Userò questo post per inserire gli interventi dedicati alla scrittura per la narrativa e alla narrativa in generale che sto facendo per Carta Vetrata (streaming su Radio Città Futura, la domenica mattina dalle 11:00 alle 12:30). Ce ne saranno almeno tre, incluso quello di domenica scorsa, poi si vedrà.
Dipende se mi verranno idee sviluppabili nei limiti di tempo concessi tenendo conto che regolarmente, tra i tagli improvvisi sul minutaggio a causa degli sforamenti di altri e al numero di domande che andranno a interrompere il discorso, ci sarà il rischio di massacrare un intervento costruito con una eccessiva precisione nella sequenza di esempi e spiegazioni che portano alla conclusione.
Con queste premesse i discorsi più complessi e interessanti sono impossibili da fare. D’altronde la Radio non è un articolo dove si può scrivere a piacimento.
Ford Madox Ford: ha i baffi e l’uniforme quindi ha ragione.
Citato nell’episodio del 20 novembre.
L’intervento già disponibile è quello dedicato all’infodump.
C’è mancato poco che diventasse un obbrobrio nonostante la brevità e la semplicità dell’argomento: su 8 minuti previsti dalla scaletta e in base ai quali dovevo progettare l’intervento ne sono stati dati invece solo 7 (di cui uno ottenuto per un pelo alla fine). Nei sette minuti sono conteggiati anche gli interventi e due domande poco connesse con la questione che hanno occupato complessivamente 2 minuti e 40 secondi, oltre a incasinare un po’ la struttura prevista per l’intervento. Fa niente, amen.
Non sono bravo a parlare e non sono bravo a improvvisare, soprattutto quando il tempo è poco e l’argomento va spiegato in un certo modo. Non si può dire meno del minimo indispensabile. In questo caso fortunatamente l’intervento era pensato per richiedere 4 minuti appena, proprio perché temevo problemi di questo tipo. Nonostante tutto sono riuscito grossomodo a dire tutto il minimo necessario. Manca solo la spiegazione che precedeva la citazione finale, dedicata a come affrontare l’infodump e come risolverlo.
Soluzione sintetizzabile così:
- se quelle informazioni sono importanti allora significa che sono rilevanti per la storia, se invece non sono rilevanti per la storia tagliale;
- se sono rilevanti per la storia significa che appaiono dentro a delle scene che mandano avanti la storia, di conseguenza mostrale integrandole nelle scene in modo intelligente e coerente con il Personaggio-Punto-di-Vista scelto (vedi esempio col Ponte di Westminster);
- se sei sicuro che quelle informazioni sono essenziali, ma non riesci a farle spuntar fuori con le scene disponibili già progettate significa che hai progettato male la sequenza delle scene: riprogetta la sequenza e fai in modo che ci sia ciò che deve esserci e che non ci sia ciò che non deve esserci.
Infodump (13/11/2011):
Per l’As you know, Thetis vedi questo commento.
I prossimi due episodi (20 e 27 novembre, poco dopo mezzogiorno) saranno dedicati alla filosofia di fondo della Narrativa moderna, usando come spunto The Rhetoric of Fiction di Wayne Clayson Booth. Intendo Narrativa sia mainstream che di genere (comico escluso), ma non quella “Letteraria” (Literary Fiction), sia per mancanza di tempo sia per il fatto che la definizione è un po’ idiota e Booth stesso non se ne preoccupa quando affronta questa questione. La Literary Fiction è talmente lontana dalla Narrativa da non condividerne la filosofia di fondo, anche se ne condivide alcune regole (penso ad esempio all’importanza dei dettagli concreti, presente anche nella poesia).
È solo una questione di sapere qual è l’agenda creativa alla base dell’opera: raccontare una storia immergendo il lettore fino a che dimentichi di stare leggendo… oppure deliziare il lettore con la bellezza della parola in sé, senza nemmeno bisogno che ci sia una storia in senso tradizionale?
Ho già accennato alla cosa in questo commento.
Booth – la Narrativa come Retorica, prima parte (20/11/2011):
[Lo scopo della Narrativa è] prendere il lettore, immergerlo nella vicenda così a fondo da renderlo inconsapevole sia di stare leggendo che dell’esistenza di un autore, in modo che alla fine possa dire e credere “io ero lì, io c’ero”.
(Ford Madox Ford, solamente uno dei più importanti autori inglesi tra XIX e XX secolo)
Molti romanzi sono seriamente danneggiati dalle intrusioni dell’autore.
(Wayne Clayson Booth, solamente uno dei maggiori esperti di narrativa del XX secolo)
Booth – la Narrativa come Retorica, seconda parte (27/11/2011):
Un sostantivo ha bisogno di solo un aggettivo, il più adatto. Solo un genio può permettersi due aggettivi per un sostantivo.
(Isaak Babel citato da Oakley Hall in How Fiction Works)
Se quelli che hanno studiato l’arte della scrittura sono d’accordo su una cosa, è questa: il modo più sicuro per stimolare e mantenere l’attenzione del lettore è essere specifici, chiari e concreti. I più grandi scrittori – Omero, Dante, Shakespeare – sono efficaci in gran parte perché trattano i particolari e riportano i dettagli che contano. Le loro parole evocano immagini.
[…]
Una prosa ricca, ornata, è difficile da digerire, generalmente malsana e talvolta nauseante.(The Elements of Style, Strunk & White, dal 1959)
Il discorso sulla Narrativa vista come Retorica si allunga con una terza e ultima parte su Demostene, dedicata a chi può avere ancora dei dubbi a causa della posizione intermedia tra atticismo e asianesimo di Cicerone.
Booth – la Narrativa come Retorica, terza parte (4/12/2011):
Confrontando Cicerone con Demostene, dirò che il carattere di Demostene è l’evidenza della ragione, l’impeto e la veemenza di un’anima accesa ed eloquente; quello di Cicerone, l’ordine, la fecondità, e lo splendor dell’orazione. Il primo più aspro, talvolta secco e duro, ma più sublime e più robusto; il secondo più florido e più ornato, ma talvolta, come lo rimprovera Bruto, cascante e distemperato. In due parole: ammiro Cicerone, ma vorrei Demostene per difensore.
(Guglielmo Audisio, esperto di eloquenza sacra nell’Ottocento)
lontano da ogni abbellimento e gioco, volto alla potenza e alla sostanza
(Plutarco su Demostene)
BONUS – Fabrizio e Gizi sul problema della critica autoreferenziale (4/12/2011):
Giusto per ricordare che la critica che fa Gamberetta, o che faccio io, ovvero quella il cui scopo è dare al pubblico gli strumenti per decidere meglio cosa leggere, non è la norma. Spesso la Narratologia finisce per parlare di sé stessa e della propria storia, producendo specialisti dottissimi nella storia della critica e nei diversi movimenti, ma incapaci di analizzare in modo utile un romanzo di un certo genere.
