Steampunk

SteamCamp 2013 – considerazioni dopo l’evento

SteamCamp 2013 è passato da più di quattro giorni. Ho avuto la possibilità di vedere come è stato accolto dai diversi partecipanti e ho deciso di aspettare alcuni giorni per verificare i primi pareri sul web, fino a ora positivi, se non in tutti i singoli dettagli (qualche relatore meno brioso degli altri, io con un delle slide vomitevoli, il problema della collocazione della mostra FarSteam), comunque sempre positivi nel complesso.

Dago, l’ascaro pugliese, diviene ufficialmente un Negrariano: ancora non Ariano, ma neppure più Negro, in virtù dei meriti sbiancanti della permanenza in Trentino.

Una piccola premessa sul luogo dell’evento.

Invece che a Milano, con il vantaggio di poter sfruttare tutto il bacino di visitatori locali e la possibilità di arrivare agevolmente in treno da tutta le direzioni più importanti (Torino, Venezia e Roma, potendo così far venire comodamente anche pubblico dalla Toscana, dalla Liguria e altre regioni), senza considerare poi il maggiore impatto per i media (possibilità che giornalisti venissero a vederne o ne scrivessero prima), ci siamo ritrovati a Cittadella, in provincia di Padova. Un posto così agevole a livello di trasporti che non è nemmeno possibile prendere un biglietto del treno sul posto per fuggire (vedere foto scattata da Tapiro) e che i TomTom boicottano impedendo di raggiungerlo e costringendo a girare in tondo in eterno (fortunatamente il mio navigatore della Peugeot 208 non soffre di questo problema). Questo potete ben immaginare da soli che avrà ridotto a un quarto o meno il pubblico che poteva partecipare (anche se, come vedremo, è andata benissimo).

In più non abbiamo avuto sponsor.
Siamo andati avanti con la passione e con la disponibilità del principale organizzatore (anche se essendo un BarCamp l’organizzazione era aperta a tutti) di mettere soldi di tasca propria pur di non far fallire l’evento a pochi giorni dall’inizio. Sponsor dati per certi fino a fine gennaio, sono spariti nel nulla a causa di un bel po’ di confusione mediatica per un evento simile piazzato a sorpresa pochi giorni prima del nostro. Nonostante tutto, senza più sponsor, noi il biglietto non lo abbiamo fatto pagare a nessuno né nessun venditore ha sborsato nemmeno un euro per vendere da noi.
Questione di principio: noi facciamo cultura con spirito liberale da aristocratici e orrore del denaro (ma potete dare 50 euro al mio Segretario, se proprio volete).

Tanti possibili sponsor un po’ non capivano cosa fosse lo Steampunk e un po’ avevano enormi pregiudizi, per cui anche se nei due mesi rimasti (troppo poco tempo) ne sono stati contattati a decine, non è servito a niente se non a sprecare le ore di Maurizio. La fama di “mentecattaggine per travestiti sottratti all’agricoltura” (Steampunk: il nuovo Fantasy!) è ciò che SteamCamp cerca di combattere, mostrando che dietro i costumi (o anche a posto dei costumi) c’è molto altro. C’è cultura nello Steampunk fatto bene. Come il vino non è solo vino per sfondarsi e rotolare sotto il tavolo: dietro c’è storia, cultura, territorio. Pregiudizi a livello di “ommiddio arrivano i punkabbestia che squarciano le poltrone e ci cagano dentro” appena hanno visto foto di costumi Steampunk tipici, anche se prima di vederli squittivano di gioia “O che bello, ma che programmone culturale, complimenti!”, e che hanno fatto saltare, per dire, l’ipotesi della festa di sabato per mancanza della location inizialmente offerta in virtù della qualità culturale dell’evento.
No, non vi dico qual è perché voi siete steampunks e finisce che andate lì, sventrate le poltrone e ci cagate dentro… :-/

Steampunkettari: strana gente vestita in modo inquietante.
Secondo fonti attendibili potrebbero squarciare le poltrone e cagarci dentro.

