso dei selvaggi bombardamenti del ferragosto 1943, mentre si accanivano sullo scalo farini, e sul centro storico allora densamente popolato (con l’obiettivo di scatenare terrore e un effetto fire-vortex come nelle città tedesche), centrarono in pieno la villa. Nel dopo guerra Villa Simonetta venne ristrutturata in linea con le linee architettoniche dell’edificio originale, tuttavia, del misterioso eco non rimane più traccia.
Articolo molto molto bello.
Vaporteppa sprizza virilità da tutti i pori, non c’è dubbio.
Ma allora Dieselpunk diventerebbe Naftateppa (o, ancor meglio, Gasolteppa)?
Gasolteppa e Naftateppa sono carini, anche se meno precisi visto che il riferimento è al cognome dell’ingegnere tedesco Diesel. Comunque Diesel lo usiamo in italiano da così tanto tempo, da prima del 1931, che è ormai nella lingua. Dieselteppa pure non è male, anche se il problema alla radice di Dieselpunk è che è un termine stupido e nato in modo ancora più cretino di Steampunk: Dieselpunk nacque come marchio registrato per un gioco di ruolo al fine di indicare che era Steampunk, ma usando una parola diversa per motivi di marketing, e aggiungendo la precisazione che era anche Fantasy:
La costruzione stessa del nome, anche se vogliamo immaginare una sua re-interpretazione legata al 1920-1940, non ha senso: i motori diesel risalgono al 1892 e, come i motori a scoppio in generale, sono un grande successo del Lungo XIX Secolo che nulla hanno di particolare o di peculiare connesso agli anni 1920-1940 del Dieselpunk. Più tutti i problemi di sovrapposizioni e retrofuturismo che riducono il Dieselpunk a un mero sottoinsieme possibile dello Steampunk.