La visione che vada affrontato solo il testo, perché il testo è ciò che il lettore legge e chissenefrega di chi era l’autore (negro, bianco, povero, ricco, gay, maschio, femmina ecc…), non l’ha inventata Gamberetta, ma è arrivata con il movimento della Nuova Critica (anni 1920-1930) ed è una posizione intellettuale molto più sensata di altre se lo scopo è dare strumenti al lettore. Il fatto che qualcuno a 80 anni di distanza ancora si stupisca di un simile approccio così ovvio e naturale (e utile per recensire) è un ulteriore dimostrazione del fallimento del sistema scolastico italiano nel dare strumenti utili alla formazione mentale del cittadino.
La Scuola di Chicago (anni 1950-1960) con Booth reintroduce l’autore nella critica, ma solo per quello che ha scritto, ovvero come autore implicito. Quindi se l’autore è negro, ma scrive come se fosse un bianco del KKK, conta solo l’autore implicito e non l’autore fisico. Posizione su un campo di gioco simile a quello della Nuova Critica, ma più aperta a prendere il buono dalle altre scuole di pensiero. La Scuola di Chicago riscopre Aristotele, soprattutto il metodo di Aristotele e l’importanza dei Generi (ovvero che non esiste Letteratura e basta, ma un certo modo di fare e valutare il rosa e un certo modo il comico e un certo modo la fantascienza ecc…), per dare una nuova base da cui partire senza negare a priori ciò che di buono può venire da altre posizioni critiche.
Madden su Cechov – il chiaro di luna presente assente (15/1/2012):
Teoria dell’Iceberg – come ragionare per evitare gli Infodump (22/1/2012):
Aggiornerò questo articolo di volta in volta con i nuovi interventi e con le eventuali (brevi) annotazioni su cosa non ho potuto dire o su cosa ho spiegato male.
Precisarlo è cosa buona e giusta. C’è ancora gente che parla di infodump come un elemento narrativo regolare, da sfruttare come e quando si vuole. Sigh.
Interessante.
c’è che la tempistica ti frega parecchio. Il concetto di infodump è molto semplice ma un discorso esaustivo in 6 minuti è chiedere troppo.
Ok, morte all’ “As you know, Bob”, d’accordo. Però io resto convinto che si possa creare un dialogo tra due pg che illustri bene un ambientazione pur coi due pg che ci vivono dentro da anni. Magari basta che non sia il fulcro del dialogo (ad es credo che un dialogo tra due che cercano un modo per infiltrarsi tra le fila di una razza aliena possa spiattellare tutte le info della razza in questione giocando sul proporre piani d’azione e scartarli, motivando (un po’ come una differential diagnosis tra due medici: dopotutto entrambi i medici di medicina ne sanno a tronchi, ma demolendosi le idee a vicenda fanno seguire meglio anche il lettore))
Certo, ci vuol del mestiere.
Comunque ascolterò i vari files, così come già mi ero ascoltato i precedenti sullo steampunk.
Ciao
ps.
wtf?
@cuk
Beh, in realtà dipende, e fondamentalmente dipende sempre dalla prima postilla:
Se ha senso dare informazioni sulla razza aliena allora la scena risulterà naturale, altrimenti puzzerà di inforigurgito lontano un miglio. Esempio: se i due che cercano di infiltrarsi, parlando degli alieni, parlano del loro culto della dea Sbrudrum dai mille volti, e poi questa informazione è inutile ai fini della storia, sarebbe stato meglio tagliarla.
Alla fine non è mai il come a fare la differenza, è sempre il perchè.
@Duca:
Approvo questo post (per quello che te ne può fregare :D)! Ogni volta bestemmiavo per cercare nel blog il post con le registrazioni degli interventi vecchi di Carta Vetrata, e poi mi dimenticavo che le ultime non le registrate più e mi ripromettevo di sentirle in streaming e mi dimenticavo…insomma, mea culpa, alla fine me ne sono perse parecchie. Rimedierò seguendo le prossime con attenzione, recuperandole da questo post.
Detto tutto questo…devo fare outing.
*fa un bel respiro*
Io ho una passione per l’infodump da incipit “epico-religioso-cosmogonico” tipo l’inizio del Silmarillion. Perchè sì, perchè mi piace, perchè mi da gusto leggerlo (se scritto con maestria poetica), perchè la Genesi è uno dei libri più belli della Bibbia.
Ecco, l’ho detto.
Puntata interessante, si vede che dietro quanto detto ci sono molti concetti; pensi di dedicarci un articolo, in futuro?
E mi chiedevo se puoi indicarmi qualche testo sul cambiamento di mentalità verso il romanzo da prima a dopo Flaubert.
Gherardo Psicopompo:
In realtà è anche il come: le stesse informazioni possono stare bene inserite in un dialogo tra uno che conosce l’argomento e uno che non lo conosce, ma male se buttate lí dal narratore.
Le puntate sono tutte registrate, sia da me, sia (ultimamente) da Gaffi, forse anche dal Duca; semplicemente non sono piú state caricate, perché per un po’ si è trattato di cose già dette negli articoli.
Se qualcuna in particolare – o tutte – t’interessa basta saperlo, caricarle non mi costa nulla.
Il Silmarillion e la Bibbia non è che siano narrativa di genere (almeno: personalmente ho sempre considerato Il Silmarillion come un libro storico-mitico dell’universo tolkieniano, piú che come un testo di narrativa), quindi possono seguire regole diverse.
Inoltre, la differenza tra ciò che è fatto bene e ciò che piace è sempre stata sottolineata: può essere scritto male, ma comunque piacere.
Curiosità: qui potete vedere la forma d’onda della voce del Duca (sinistra) e di Gaffi (destra), immediate da distinguere.
Quella di mario e l’altro che parlano dei fucili di avancarica è stupenda :D
Riporto il brano dell’Iliade in cui Achille, prima di lanciarsi in un As you know, Thetis, fa sapere ai lettori di essere quantomeno consapevole di stare per spiegare gli eventi solo a loro beneficio perché sia lui che la madre conoscono già tutto:
Ho messo la versione inglese scelta da wikipedia perché la traduzione di Monti del 1825 non mi piace. Un testo non dovrebbe sembrare vecchio, dovremmo poterlo leggere in una lingua decente come se fossimo gli antichi greci che lo sentono recitato da un loro contemporaneo.
In Monti il solo avviso ai lettori di stare per lanciarsi nel Come ben sai, Teti è questo:
Segue spiegone a uso e consumo del solo pubblico.
Messo online l’intervento di oggi, con due citazioni famose sotto (tradotte).
Se vuoi ci sono su library.nu vari testi dedicati alla narratologia divisi per epoche.
Come argomento però è tecnicamente irrilevante in sé per la scrittura: è utile solo sapere che esiste per capire come mai sono importanti le regole e perché, dice Booth, anche se lo Show “oggettivo” non è l’ideale e non va osannato (pure io preferisco la penetrazione profonda, il filtro totale della mente del personaggio, un POV soggettivo ovunque possibile), non si può nemmeno esaltare il Telling in sé a scapito dello Show.
Farlo sarebbe indietreggiare di decenni e togliere di nuovo dignità alla narrativa.
