Quando si parla di telefonia mobile si pensa subito ai cellulari e all’esplosione della loro diffusione negli anni ’90. Chi ha qualche informazione storica in più ricorderà il primo telefono portatile commerciale Motorola del 1983, DynaTAC 8000x, il cui prototipo risaliva al 1973. Era un attrezzo massiccio (poco più di un 1 kg), più simile per dimensioni e peso ai telefoni militari degli anni ’60 che ai cellulari di oggi.
L’inventore, Martin Cooper, ci scherzava sopra dicendo
“La batteria [durante la telefonata] durava solo 20 minuti, ma questo non era davvero un gran problema perché non potevi tenerlo sollevato così a lungo.”
E dai telefonini per telefonare si è poi evoluto il mondo dei telefonini usati come lettori MP3 e per fare fotografie, fino agli smartphone con cui giocare, leggere, guardare video ecc…
Meno noto è invece che l’interesse mondiale per i telefonini risalga a prima della Seconda Guerra Mondiale. Molto prima. E che pure l’idea di usare il telefonino non per chiamare qualcuno, ma per ascoltare musica conservata nel cloud, in streaming, risalga a 90 anni fa e abbia radici ancora più antiche (ma su queste tornerò in un articolo dedicato allo streaming pre-1900).
Se non funziona prova qui ▼
Il cortometraggio risale al 1922 ed è stato realizzato dalla British Pathé, società cinematografica che al giorno d’oggi si occupa principalmente di vendere i diritti d’uso del suo archivio storico di oltre 90.000 pellicole girate tra 1897 e 1976. Gli archivisti di British Pathé hanno scoperto questa pellicola e sono rimasti stupiti dal contenuto, tanto da lanciare un appello a chiunque possieda informazioni sul dispositivo rappresentato e sulle attrici. Il Telegraph ha diffuso la notizia del ritrovamento e fatto rimbalzare l’appello nel maggio 2010.
British Pathé produsse cinegiornali dal 1910 al 1976, cominciando con la Pathé Gazzette bisettimanale e arrivando nel 1930 ad avere ben quattro diversi cinegiornali in produzione. Uno di questi era la cinerivista Eve’s Film Review, da cui proviene il filmato, che si occupò di argomenti per il pubblico femminile tra 1921 e 1933.
Ne approfitto per una breve incursione nella storia del cinema.
British Pathé nacque nel 1902 come filiale britannica della Pathé francese, fondata nel 1896 a Vincennes da Charles Pathé e i suoi due fratelli. Pathé si occupava di tutto il processo di produzione del film, dalla fabbricazione della pellicola da impiegare (nel 1912 brevettarono una pellicola ignifuga da 28 mm) fino alla distribuzione del film completato (ideò nel 1907 il principio per cui le pellicole non si vendono ai cinema, si noleggiano). Pathé inventò nel 1908 i cinegiornali, idea innovativa che ebbe un enorme successo fino alla diffusione di massa della televisione. Pensate ai cinegiornali americani durante la Seconda Guerra Mondiali e all’uso del cinema come mezzo di propaganda da parte di Mussolini e Hitler.
Quella britannica non fu l’unica filiale. Nel 1909 Pathé aveva più di 200 sale cinematografiche tra Francia e Belgio e dal 1910 si era espansa con stabilimenti a Madrid, Roma, Mosca e New York, più altri in Australia e in Giappone. Pathé dominava il mercato delle macchine da presa e dei proiettori: si stima che prima della Grande Guerra il 60% dei film del mondo venissero girati con attrezzature Pathé (fonte: wikipedia).
Pathé fu tra i produttori dei primi serial del mondo, ottenendo un successo notevole con The Perils of Pauline del 1914, serie di 20 episodi (due da 30 minuti e gli altri da 20 minuti) che venne trasmessa molte volte nei cinematografi durante gli anni ’10 e ’20, talvolta in versioni modificate o accorciate. È sopravvissuta solo l’edizione accorciata da 9 capitoli appena, della durata di 214 minuti.