Organizzare gli spazi il venerdì

Disponibilità iniziale secondo quanto accordato: sala da 80 posti come principale; sala da 50 come secondaria (è pure molto più lunga che larga, per questo non è buona come principale); tre minori per i laboratori da 15 posti massimi. Hall allestibile per mercatino ed esposizione, inclusa la pannellatura con spiegazioni e la parete della mostra FarSteam. Manichini. Quattro proiettori che forse sono tre nel senso che uno dei tre dell’hotel potrebbe essere rotto (nel dubbio uno lo porta Maurizio). Registrazione interventi su entrambe le sale, streaming sulla principale.

Cosa ci siamo trovati la sera di venerdì: la sala da 80 non possiamo usarla; la sala da 50 posti lunga e stretta è la nuova principale (Manzetti); fortunatamente delle tre salette rimaste una permette di ospitare 20 posti (30 stringendosi e rubando sedie) per cui diventa la nuova Tsiolkovsky e i due laboratori possono effettivamente ospitare 15 persone l’uno stringendosi molto. Nella Hall non possiamo attaccare niente, nemmeno usando il patafix con cui l’Hotel permette di attaccare tutto nelle altre sale. Niente pannellature comode su cui attaccare, solo pareti. I manichini ci sono, perfetti. I proiettori sono solo due e ce ne servono su tre sale (appunto mentale: al mattino cambiare le collocazioni del pomeriggio, spostare le “Architetture” nella nuova Tsiolkovsky mentre il BarCamp che devo presidiare va in una piccola).


Regalo di Diego Ferrara, autore di Soldati a Vapore.
Al primo SteamCamp si aggiunge il mio primo Alta Langa, orgoglio spumantistico piemontese!
(ancora DOC perché la vendemmia è del 2006 e la DOCG è iniziata con la 2008)

Dopo un attento sopralluogo decidiamo come sfruttare tutto e la mostra FarSteam finisce sull’unica lunga parete disponibile, quella in sala Manzetti. Abbiamo gli strumenti e l’esperto, Simone, che organizza la registrazione in Manzetti e lo streaming: l’unico problema è che tra sala stretta, proiettore, tavolo e telecamera con zoom in fondo alla sala, i relatori sono costretti a stare fermi in fondo, possibilmente seduti. Io ero partito con l’idea di permettere ai relatori di muoversi, penetrare anche nelle prime fila di pubblico, ma non è agevole muoversi. Per me non è grave: io so a malapena sedermi, come un novantenne, figurarsi camminare.

La notte dei lunghi patafix

Il nastro biadesivo non possiamo usarlo, non ci sono le pannellature adatte. Come suggerisce l’hotel dobbiamo usare il patafix, ma non è un problema perché ovviamente visto che lo pretendono ne hanno una scorta adeguata da darci! Ci arrivano due striscioline sufficienti per riempirci il naso tutti e sette. Maurizio viene spedito prima che la cartoleria chiuda a comprare due confezioni nuove di quel pongo infernale.

Iniziamo la affissioni. Le opere di FarSteam con il patafix stanno per miracolo sui muri: freddo, 44 ore circa da fare sui muri… l’opinione comune è che sabato mattina cadranno. Idea: accendere il riscaldamento, spremere il patafix fino a trivellare i muri, sperare che Dio non esista perché lo stiamo bestemmiando e confidare nell’ottimismo. I fogli cerati su Manzetti stanno su molto meglio, grazie al carisma di Manzetti che con quell’espressione truce in foto frontale e laterale potrebbe essere un serial killer. Silvestro Ferrara è alto come una pertica, per cui dall’alto del mio “un cazzo e due barattoli” attacco il patafix ai fogli e glieli passo, poi giro la consulenza agli architetti per dire a Silvestro se è dritto visto che io non saprei distinguere un foglio orizzontale da uno verticale. Forse cadrà tutto di notte, ma la sala Manzetti è completata e le riprese funzionano perfettamente.

La mostra FarSteam a cura di Tenaga,
con 18 opere di 18 giovani artisti italiani.