Non capire i limiti stessi nelle opere degli autori che avviarono l’esaltazione dello Show, appigliandosi al Telling ancora rimasto e ai loro errori (talvolta legati al modo in cui si faceva letteratura, vedi la questione del romanzo con inserti quasi saggistici ecc… o le biografie iniziali alla Dickens) per giustificare una regressione della scrittura, è una follia.
Non erano divinità e non erano perfetti (e i tempi erano diversi), per cui le loro opere risentono di questo, ma la via che hanno indicato con convinzione era quella.
Booth è molto duro su queste cose perché lui, essendo un grande esperto e forse il massimo esponente della Scuola di Chicago, conosce benissimo la fondamentale importanza dello Show.
Per poter introdurre la questione dell’Autore Implicito per spiegare la sua posizione sul fatto che ci sia in fondo del Tell anche nello Show (ma che non è il Tell che pensano i sostenitori del “sommario narrativo” o delle “intrusioni dell’autore”) deve prima chiarire al meglio fin da subito che il Tell di cui vuole parlare non è quel Tell schifoso che viene preso a calci allegramente dallo Show, ma una questione molto più sottile e molto più interessante.
Cito:
Miei grassetti.
Quello di cui vuole parlare è ciò di cui parlano Gamberetta e gli autori sui cui manuali ci siamo formati entrambi: il filtro soggettivo, lo stile inteso non tanto come tecnica -le regole sono quelle- ma come scelta dei contenuti e della loro presentazione attraverso la scelta di un certo POV usato come filtro (autore implicito) ecc…
Distinguere l’Autore Implicito dal Narratore e dall’Autore Fisico.
E lo stesso vale per chi confonde le opinioni dell’Autore fisico con quelle dell’Autore Implicito.
Il problema nasce della stupidità del volgo quando pensa che un Autore sia un razzista perché in un suo romanzo il protagonista è un razzista e tutto il mondo sembra uscito dagli stereotipi razzisti sui negri (autore implicito sceglie cosa mostrare e come), anche se poi nella vita reale l’Autore Fisico è in prima fila a combattere per i diritti dei neri.
E così tanti autori preferiscono censurarsi per non farsi accusare dai ritardati incapaci di distinguere la fiction dalla vita reale di essere dei razzisti, dei pedofili, dei bigotti, dei sostenitori della cultura dello stupro ecc…
Per altre informazioni rimando alla seconda parte dell’intervento, domenica prossima.
Duca:
Il libro di Booth è appena passato da “Prima o poi lo leggerò. Forse” a “Devo leggerlo”: ho sempre avuto un’impressione simile, ma senza gli strumenti per focalizzarla, men che meno per iscritto.
Grazie del rispostone, ora aspetto Domenica prossima.
Quando Booth scrive
L’ho immaginato con la voce di Sauron in War of Wrath (da Nightfall in Middle-Earth).
Duca, hai appena guadagnato un posto nell’Olimpo dei miei miti personali per aver citato i Blind Guardian. °_°
Duca sei un grande! :D
Davvero fantastico!
Edy
Ma la tua voce alla radio è troppo sexy. Mi sono bagnato a sentirti con le cuffie. ^_^
Comunque io l’ho trovata molto chiara come spiegazione. E se l’ho capita io, vuol dire che è alla portata di tutti.
Mi viene in mente quel negrofobo Giobbe Covatta. ^_^
Delle storie stupende, con morale spettacolare, da inserire in tutti i libri per bambini. Oserei dire qui Giobbe ci Cova.
Ciao!
Seguo da un po’ il tuo blog come quello di Gamberetta.
Leggo silenziosa senza commentare e vi stimo molto entrambi per i tanti spunti interessanti di discussione che date. Per una volta volevo scriverti un grazie. =)
Complimenti anche per la tua apparizione in radio!!
Te la stai cavando benissimo, peccato solo per i due presentatori che interrompono sempre! >.<
Un saluto e buon lavoro!
Grazie Laura.
Questa domenica ci sarà la seconda parte del discorso introduttivo sulla Narrativa. Se riuscirò a registrarlo lo caricherò subito dopo.
Duca:
Io tengo attiva la registrazione, se hai problemi fammi sapere e la carico in tempo zero.
Mi è venuta in mente una questione strettamente legata all’infodump. Anni fa ho partecipato a un brevissimo seminario sulla scrittura nella narrativa di genere tenuto da Troy Denning, che scrive romanzi per le serie di Star Wars e Forgotten Realms e vende un casino. E’ roba da un tanto al quintale, ma ciò non toglie che il seminario sia stato utile e interessante. Un autore fantasy nostrano, al suo posto, non avrebbe saputo fare altro che blaterare stronzate pseudo intellettuali, mentre da quelle due orette del seminario erano usciti consigli utili come “i dialoghi non devono mai essere troppo diretti del tipo botta-risposta, botta-risposta”.
Uno dei consigli di Denning era stato: una storia deve aprirsi con una domanda, grossa e importante, che troverà risposta solo alla fine. I singoli capitoli dovranno a loro volta contenere sottodomande, e così le singole scene. Apriamo ogni scena facendo in modo che il lettore si ponga delle domande, che dovranno trovare risposta in un tempo inversamente proporzionale all’importanza della domanda. Questo, è ovvio, serve a stimolare la curiosità del lettore spingendolo quindi a girare le pagine. La domanda crea un bisogno, la risposta tot pagine più avanti genera un senso di soddisfazione. E’ altrettanto ovvio che l’infodump è la morte di tutto questo. Non solo è noioso e fastidioso da leggere, ma ammazza anche nella culla ogni curiosità da parte del lettore. L’apoteosi dell’idiozia si ha in certi romanzi fantasy con quelle genesi bibliche che precedono la storia, spiegandoti per filo e per segno come e perché è nato quel mondo e da quali forze sia dominato fin dalla notte dei tempi e bla bla bla, togliendoti quel minimo di piacere di scoprirlo da solo a mano a mano che la storia procede, sempre ammesso che non sia il solito medioevo farlocco con gli elfi effeminati e i nani burberi.
@Angra
Vero!
Trovo sempre molto gradevole quando un autore riesce a solleticare la mia curiosità e a tenerla in sospeso.
Ammetto che non sia facile, ciò richiede una buona dose di equilibrio nel costruire le scene e una non prevedibilità della conclusione degli eventi. Molto spesso questa seconda parte manca in quanto gli autori hanno letto poco e quindi scrivono scene o finali che sono prevedibili dopo poche pagine dall’inizio, come ripetizione infinita di altre storie già scritte. Al che mi annoio e chiudo il libro.
A me piace molto lo schema di domande che definirei espressione di narrativa aritmetica, ad esempio:
{Domanda[Domanda(Domanda)Domanda]Domanda}
Per risolvere la storia poi applicherei la classica formula nel risolvere prima le tonde, poi le quadre, infine le graffe. Ovvero partire con una domanda iniziale che si risolve solo alla fine del romanzo, con tutti i passaggi intermedi relativi.
L’infodump è tremendo. A scuola si studia nello stesso modo, ti infarciscono di nozioni senza lasciar spazio alle domande e alla curiosità. Leggere da pagina tot. a tot. interrogati su quelle.
Un diverso metodo di apprendimento è quello di stimolare la curiosità nello studente, applicando lo stesso metodo dei romanzi scritti bene. Stimolare curiosità. Però la pigrizia degli autori, degli insegnanti e degli intellettuali batte tutto questo.
Alberello:
Avevo letto di un professore di fisica che si basava su quello: prima lezione, tutti in laboratorio. Gli studenti non sanno ancora cosa state facendo, ma vedendolo magari gli viene la curiosità di sapere perché accade proprio quello.
Idea venuta da una semplice constatazione: i suoi figli giocavano ai videogiochi senza leggere i libretti d’istruzioni, ai quali si rivolgevano solo se proprio non riuscivano ad andare avanti.
Non sai quanto hai ragione.
Mi ricorda la prima volta che ho visto un generatore di Wimshurst in laboratorio di fisica.
Così dannatamente bello, incomprensibile (ancora non sapevo cosa fosse l’elettromagnetismo), “retrò”. Ammetto che ci si sentiva un po’ Tesla ad usarlo.
Quell’aggeggio mi ha preso così tanto che alla fine buona parte dell’ elettrostatica l’ho studiata per i cavolacci miei, ci ho fatto una ricerca extra ed ho pure costruito un generatore “in miniatura”.
@Angra
Davvero una bella riflessione questa della morte delle domande con l’infodump.
A volte però mi è capitato di leggere racconti “troppo densi di azione e eventi”.
Ogni tanto un minimo di spiegazione serve per farmi gustare meglio quello che succede. Diciamo anche per creare della suspense.
Certe volte tutto era talmente veloce da darmi un senso di vortice e caos. Così la storia non riesco più a seguirla.
E’ come se per farmi imparare a nuotare mi si gettasse in mare (e su questo sono d’accordo) ma nel pieno di una tempesta.
E credo che il problema sia proprio capire quando le informazioni sono così tante da diventare infodump e quando un poco di spiegazione (specialmente se sei in un mondo totalmente diverso) ci voglia.
Penso sia difficilissimo trovare l’equilibrio.
In ogni caso meglio una storia troppo veloce(di cui magari mi perdo dei dettagli) che una troppo infodumposa!
Tu che ne pensi?
Edy
Considera cos’è l’infodump: “è spiegare soprattutto cose inutili per la storia” (dalla trasmissione); non è necessario a rallentare il ritmo, qualora ce ne fosse la necessità.
La spiegazione può essere filtrata attraverso il punto di vista di un personaggio, invece che arrivare direttamente dal narratore; e per rallentare il ritmo basta inserire una narrazione che non sia incalzante.
Il Duca stesso nella trasmissione lo dice: dare informazioni non è automaticamente infodump, dipende dall’utilità di quelle informazioni e da come sono date.
@Mauro
Chiarissimo, grazie.
Credo che per eliminare del tutto un infodump in modo efficace serva un editing serio.
Per esempio quello che mi succede è che siccome conosco la storia a forza di eliminare le informazioni a volte io stessa la rendo illeggibile.
D’altra parte siccome specialmente all’inizio istintivamente tratto il lettore come un idiota e gli dico fin troppe cose poi quando edito divento una specie di vendicatore solitario.
Il mio problema è quando smettere di tagliare.
Ma ripeto, credo che questo equilibrio si raggiunga avendo qualcuno che legga la storia in senso critico. Non sono sicura che lo scrittore da solo possa farcela se non in molto tempo. Ad esempio se lascio la storia per diciamo 6 mesi poi certe cose saltano all’occhio anche a me.
Ma volendo accelerare un poco i tempi credo che un buon editor faccia davvero la differenza.
A trovarlo un buon editor!!!!SIGH!
Edy
La citazione di Babel da dov’è tratta?
Riguardo l’intervento, di per sé credo che al discorso degli aggettivi possa adattarsi una cosa che ho letto per i dialoghi: se senza le indicazioni di chi parla (“Disse Tizio”, “Urlò Caio”, ecc.) non si ha idea di chi dice cosa, allora è meglio rivedere il discorso, perché significa che tutti i personaggi parlano con la stessa voce.
Analogamente: se senza aggettivi il testo non sta in piedi, allora il problema non è nella mancanza degli aggettivi, ma a monte.
https://www.steamfantasy.it/blog/2009/09/27/isaak-babel-le-frasi-brevi-e-il-singolo-aggettivo/
@Edy:
Una buona gestione della trama dovrebbe alternare scene drammatiche (e sempre più drammatiche a mano a mano che la storia va avanti) a momenti di transizione in cui la tensione diminuisce, perché altrimenti c’è il rischio di assuefazione da parte del lettore. Nelle scene di transizione, che dovrebbero comunque essere utili al progredire della storia e non semplici riempitivi, c’è sempre la possibilità di inserire azioni e situazioni che mostrino aspetti interessanti dell’ambientazione e dei personaggi. Non è facile incastrare insieme tutti questi aspetti, infatti scrivere bene è un’attività oggettivamente difficile che non può essere risolta con lo spiegone del narratore in un’opera che aspiri a un minimo sindacale di qualità.
Mi è capitato sottomano un esempio per mostrare quanto dicevo nello scorso commento: nel sesto numero di Kingdom, il portabandiera, prima di dire a un battaglione di mettersi in riga, urla com’è composto (“10 colonne di wu [unità di cinque uomini] formano uno shu! Due shu sono un bai!” e avanti cosí).
Ora, immaginatevi la scena: battaglia in corso, sono in inferiorità numerica, l’armata cui dovrebbero portare rinforzo sta venendo massacrata, e prima di far mettere in riga i rinforzi e mandarli all’attacco… mi pare il momento giusto per urlare all’esercito com’è formato un battaglione.
Alternativa: il protagonista è un novellino; si sarebbe potuta mettere prima una scena con un veterano che gli spiegava quelle cose. Si dà l’informazione, s’inserisce un momento rilassato senza raccontare, non si fa infodump (ipotizzando che le informazioni siano utili alla storia).
@Angra
Grazie per la risposta :)
Un mio amico scrittore aveva scritto un thriller molto pieno e il suo editor gli ha fatto eliminare una sottotrama perchè era davvero TROPPO pieno.
Gli ha fatto scrivere un po’ di scene che fossero di transizione proprio per rallentare eppoi far risalire la tensione.
Non ti dico lui come era stupito di aver scritto una trama troppo piena. Di solito quel che preoccupa uno scrittore è di non annoiare non di sovraccaricare il lettore.
Quanto hai ragione!
Mi conforta sapere che questa difficoltà in cui mi imbatto non è solo legata magari alla mia immaturità ma è in certo senso intrinsecamente del “mestiere”. :)
Edy
Le tue parole gentili e di pura passione mi spingono a scrivere qualcosa, per la gioia della raccolta dei più grandi ‘sticazzi del mondo.