Dettagli da completare al mattino

Mi sveglio alle sette, mi camuffo da persona normale, vado a fare colazione. Passano le otto e ancora non scende nessuno, a parte la scolaresca anglofona con ragazzine moderne dallo sguardo timido che sembrare dire “A 14 anni mi hanno regalato il mio primo aborto”. Mi metto a leggere un romanzetto porno di cento anni fa sullo smartphone. Passano altri venti minuti. Io ho ancora tutto il materiale da affiggere su Steampunk, estetica e pornografia vittoriana. Chiamo la stanza del custode del patafix e in pochi minuti arriva. Parto per l’affissione più importante di tutte: il porno vittoriano nella sala del laboratorio di moda, in accordo con la Graziano. L’idea che tante candide fanciulle non riescano a girare lo sguardo verso la parete per l’imbarazzo (solo qualche rapida occhiata) mi stuzzica, ma ovviamente l’intento è pratico: non potendo girarsi e/o alzare troppo lo sguardo senza arrossire per la vista del materiale, dovranno stare attente e lavorare di più. D’altronde è un evento per signorine per bene.

Sono a metà lavoro e ho capito che mezz’ora basterà per un pelo. Fortunatamente appare Alex Hastur, a cui ho fatto compagnia a colazione fino a pochi minuti prima ingurgitando caffè come se stesse per venire abolito. Ho bisogno di un volontario per aiutarmi nelle affissioni e decido che lui lo è, per cui prendiamo i fogli, cambiamo sala e mettiamo tutto il materiale completo (Steampunk, estetica e porno) in Tsiolkovsky, fiduciosi che essendo una sala un po’ più libera la gente potrà leggere lì. Sfortunatamente lo spostamento del laboratorio di fumetto là dentro, zeppo di gente e spesso con la porta chiusa, non ha favorito la visione del materiale.

Volevo mettere tutto nel porticato di passaggio per le sale e la Hall, ma non possiamo affiggere fuori dalle sale. Mi pare equo, se no sarebbe stato troppo facile, efficiente e ragionevole. Ora sapete perché le cose erano sparse in modi un po’ bizzarri e non proprio agevoli per i visitatori. Nove e mezza. Ho finito tutto per tempo.
Vado a indossare vestiti decenti per la conferenza delle dieci. Sfortunatamente non ho fatto in tempo a portarmi un costume Steampunk, per cui mi vestirò normale con tunica da ulano, pantaloni da cavalleria, pitalhaube (svuotato al mattino), stivali e sciabola.

Prima giornata

Alle dieci e venti circa iniziamo. Stranamente c’è già gente, non come a quell’altro evento della settimana prima in cui saltarono due interventi della mattinata e Augusto si trovò da ultimo prima del pranzo a primo intervento del giorno alle 12:30. Ma d’altronde noi siamo al nord, gente che si alza presto e lavora. O che si traveste in modo imbarazzante e parla di rotelle, senza pudore, fin dalle 10:00. È un buon segno.

Io mentre mi scuso perché sono la vergogna di Steampunk Italia: invece di avere il costume fatto con materiali riciclati ho comprato quasi tutto dai cinesi.

Maurizio prende la parola, descrive l’evento, come è nata l’idea e perché accanto a lui, che è un signore distinto e normale, ci sia un idiota in uniforme con un pitale in testa. Lo guardo come Fantozzi con il Semenzara, quando ordinò di infilare la mano sotto il culo. Confessa che, sì, pare che quello sia il direttore del comitato scientifico. Sento scendere il gelo sulla folla e percepisco negli sguardi, come uniti in una mente alveare, “Dio, cosa cavolo sono andato a vedere oggi?”. Intanto io cerco di mettere a pieno schermo le slide di Maurizio, ma l’allergia per i Mac (computer che nella mia mente riesco a collegare solo a Eat da Poopoo in Uganda) mi fa desistere e Roncaglia viene in mio soccorso come un provetto insegnante di sostegno. Gioisco con un verso inarticolato, sentendomi la versione in uniforme di Sloth dei Goonies.

Foto di alcune conferenze e laboratori.

In sala ci sono all’inizio circa 35 spettatori. A mano a mano che l’intervento prosegue aumenteranno di una decina, salendo verso i 45-48, con un po’ di gente in piedi dietro e delle sedie vuote qua e là: quasi pieno per una sala da 50 posti a sedere massimi. Durante il mio intervento guardo solo le prime quattro persone davanti a me: due ragazze con gli occhiali dal cui disagio cerco di decifrare il livello di idiozia di ciò che dico, il professor Roncaglia che mi fa un sorriso cordiale tipo “Devo inventarmi una scusa per dire che non conosco questo scemo col pitale in testa” e una bella ragazza vestita di nero, con i capelli biondo platino, che mi guarda gamberettescamente come se avesse pestato una cacca di cane. Trovo il tutto molto motivante e faccio finta che della mia spiegazione, tra storia della fantascienza e critica dei generi per inquadrare lo Steampunk, freghi qualcosa a qualcuno. O che perlomeno nessuno si alzi per andarsene dando l’ispirazione a tutti gli altri.

A fine intervento, uscito fuori dallo slot orario di venti minuti, dichiaro che mi dispiace che il mio intervento fosse noioso, ma non so fare di meglio con un argomento così tecnico e apprezzo che siano rimasti anche se faceva proprio schifo. Finalmente ho detto qualcosa che il pubblico ha capito e che può sottoscrivere. Si alzano felici per le conclusioni condivise. Salvo col finale.

Il pubblico all’inizio del mio intervento (poi è aumentato un altro po’).
Notare gli sguardi motivazionali.

E così si conclude l’apertura della prima giornata. È andata molto bene: c’era parecchia gente, sembrava contenta, alcuni sconosciuti hanno fatto i complimenti perfino a me prima che me la filassi per verificare cosa accadeva altrove. Abbiamo ritardato l’inizio solo di una ventina di minuti, ma senza causare problemi agli interventi successivi, perché anche se il programma in teoria era fitto, in realtà erano stati predisposti margini di gioco abbondanti. Rispetto alle due ore di vuoto di pubblico e di conseguenza agli eventi della mattina saltati nell’altro evento Steampunk, a noi è andata alla grande.

In cortile alle 11:20 circa, quando ho finito io, c’è già gente che chiacchiera e fa foto, i banchetti del mercatino e dell’esposizione sono affollati di gente felice, c’è affluenza al bar. Mi faccio due conti in testa e penso che non è mica andata male, anzi, se aggiungiamo pure i 12-13 iscritti teorici del laboratorio di fumetto è andata proprio bene (partito alle 10:00, per cui non erano presenti alla mia presentazione). Vado a guardare i laboratori. Vuoti. Arrivo alla Tsiolkovsky: piena. Tra proiettore più agevole da collocare lì e l’eccedenza di partecipanti rispetto alle attese, a occhio 15-16 circa (e circa 18-20 il giorno dopo su 15 prenotati), la sala è stata assegnata d’urgenza a loro. Ottimo, il BarCamp sta funzionando: non serviamo io o Maurizio sempre presenti per fare questi aggiustamenti facili, riescono a gestirsi da soli.

Nel dubbio decido che è meglio coordinare tutto, perdendomi le conferenze e girando per aiutare, decidere spostamenti, rispondere alle domande dei visitatori e in generale fare accoglienza intercettando e cercando di trasmettere entusiasmo a quelli un po’ più smarriti, come credo stiano facendo anche gli S.T.I.M. di Steampunk Italia, che vedo belli attivi a sfrecciare qua e là. Dopo aver coordinato i primissimi cambiamenti a voce, mi accorgo che ci siamo dimenticati di stampare il calendario degli eventi e appenderlo (e nonostante tutto il pubblico non è scappato prendendoci per scemi!): alla reception mi stampano il calendario di entrambi i giorni e lo collochiamo su un cavalletto che mettiamo al centro della Hall, ben visibile dai due accessi esterni, accanto al manichino con l’abito di fine Ottocento. L’interesse del pubblico per le conferenze, non solo per le ragazze vestite in modo bizzarro, si notava anche da quanto spesso verificavano il calendario e controllavano eventuali modifiche a penna.