Tanto tempo fa c’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones. Egli abitava in un magico mondo tra la terra di mezzo e il nonsense, chiamato Padania. Un giorno conobbe una fata del ghiaccio, ella però abitava da un’altra parte, su di un’isola della Terronia Saudita.
Prese armi e bagagli, salutò le terre verdi, di nebbioso pensiero e volò con il suo monoplano rosso verso quei lidi aridi. Sulla fiancata del veivolo una scritta d’oro capeggiava: “Piuttosto che diventare un leghista, meglio essere un maiale.”
Approdato sull’isola che non c’è, si rese conto da subito che la bandiera predominante non lasciava presagire nulla di buono. Quattro teste di moro, pensò. Son finito in mezzo ai negri, orcodio.
Ed infatti gli autoctoni non possedevano l’acqua potabile per la gran parte del territorio, ovunque scritte che inneggiavano all’autocrazia: “Padroni a casa nostra” “Il lillipuziano è una lingua, non un dialetto” “Inculiamo pecore, viviamo nei nuraghi, siam alti suppergiù due mele e poco più”.
La vita scorreva tranquilla in quel sereno luogo di razzismo e omofobia religiosa, fin quando l’imprevisto, blasfemo, inenarrabile, orrore si palesò. Lo scaldabagno iniziò a perdere.
Il ragazzo si rivolse al padrone di casa, nonché vicino, Don Totoro. Un abitante di un’altra isola laddove la terra è così arida che perfino le zanzare sudano.
Egli rispose: “Che minchia me ne fotte, mettici sta cazzo di colla bicomponente e non sfrangiarmi le palle, son gentile e ti regalo anche questo rotolino di teflon magico”
Dopo ore di lavoro e di merda arruginita finita addosso al giovine trapiantato, il lavoro fu finito. Il tempo di riaprire l’acqua e…
MAGIA! Perdeva come prima.
Arrabbiato come un daino scamosciato, tornò dal vicino e gli spiegò che suo padre gli aveva sempre insegnato che il modo migliore per riparare uno scaldabagno che perde è di buttarlo, comprarne uno nuovo e non usare il teflon magico (Tell), ma la canapa (Show).
Così fece e come per magia lo scaldabagno nuovo non perdette mai più.
La morale di questa storia è che per fare un lavoro fatto male o uno fatto bene ci vuole lo stesso tempo. E che non esistono lavori difficili o facili, lavori degradanti o d’elite, esistono solo due tipi di lavori come insegna Capitan Findus: “Il Capitano ci ha insegnato che ci sono tantissimi tipi di nodi, ma che infondo ne esistono solo due tipi, quelli fatti bene e quelli fatti male“.
Ricordo una teoria bislacca che sosteneva che leggendo tanto e tanti libri alla fine si imparasse a scrivere.
Avete mai guardato 100 scaldabagni diversi montati a muro? Bene, ora provate a cambiare quello di casa vostra senza che nessuno che se ne intenda vi dia dei suggerimenti su come fare. Se dopo averlo fatto non perderà, sarete dei geni dell’idraulica. Quindi potrete fare quel lavoro e smettere di scrivere teorie diversamente astute. ^_^
@Alberello
Fantastica storiella! Molto divertente :)
Lo terrò a mente, anche se non sono proprio sicura che per scrivere male un racconto serva lo stesso tempo che per scriverlo bene.
C’è gente che sforna racconti in una notte, a me ci vuole più di un mese a volte.
Non per scriverlo, intendiamoci. Ma per scriverlo come dico io. Quindi revisionando come una maniaca e cambiando spesso le carte in tavola.
Cioè per renderlo diciamo “presentabile”.
A volte mi prende male quando leggo qualcuno che dice: “Lo ho scritto ieri e oggi te lo invio” beati loro!
Certo se già quando ragioni sul racconto e raccogli le idee cerchi di tenere a mente le regole della buona narrativa non guasta, forse prima o poi da un mese e più riuscirò a scendere a 15 giorni, chissà.
Però ecco la mia eterna insoddisfazione quando faccio editing a volte mi frustra un po’ in confronto a gente che è subito soddisfatta del risultato.
Per questo dicevo che mi consolo, perchè vuol dire che non sono io a essere troppo esagerata o cronicamente incapace, che davvero scrivere qualcosa che sia equilibrata ed efficace non è roba che si fa in una nottata.
Edy
Edy, grazie. Dedico questo pamphlet a Jonathan Swift, tra due giorni è il suo compleanno. Spero che quello sporco irlandese si faccia due risate dalla tomba.
Il senso critico è una benedizione che non a tutti è concessa. Ma non devi nemmeno farti sovrastare da esso. Mio padre ha lavorato per tutta la vita per l’Agusta di Cascina Costa, come operaio. Di notte studiava disegno tecnico per migliorare e alla fine è stato promosso alla manutenzione degli elicotteri. Venne mandato anche all’estero, in Egitto, in Venezuela ecc. Il suo senso critico in tal senso era incommensurabile, aveva la vita del pilota e dei passeggeri dei mezzi nelle sue mani. Se sbagliava una valutazione, poteva morire qualcuno.
Una volta successe. Non ricordo esattamente tutti i dettagli tecnici, ma uno dei pezzi che aveva passato il suo check cedette in volo e lo schianto provocò vittime. Non se lo perdonò mai anche se le ulteriori analisi dimostrarono che il pezzo in questione sarebbe ceduto solo in volo e da terra era impossibile prevederlo. Tutti sbagliano e sbagliamo, l’importante è riconoscerlo, prenderne atto e imparare dagli errori. Mio padre è sempre stato un gran cagacazzo su qualsiasi lavoro manuale facessi. Uno dei suoi amici lo chiamava l’archimede pitagorico della pianura padana. All’inizio lo odiavo come il protagonista di “Piovono Polpette”, ma da quando andai a vivere da solo dovetti ringraziare ogni suo singolo consiglio. Su come usare il trapano, il martello, il flessibile, la roncola ecc. Tutti trucchetti che portano via un pò di tempo, ma migliorano l’opera finale.
Ti posso consigliare di trovare un buon equilibrio nella tua autostima per sopportare meglio le critiche, anche le tue stesse. Se sei troppo umile, rischi di essere calpestata, di non realizzare l’opera nel migliore dei modi in quanto ascolteresti troppe teste e non del tutto la tua. Viceversa non accetteresti mai critiche e ti ridurresti a fare la poser metallara pubblicando ebook. Devi provare e riprovare, acquisire gli strumenti di ciò che vuoi realizzare e poi mettercela tutta con un pò di convinzione.
Fai tue le teorie tecniche, usa la forza! xD
@Alberello
Grazie tantissimo per le tue parole e i tuoi racconti. Li trovo molto più convincenti di tante teorie.(Show don’t tell ancora una volta ;))
Grandissimo!
Seguirò certamente la via della tecnica anche perchè detto così come consiglio è davvero troppo convincente! :D
Grazie ancora!
Edy
@Edy, perdonami.