Ancora strani tizi vestiti in modo inquietante
che potrebbero sventrare le poltrone e cagarci dentro.

Niente pausa pranzo, due barrette dietetiche e giù di prosecco con cinque visite al bar di sabato, ovviamente mischiando i minuti del prosecco con le chiacchiere con i visitatori, per non sprecare tempo e farmi un’idea dei risultati e del gradimento.

Lì ho scoperto che i pareri positivi dei venditori, con vendite sopra la media rispetto a eventi ben più ampi e affollati, erano giustificati: una ragazza che ho approcciato per farle domande (ovviamente è solo un caso che fosse carina) era entusiasta dei suoi acquisti, era venuta apposta da Trieste (mi pare) per comprare qui, attirata dalla fama positiva che ci eravamo costruiti solo grazie ai contenuti (che evidentemente si è trasmessa anche al piccolo mercatino organizzato, che in effetti era ottimo), e aveva speso una cifra poco sopra i 300 euro. Non male!
Pure Tenaga mi ha detto che portando solo il fumetto Hunters J (e gadget collegati) ha fatto comunque vendite simili a quelle del Cartoomics di Milano due settimane prima. Il pubblico molto specializzato, seppure in un evento insignificante in proporzione, permette risultati inaspettati.

Anche i pochi venditori presenti, grazie al loro entusiasmo, all’interesse che dimostravano per lo Steampunk, hanno aiutato moltissimo a mettere a loro agio i visitatori. In particolare sono stato molto contento di come andassero bene gli affari al banco di Ciro Tonetto, che aveva anelli e medaglioni Steampunk molto carini (e a cui ho lasciato 45 euro per 3 anelli da regalare a delle amiche), e di Francesca Dal Ben, che aveva principalmente cappelli (ma prendeva anche gli ordini per fabbricare corsetti su misura!).

Mercatino e area espositiva con Steampunk Italia.

Ho passato i due giorni sfrecciando come un piccolo cumenda, col mio pitale in testa, chiedendo come andava l’evento, se serviva qualcosa, indirizzando i visitatori e informandoli del programma, aiutando a decidere i cambiamenti di sala e collocare i bis degli eventi (“Riciclare il non riciclabile” di Steampunk Italia ha fatto il bis in Tsiolkovsky, attirando oltre 20 persone e costringendo a portare sedie da un’altra sala). Ho pure fatto una conferenza privata sullo Steampunk a una coppietta, con annessa parte sulla verifica delle “fonti” a tema Steampunk, visto che avevo la saletta e nessuno si proponeva per il BarCamp.

Tre volte ho fatto anche lo strillone, annunciando l’evento che stava per iniziare nella sala Manzetti. Ho trovato particolarmente soddisfacente gridare “TRA DIECI MINUTI CONFERENZA SU KELLOGG IN SALA MANZETTI! CI SARANNO GRANDI CLISTERI DI YOGURT!” (o forse non ho precisato lo yogurt, boh). La conferenza su Kellogg è andata avanti parecchio ed è stata molto divertente, con Silvestro Ferrara che tirava fuori le peggiori porcate del dottore e io che sottolineavo la correttezza e il buon senso di John Harvey Kellogg, in particolare sui metodi per impedire la masturbazione maschile tramite mutande di filo spinato. Abbiamo iniziato l’intervento con 8 spettatori e a furia di porcate abbiamo chiuso con oltre 30 (stranamente niente fughe nonostante la tenia di sei metri, la collezione di escrementi e i clisteri di yogurt). Non male.

Voglio citare il parere, apparso su Facebook, di una gentile signorina di innegabile rettitudine morale (di cui non faccio il nome per privacy) che sintetizza bene lo stupore che si vedeva in gran parte del pubblico:

passo 3 ore al laboratorio di costume vittoriano. cambio sala e mi trovo a una conferenza in cui si parla di circoncisioni punitive e tenie di 6 metri. eeeh?

John Harvey Kellogg (circa 1913),
sano nell’intestino e nella mente.

Perfino per la mia conferenza sui vini ha avuto del pubblico. Io speravo che saltasse per disinteresse, invece appena finito Kellogg (alle 17:30 circa) tre persone mi acchiappano per sapere della conferenza sui vini. Ho risposto che non avevo il proiettore (avevo 20 slide, questa volta “utili”, con fotografie che permettevano di vedere bene ciò di cui si parlava), ma se gradivano la potevamo fare in sala Caselli, vuota, recuperando delle sedie e facendo una chiacchierata in privato. Dopo meno di dieci minuti i primi cinque ascoltatori sono diventanti tra i dieci e i dodici (mi pare dodici se ricordo bene).

Abbiamo parlato di Barolo, di Champagne, di Sabrage e di Assenzio, attraverso un percorso di aneddoti storici e qualche informazione “moderna” per capire meglio le informazioni (per esempio a cosa serve il Pinot Nero nei rosé e quindi perché il colorante usato nello Champagne di fine Ottocento non desse lo stesso risultato, al di là della falsificazione alimentare all’epoca permessa). Piaciuto così tanto da chiedermi le fonti per approfondire e farmi strappare la promessa di scrivere il prima possibile un articolo con gli stessi contenuti e la bibliografia. Una ragazza addirittura mi ha detto che le è piaciuto così tanto il modo in cui ho fatto percepire il mondo del vino, la cultura che c’è dietro, da voler fare il corso per sommelier della AIS. Spero che lo faccia perché AIS organizza dei corsi veramente belli.

Il Duca con Stefano Tamiazzo, direttore artistico della Scuola Comics di Padova.
Il Duca con un fan. Il Duca con Gamberetta. Il Duca con Dario Tonani.

Qualche ipotesi sull’entità del successo dell’evento

Avevo stampato 100 volantini, più qualche foglio extra venuto meno bene di scorta, con i nomi delle sale. Tra sabato nella tarda mattinata e domenica nel primo pomeriggio, in quattro sessioni di pochi minuti sfrecciando tra la gente e offrendo il volantino solo a chi mi pareva abbastanza libero da poterlo disturbare per quattro secondi (“Salve! Vi va un volantino che spiega perché abbiamo scelto questi nomi per le sale?”), ho distribuito tutti i volantini che avevo. Arrivato a neanche metà di domenica pomeriggio mi sono messo a frugare nella cartelletta, che Tenaga custodiva per me al suo tavolo, e non ne avevo più… e avevo tre ragazzi al seguito a cui volevo darlo più una quindicina di altri che avevo addocchiato, venuti solo domenica, e a cui ero sicuro di non averlo dato. Tra una cosa e l’altra, anche guardando le foto online, penso di aver dato il volantino a nemmeno un terzo dei partecipanti.

Abbiamo avuto almeno 300 visitatori sui due giorni, nonostante il luogo poco accessibile se non per gli abitanti del Veneto. Possono sembrare pochi, e in un evento normale lo sarebbero, ma da noi non è che la gente veniva, stava venti minuti e andava via: domenica siamo arrivati al punto che NON andavano via neppure nell’ora di pausa per il pranzo, per cui abbiamo improvvisato due bis di conferenze (Musica Steampunk e un altro) per intrattenerli. Tanta gente è venuta ed è rimasta dal mattino fino alla chiusura della giornata. Alcuni sono venuti ambo i giorni. La maggior parte ha fatto almeno mezza giornata. Per questo pur essendo solo, a occhio, 300 persone c’erano abbastanza stabilmente un centinaio di visitatori simultaneamente tra sale e mercatino, con punte verso il basso nei momenti di calo peggiore (sabato a pranzo?) che secondo me non scendevano sotto le 60-70 persone. Bastano 300 persone in due giorni, se stanno così tanto, ad affollare spazi di dimensioni modeste come un bell’albergo (ma mai fino alla scomodità, perlomeno non fuori dai laboratori!).