La parte su mio padre è stata completamente inventata. Non l’ho fatto per prenderti in giro, ma per dimostrare come determinate teorie funzionassero, messe in pratica.
Era uno sporco lavoro, ma qualcuno doveva pur farlo.
Ora puoi odiarmi se vuoi, ma tieni conto che se avessi voluto avrei potuto non rivelarti la verità e tenermi il tuo apprezzamento. Auguri per le tue storie. :)
@Alberello
Nessun problema!Non sono una giornalista! ;)
Sono una che cerca di scrivere bene storie inventate e sono una forte lettrice di storie per lo più inventate.
Una storia ben raccontata al momento giusto secondo me è efficace come un fatto vero. Almeno per me. :)
E le tue erano davvero divertenti e interessanti!
Continuerò a studiare le tecniche narrative ricordandomi però di tenere a freno la mia tendenza ad essere ipercritica.
Grazie ancora! :)
Edy
Meno male, altrimenti mi avresti censurato nel nome della libertà di stampa. ^_^
E fu così che il nostro eroe Link salvò la principessa dal male oscuro, blasfemo, spaventoso, osceno, innominabile. Finalmente esso aveva un nome, una forma e una sostanza.
Il mio intervento di domani dovrebbe essere alle 12.20 o poco prima, in pratica in fondo al programma.
Si conclude il discorso sulla Narrativa come Retorica. Se non faccio un casino e se arrivo alla conclusione finale, intendo, ma per ora è andata bene…
Caricato episodio, più Bonus e considerazione extra.
Cioè, cioè, adesso dovrei parlare con il pene?
(Questa la capiranno in pochi, ma non ho resistito, chiedo scusa a tutti.)
Comunque ottima la puntata su narrativa e retorica, dico sul serio. La terza parte mi è piaciuta molto, soprattutto quando dici che gli antichi sostenevano la tecnica di Demostene nonostante apparisse un’orazione a braccio.
Stupende anche le citazioni! Non faccio spesso complimenti perché poi sembro l’amico degli amici e gne gne gne, ma stavolta li meriti tutti, perlomeno da parte mia.
Non ti ci abituare però. ^_^
Cioè, cioè… Adesso dovrei dirigere con il pene?
LOOOOOL! :D
Sei un genio, ora ti stimo mille volte di più. XD
Interessantissimo il tema della retorica, amaro e tristemente significativo il bonus.
I tuoi interventi mi stimolano riflessioni, e non solo: pensavo di dedicare un paio di articoli del mio blog alle connessioni tra drammaturgia, educazione alla teatralità e scrittura, spero ne esca fuori qualcosa di interessante.
Purtroppo anche questa domenica mi sono perso la diretta “in tempo reale”, non so perchè ma mi da molto più gusto dell’ascoltare i file a fine giornata. Domenica prossima rimedierò! >_<
L’intervento di Domenica scorsa è stato un montaggio di quelli passati, in pratica il discorso su narrativa e retorica in un’unica puntata; interessa?
Ok. Passa.
Non sapevo ci fosse stato l’episodio domenica scorsa. Cioè, sapevo che non era live, ma non pensavo nemmeno che ci fosse un registrato assemblato con cose vecchie. Credevo saltasse e basta.
Anch’io credevo non ci sarebbe stato, è mancata anche la solita comunicazione via mail; l’ho registrato tanto per essere sicuro, infatti ho controllato solo oggi. Il bello è che Gaffi ha fatto “Rientriamo in diretta con Marco Carrara da Bergamo”, ci ho messo un attimo a notare che tanto in diretta non era.
Eccolo qui (12.0 MB).
Rispondendo una domanda sull’infodump stavi parlando della “passione ottocentesca per dire vita morte e miracoli di un personaggio”, ma alla fine della frase si è sovrapposto il tipo parlando dell’ultimo capitolo di Guerra e Pace, e non capisco la fine della tua frase; ricordi qual era? Capisco fino a (parlavi di Madame Bovary “e lí era una questione di gusto; può anche essere carino da dire però siamo un po’”.
Stavo dicendo che siamo fuori dall’ambito di come si scrive Narrativa. Quel gusto ottocentesco per gli aspetti biografici, come il gusto che può avere un appassionato di storia per un lungo infodump storico in un romanzo storico, sono aspetti slegati dalla Narrativa e connessi alla Saggistica Storica o agli studi Sociali.
Come spiegato già in passato, non tutto ciò che si trova tra due copertine è di per sé un Romanzo o è Narrativa. Alcune opere mischiano altre cose SBAGLIATE secondo i criteri della Narrativa e rivolte a un pubblico con particolari fetish che possono gradirle lo stesso. Probabilmente le avrebbero gradite di più sotto forma di Narrativa, ma il problema di fondo è che, essendo confusi dal modesto interesse provato, penseranno invece che siano giuste in sé.
Vedi questi commenti:
https://www.steamfantasy.it/blog/2011/08/11/recensioni-narrativa-troll-e-ignoranza-in-quattro-parole-state-zitti-e-studiate/#comment-32694
https://www.steamfantasy.it/blog/2011/08/11/recensioni-narrativa-troll-e-ignoranza-in-quattro-parole-state-zitti-e-studiate/#comment-32935
Il problema è che il tipico lettore, incluso anche il lettore smaliziato che però non è un esperto di scrittura, non ha competenze sufficienti per cogliere le sottigliezze. Si arriva al punto in cui addirittura può criticare a livello teorico, quando se ne discute esplicitamente, cose che quando legge gli vanno invece benissimo.
L’esperienza di lettura è scissa dalla sua capacità (scarsa, altrimenti non ci sarebbe il problema) di analisi dello scritto o della teoria che vi sta dietro.
Per esempio il salto temporale e di POV nelle Cronache di Martin: un banalissimo uso della scrittura, anzi l’uso ovvio della scrittura basata sul mostrare (es: passiamo di botto da quanto Tyrion è ancora sulla nave a quando gli schiavisti lo hanno già messo all’asta, tagliando le cose reputate inutili dall’autore che stanno in mezzo).
Poi Martin integra elementi scemo-friendly, ovvero tocchetti di narrato coerenti col POV (ricordi riassunti), per fare il punto della situazione al lettore, nel caso sia troppo tonto per ricordarsi cosa era successo 3-4 capitoli prima, ma il salto temporale netto è già avvenuto e il lettore lo ha già subito. E sono migliaia di pagine che li subisce, senza battere ciglio. Infatti non disturbano. E Martin non è esattamente una lettura per raffinati buongustai dell’eleganza stilistica, è solo molto meglio della massa di incompetentissimi colleghi (e molto sopra la sufficienza… come stile di scrittura, poi se andiamo alla progettazione si può notare il calo di conflitto, i vari punti deboli dell’opera che giustificano come mai a tanti non piaccia, il suo essere Fantasy solo nel senso che non è sulla Vera Terra Storica perché per il resto è proprio Mainstream -e infatti può piacere senza problemi al pubblico che non si caga nemmeno di striscio il fantasy- ecc…).
Le tecniche scemo-friendly sono difficili da usare, visto che sono volontari peggioramenti della scrittura per facilitarla ai gonzi che leggono saltando le parole o intere frasi o che dimenticano dopo poche righe le cose lette.
La bellezza della scrittura sintetica dove ogni parola conta va a farsi fottere se il lettore si rifiuta di leggere le fottute parole messe apposta lì dall’autore…
È come se certa gente preferisse lamentarsi di non capire un testo breve, elegante e intenso di 200 pagine, per lodare sbrodolamenti ripetitivi a prova di idiota da 1200 pagine: a furia di ripetere spesso le stesse cose lo scemo prima o poi le legge TUTTE, questo è il segreto della ripetitività scemo-friendly.
Martin le usa in modo un po’ goffo e ripetitivo, ma nell’insieme passabile.
Il concetto di scemo-friendly è uno di quei concetti che non vengono spiegati in modo chiaro nei manuali per evitare le urla isteriche delle masse di fessi, appunto, che sarebbero offesi dallo scoprire cosa i veri autori pensano di loro e di come leggono (seguirebbe scandalo, proteste, forse articoli sui giornali riguardo l’arroganza di certi scrittori, boicottaggi contro i romanzi dell’autore che ha rivelato il Segreto di Pulcinella ecc…), ma che dopo aver letto una ventina di manuali uno deve per forza intravederlo tra le righe, nel modo in cui i consigli dati sono “flessibili” e spesso leggermente incoerenti rispetto alle regole dichiarate poco prima.
Talvolta gli accenni sono più chiari, ma in generale fa parte dei segreti del mestiere che hanno valore per davvero solo quando sono “scoperti” da soli, sotto forma di epifania, dopo aver studiato moltissimo le regole. E infatti penso che pochi capiranno davvero la spiegazione che ho dato, ovvero provando una illuminazione che la riconnette a tantissime cose lette in precedenza. Va vissuta e avuta in proprio, darla così, sotto forma di teoria ondeggiante sulle nuvolette, non rende bene.
Ciao Duca,
il concetto di scemo-friendly devo dire che mi è piuttosto chiaro. Non tanto mentre scrivo(ahimè niente epifania ancora!) ma quando leggo.
Ti ringrazio per avergli dato un nome.
Diciamo che da qualche anno a questa parte ho notato che ho cominciato a saltare le righe, all’inizio leggevo con attenzione ma dopo un po’ cominciavo ad essere irrequieta e a saltare parole e frasi.
Ormai è diventato una specie di abitudine di cui non sono nemmeno più cosciente.
Lo avevo attribuito ad un segno di vecchiaia(prima non mi succedeva) che tende a rosicchiarti la pazienza ma ora che ci penso probabilmente non è così.
Mi sono accorta che qualcosa non andava quando ho letto “la morte dell’erba” che tu avevi consigliato.
Al solito istintivamente ho cominciato saltando le parole, una qua e una là.
E mi sono accorta che non ci si capiva un accidente.
Così sono tornata ad una lettura ordinata.
Perchè quel libro la vale tutta.
Lo stesso lo ho sperimentato con “cuore d’acciaio”.
E allora sono giunta alla conclusione che i libri nuovi sono annacquati.
Lo avevo attribuito all’editore che voleva gonfiare le pagine, non avevo pensato che ormai è diventata anche una brutta abitudine dei lettori indotta dalla politica di gonfiare le pagine.
Davvero non avrei mai pensato di doverla tenere in considerazione scrivendo.
Ottimo spunto davvero.
Grazie
Edy
Bravissima, sei arrivata al punto successivo che non avevo trattato e non pensavo di aggiungere.
Scrivere male educando i lettori a leggere male crea un circolo vizioso in cui, alla fine, sono esclusi i lettori che vogliono leggere bei testi e gli autori che vogliono scrivere esaltando la più grande bellezza dell’arte retorica-narrativa: la brevità, fare in modo che ogni parola CONTI e nessuna sia inutile.
In fondo è un aspetto di quella selezione “verso il basso” iniziata già 60 anni fa e denunciata da Damon Knight.
Bravissima, davvero.
Un mio commento che tratta anche questo aspetto del degrado graduale è qui, ma ci tornerò:
http://sudareinchiostro.it/2012/01/12/la-nobile-ducale-arte-dell%E2%80%99editing/#comment-445
Io ero convinto del contrario, mi capitava di saltare righe solo con alcuni libri (es: Licia, Paolini, ecc.), ovvero quelli scemo-friendly.
Infatti quando Siccardi scriveva:
Rispondevo:
Per me il saltare le righe era una conseguenza della ridondanza scemo-friendly, la noia della fuffa spingeva a saltare righe e paragrafi inutili.
Beh, in ogni caso ho risolto selezionando meglio le mie letture, soprattutto grazie alle segnalazioni positive tue, di Gamberetta e della ciurmaglia di Massacri.
Lo ammetto, anche io sono un gonzo e ci sono cascato con tutte le radici.
A volte trovavo ridondanti certi passaggi nei libri che leggevo o oltremodo inutili e li saltavo.
Mi ero dato due spiegazioni diverse per questo fenomeno:
Da un lato ero convinto che fosse colpa mia, che dopo aver letto “troppo” stavo diventando impermeabile allo scritto altrui. Come una sorta di effetto immune dei farmaci, quando prendi troppo di uno stesso antibiotico esso perde di efficacia e quindi sei “costretto” a passare ad uno più potente.
Dall’altro credevo fosse colpa dell’autore. Capita anche in cucina, quando al ristorante ordino un piatto e non mi piace il contorno, salto quello e mangio solo la portata principale. Andare al “succo” della storia senza perdite di tempo.
Di sicuro non avevo focalizzato così bene il problema come hai fatto tu o Edy, con il termine “annacquati” ha completato il puzzle dell’immagine che avevo in mente ed ora so di cosa si tratta. Ringrazio entrambi. ^^
@Charblaze
Perché è un punto di vista leggermente diverso.
Saltare le righe perché il testo annoia è diverso dal farlo con un testo che invece piace. Il secondo atteggiamento è quello da cui vogliono difendersi gli autori che puntano alle masse lobotomizzate dall’editoria, ma in questo modo causano il primo atteggiamente perché annoiano (mi è capitato di saltare righe in A Dance with Dragons… poi mi sono pentito e li ho letti e, beh, potevo anche non leggerli: inutile raccontato ridondante che poteva essere tagliato, buono solo per far massa).
A parte il primo su Nashira di Licia Troisi, io non leggo più fantatrash: invece di saltare righe salto interi romanzi. ^_^
Ora immagina un mondo solo cartaceo, come era per me prima di comprare il Cybook Gen3 nel marzo 2009, in cui l’unica narrativa sia quella offerta al momento in libreria o quella cartacea di seconda mano comprata su eBay quando si tratta di titoli molto vecchi…
a furia di schifo, schifo, schifo, uno o è un appassionato così appassionato da procurarsi libri in inglese con Amazon, oppure smette di leggere. E magari era al suo primo o secondo romanzo ma aveva già una discreta predisposizione ad annoiarsi per cui inizia a leggere un librone “pluripremiato con fascetta” di un Grande Editore, sperando di aver trovato il meglio… e gli fa schifo. Non sa perché, sa solo che gli fa schifo. Magari penserà che non è colpa del libro, è colpa sua e la lettura non fa per lui.