Laboratori zeppi. Quelli del fumetto stavano abbastanza bene, grazie al cambio di sala, ma nel laboratorio di costume le ragazze erano ridotte a lavorare a turno in terra perché mancavano i tavoli per tutte! Tavoli comunque su cui lavorare in piedi, per tre ore, con la schiena spesso piegata. Già questo fa capire l’entusiasmo, la voglia di partecipare che c’era. Bisogna adeguarsi, bisogna soffrire? Va bene, perché è troppo bello per rinunciarci!

Possono delle signorine per bene, di retta moralità e sicura Virtù, accettare di lavorare così?
Sì, perché il laboratorio è troppo interessante per rinunciarci.

La sala principale sempre occupata almeno per metà, quindi mal che andava sulle 20-25 persone si tiravano su a ogni conferenza (a quanto ho visto, infilando il naso ogni tanto per controllare cosa succedeva). Pensate quando certi scrittori piuttosto famosi si lamentano che con migliaia di contatti e presentazioni in grosse città, certe volte su decine o centinaia di adesioni finiscono per avere tre spettatori in sala. Durante la conferenza su Kellogg, mentre in sala c’erano 35-40 persone, via streaming erano connessi nei momenti di punta 100 IP differenti assieme!

Noi avevamo più visitatori reali che fan su Facebook, non molti meno come è normale accada! Fan che stanno crescendo nei giorni successivi l’evento più di quanto crescessero in quelli precedenti: 30 in più solo nei due giorni successivi, per far capire quanto sia piaciuto e quanto il pubblico voglia rimanere aggiornato sui prossimi. Questo significa che, seppure all’inizio le comunicazioni sono state lente, l’interesse incerto, è stata la QUALITA’ concreta a tenerli sul posto, a parlarne bene online, a far crescere già ora l’attesa per il prossimo nel 2014 e per gli spin-off che vorremmo realizzare in autunno. I lavori sono già in corso.

Falaschi sembra un pazzo pericoloso,
ma assicuro che non è affatto pericoloso! Forse.

Stiamo già pensando al futuro perché SteamCamp 2013 è andato alla grande.

Nonostante tutti i piccoli problemi. Nonostante l’assenza di sponsor. Nonostante non fossimo né a Roma né a Milano. Nonostante i guai dell’ultimo minuto su come gestire e usare gli spazi. Nonostante la copertura ridicola dei quotidiani: siamo stati ignorati quando eventi ben meno culturali e ben meno innovativi vengono pubblicizzati di continuo nelle pagine culturali di tanti giornali importanti e ricevono la visita della RAI per fare il servizio di 2-3 minuti al TG Regionale. Tutto perché, beh, “lo Steampunk è per mentecatti”. Poco importa quali fossero le conferenze proposte, di fronte al pregiudizio di tanti giornalisti e presunti uomini di cultura.

Avevamo l’entusiasmo, la voglia di non arrenderci e di non “frignare all’italiana contro il mondo cattivo”. L’evento è stato troppo sbilanciato sul sabato più culturale (per attirare i giornalisti, ma non è servito) e c’erano troppi buchi sulla domenica anche per la mancanza degli editori italiani di fumetti Steampunk nonostante diversi inviti a venire (se fossero venuti avrebbero venduto TUTTO, a giudicare da come sono andati gli affari agli altri). Ma nonostante questi innegabili difetti si è percepita chiaramente la varietà, qualità e unicità di SteamCamp nel panorama italiano.

Non eravamo lì per fare il solito Chardonnay o il solito taglio bordolese che sanno fare tutti: eravamo lì per mostrare che la nascita di un nuovo Cru nell’ambito degli eventi Steampunk, l’equivalente dello Champagne o della Borgogna, in mezzo agli spumantini industriali da 3-4 euro e ai vinacci in tetrapak che costano come il latte. Per essere la pietra di paragone dei futuri eventi Steampunk (non due, tre, quattro: ne vogliamo vedere a DECINE, grandi o minuscoli, diffusi in tutte le regione italiane nei prossimi anni!), sicuri che nessuno avrebbe potuto commentare negativamente (siamo rimasti basiti leggendolo) come in un altro evento simile.

Qui una testimonianza sull’altro evento (quello romano) nato per scopiazzare il nostro (noi gratis, loro col biglieto da 10 euro), poco dopo che l’avevamo annunciato:

Buona sera a tutti, da persona che è stata al festival e che ha pagato il biglitto di ben 10 euro (considerando che il biglietto del romics per quello che offre, costa meno), mi permetto di dire che mi sento derubata e truffata.
più che un festival mi è sembrata una festa privata dove si pagava l’entrata, il festival si compone di soli 5 stand dove poter comprare un qualunque cosa in tema, una sorta di piccolo angolo bar dove degustare a pagamento, una sala con delle sedie dove tenere le conferenze e una sorta di sala multimediale…se così si può definire.
Tempo impiegato a girare la fiera ? 7 minuti .
Oltretutto sono stata con amici che desideravano saperne di più di questo stile-moda così affascinante, e non vi è stato assolutamente nulla per cui appassionarsi a questo stile.
l’unica attrattiva sono stati i costumi di alcune persone davvero ben fatti, ma questo non giustifica i 10 euro pagati all’entrata.
Io e i miei amici, ci siamo sentiti presi in giro e derubati, tanta strada per un qualcosa che è più simile a una festa privata a pagamento, senza alcuna attrattiva.
Mi spiace per il mio commento così duro, ma sinceramente sono molto delusa e sicuramente non tornerò .

Foto con Steampunk Italia alla chiusura di domenica, dopo le 18:00.

Eravamo lì per mostrare che lo Steampunk non si riduce a incollare due rotelle su dei goth che hanno scoperto il marrone. Allo stesso tempo NON eravamo lì nemmeno per fare discorsoni accademici zeppi di paroloni e riferimenti complicati per nascondere la mancanza di sostanza concreta.
Eravamo lì per mostrare che lo Steampunk è cultura e che la cultura è divertimento.
Abbiamo attirato con le conferenze a tema storico tanti appassionati di Steampunk (e curiosi) che non avevano magari mai immaginato che dietro lo Steampunk potesse esserci tutto questo e che fosse così vario e piacevole.

Perché la cultura è divertente. La cultura non è una noia a cui piegarsi per poi vantarsi facendo gli intellettualoidi (e rendendo così la cultura odiosa), la cultura è divertimento. La cultura non è fine a sé stessa, è fine al piacere di poterla condividere trasmettendo l’entusiasmo agli altri, di poterne parlare assieme (il clima informale del BarCamp), di poter “giocare” tra sconosciuti con il sapere e sognare con gli spunti che la conoscenza del recente passato può darci. Lo Steampunk non è per pochi soggetti in costume e qualche lettore, lo Steampunk è parte di un grande risveglio culturale che può coinvolgere tutti, anche chi ha il vomito se pensa alle rotelle incollate.

Questo messaggio sulla “cultura come piacere” che la scuola dell’obbligo è preposta a far passare, spesso fallendo, noi lo abbiamo visto concretizzarsi nell’entusiasmo dei visitatori in quei due giorni. Visitatori in gran parte, pare, disinteressati alla narrativa scritta e alla fantascienza, ma non alla cultura. Questo significa che il piano ha avuto successo, il che è ovvio perché io sono il Duca.

 

Il Duca di Baionette

Sono appassionato di storia, neuroscienze e storytelling. Per lavoro gestisco corsi, online e dal vivo, di scrittura creativa e progettazione delle storie. Dal 2006 mi occupo in modo costante di narrativa fantastica e tecniche di scrittura. Nel 2007 ho fondato Baionette Librarie e nel gennaio 2012 ho avviato AgenziaDuca.it per trovare bravi autori e aiutarli a migliorare con corsi di scrittura mirati. Dal 2014 sono ideatore e direttore editoriale della collana di narrativa fantastica Vaporteppa. Nel gennaio 2017 ho avviato un canale YouTube.

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