Ecco come si spiega pochi anni fa un 30% di italiani NON lettori (nemmeno un libro letto per svago in un anno) che, dopo aver escluso tutte le altre possibilità di ogni tipo (che coprivano TUTTO) per dire il motivo per cui non leggevano, arrivarono a dire che era perché ci avevano provato e i libri erano noiosi.
NOIOSI.
E come detto tutte le altre opzioni diverse da “noiosi” erano possibili, inclusa quella dei “libri troppo difficili”, per cui chi ha risposto così lo ha fatto scegliendo apposta di dirlo, non come giustificazione per coprire altro (i “non ho tempo”, “sono stanco dopo la giornata di lavoro” ecc… hanno tutti avuto le loro belle fettine di preferenze).
Con la rivoluzione degli ebook, distante ma spero possibile, penso che cambierà molto.
Senza gli ebook io avrei smesso da tempo di leggere Narrativa e leggerei quasi solo saggistica.
Altro spunto di riflessione: visto che chi ha gusti troppo elevati per la merda editoriale attuale (ultimi decenni, ma con un boom del degrado nel nuovo millennio) NON la legge o smette in breve tempo di leggerla, indovinate un po’ chi è stato selezionato da 50 anni di mercato così?
Esatto. I lettori di bocca buona.
Come diceva Damon Knight.
Una fetta rilevante di lettori esigenti, di qualità, ha già smesso da tempo di rivolgersi all’editoria tradizionale. Bisogna scrivere per loro e per la nicchia di lettori davvero interessati alla buona narrativa. Una nicchia che può crescere per numero di lettori, attirando i delusi del cartaceo, e per numero di letture individuali, grazie alla maggiore facilità di trovare buone opere interessanti senza il vincolo de “puoi avere solo ciò che è sullo scaffale delle poche librerie che frequenti”.
Mio Dio…
Mio Dio…
Io non scrivo così bene, ma nemmeno così male. Tempo fa convinsi un mio amico che ODIA leggere a leggere un mio racconto.
Gli piacque un casino e non si è annoiato neanche un po’, cosa che invece gli capita sempre leggendo altro (e con altro non intendo libri scritti bene).
Ora capisco perché.
Sono… sono affranto. Non ho parole. Damon Knight non si può rivoltare nella tomba, perché penso che anche lui sia troppo triste per farlo.
Non ho parole, ho solo tristezza. Specie per questo:
Triste… perché è vero.
La tua speranza, se ho capito bene, è quella che con l’avvento degli ebook la gente scopra che ci sono libri scritti meglio di ciò a cui è abituata e smetta di scrivere schifezze. Giusto?
Diamine, se è così, non posso che sperare con te.
Sono affranto. Davvero affranto…
No.
Si scriveranno sempre schifezze e ne appariranno nelle librerie più di ora. Ma il principio di funzionamento sarà quello che regola il WEB: la massa del web è spazzatura, quasi tutto il web è spazzatura, e in mezzo ci sono poche cose ben fatte nell’ambito di argomenti, anche molto di nicchia, di interesse.
Basta imparare a cercare.
Era meglio quando il web non c’era e la cultura si limitava al poco selezionato dagli editori e non finito fuori commercio?
Non penso. Gran parte delle cose che mi interessano, inclusi i libri digitalizzati su Archive.org, non c’erano e non potevano esserci in un mondo di sola cultura sotto forma di Edizioni Albero Morto e senza web (se non sai nemmeno che una cosa esiste, come puoi volerla?). Solo chi odia la cultura, un nemico del genere umano, può desiderarlo.
Si estende semplicemente la liberazione mediatica iniziata col web all’editoria “da libreria”
Avremo una valanga di autopubblicati così merdosi che, se facessimo l’errore di leggerne più di qualche capoverso dell’anteprima gratuita, imploreremo di fare scambio con Unika… ma nel mezzo ci saranno anche opere decenti. Opere decenti da far conoscere e diffondere.
I lettori di nicchia, i veri forti lettori e non i forti trangugiatori di merda, sono già abituati a farlo. Continueranno. E chi sarà interessato a leggere qualcosa di diverso dalla merda che gli editori continueranno a proporre, imparerà a farlo anche lui, invece di rientrare nel 30% di “no, la lettura non fa per me…”
Domani non credo che riuscirò a registrare.
Aggiornato con gli episodi delle ultime due settimane: Madden su Cechov – il chiaro di luna presente assente e Teoria dell’Iceberg – come ragionare per evitare gli Infodump.
Duca, grandissimo intervento quello sulla teoria dell’iceberg.
Chiaro, limpido, essenziale (insomma l’ottavo migliore del concetto ;)
Grazie
Edy
La puntata sull’iceberg mi ha ricordato un indovinello: c’è un negro vestito di nero che cammina poco dopo una curva in mezzo a una strada senza illuminazione; in cielo non c’è la Luna.
Arriva un’auto con i fari spenti, fa la curva inchioda, fermandosi a pochi centimetri dal negro. Come ha fatto a vederlo?
Ho sentito le risposte piú assurde: gli vede il bianco degli occhi, il negro sorrideva e gli vede i denti, gli è andata bene… non ricordo se nessuno ha mai detto subito la risposta giusta: è giorno. Infatti, nel testo non si dice mai che sia notte, semplicemente gli elementi sono scelti in modo da farlo assumere.
*Click*
Mi si è accesa la lampadina. A sentir parlare di Teoria Dell’Iceberg mi è venuta subito in mente la metafora dell’Iceberg di Sigmund Freud:
http://faculty.knox.edu/fmcandre/freudoh.gif
Al che ho fatto una ricerca al volo su google per vedere se qualcun altro ci aveva già pensato. La risposta ovviamente è si:
http://www.jstor.org/pss/30225083
Questo non fa altro che dimostrare che a prescindere dalla razza, dalla nazione e dal livello culturale, alcuni meccanismi di ragionamento umano portano alle stesse considerazioni.
Considerando gli altri ottavi meno visibili il regno dell’inconscio (fondendo la teoria di Sigmund e quella di Ernest tipo Dragon Ball), si può applicare un’altra teoria, quella di Gustav Jung:
A questo punto l’autore deve essere abbastanza bravo da capire cosa può omettere in quanto facente parte dell’inconscio collettivo e quanto invece deve scrivere perchè non conosciuto dal lettore. Leggere di cose che già si conosce diventa becero infodump. Il fatto stesso che entrambi abbiano pensato all’immagine dell’iceberg non è altro che una dimostrazione della condivisione di archetipi per tutta la razza umana. Abbiamo diversa forma, ma stessa sostanza.
Ora mi è venuto mal di testa, devo smetterla di scrivere cose sensate. Non ci sono abituato. :/