La trama in poche parole:
Marvin, il ricco tutore di Pauline, muore e lascia tutto alla ragazza, ma con il vincolo che l’eredità sarà amministrata dal suo segretario, Koerner, fino a quando Pauline non si sarà sposata. Giustamente una ragazza ha bisogno della custodia di un uomo, sia esso il padre o il marito, altrimenti butterebbe tutti i soldi in capricci insensati: saggia scelta, Marvin.
Pauline però non vuole sposarsi subito, preferisce viaggiare e vivere avventure per prepararsi a una carriera da scrittrice. Il fatto che voglia informarsi, addirittura “sul campo”, la pone a centinaia di chilometri sopra la feccia degli scrittorucoli italiani che si accontentano, come Marina Lenti (autrice pubblicata da Delos Books e moderatore storico di Fantasy Magazine), di “una cultura media da film“.
Koerner non è scemo e vuole impadronirsi dell’eredità per cui approfitta della voglia di avventure per tramutare ogni viaggio in un tentativo di omicidio. Pauline viene regolarmente rapita o minacciata da cattivi di ogni sorta, inclusi pirati e indiani americani.
Grazie al successo di questa serie Pathé produsse nel 1914 un’altra serie simile, The Exploits of Elaine, in cui una fanciulla (interpretata da Pearl White, la stessa attrice che faceva Pauline) cerca l’assassino del padre con l’aiuto di un detective (no, nonostante il titolo ambiguo non è una serie porno). Nel 1915 arrivò il seguito, The New Exploits of Elaine, e poi una terza stagione conclusiva, The Romance of Elaine.
Come potete notare il meccanismo attuale di “se piace al pubblico facciamo un’altra stagione e poi un’altra finché non diventa una boiata e il pubblico ci manda affanculo o la poca dignità rimasta ci impone di piantarla” aveva già messo radici cento anni fa (in fondo mutuava il meccanismo dal mondo delle serie di racconti e romanzi, come quelli su Sherlock Holmes, personaggio di cui Doyle cercò di sbarazzarsi nel 1891).
Le serie di inizio ‘900 erano perlopiù opere d’azione con eroi che prendevano a calci nel culo i cattivi e salvavano fanciulle in pericolo (anche se Pauline è molto più ricca di risorse della tipica damigella cliché indifesa). Il che è naturale considerando che era cinema muto per cui, francamente, lo spazio per i dialoghi brillanti non è che fosse molto. Sarebbe interessante provare a girare Dr. House nel 1911, muto.
Tra i serial di successo dell’epoca vi furono i tedeschi Arsene Lupin Contra Sherlock Holmes (5 episodi, 1910) e Homunculus (6 episodi, 1916), lo statunitense The Hazards of Helen (119 episodi tra 1914 e 1917), i francesi Nick Carter, le roi des détectives (6 episodi, 1908), Fantômas (5 episodi tra 1913 e 1914) e Les Vampires (10 episodi tra 1915 e 1916).
Pathé si lanciò anche nel mercato home video ante-litteram, ben prima di VHS e BetaMax (e perfino della televisione), con un sistema basato su pellicole da 9,5 mm perforate nell’interlinea (Pathé Baby) che inizialmente prevedeva solo il proiettore e solo dopo arrivò la macchina da presa apposita.
Pathé Baby ebbe un notevole successo nei decenni successivi, soprattutto in Europa (dove vennero venduti gran parte dei 300.000 proiettori), nonostante la concorrenza crescente del formato Kodak da 8 mm (qualitativamente molto peggiore) introdotto nel 1932.
Scomparve nel 1960 assieme alla Pathescope Ltd. che se ne occupava, ma alcuni fanatici lo usano ancora (come sono rimasti ancora alcuni che usano l’ottimo Betamax o l’eccellente LaserDisc e, tra qualche decennio, diremo lo stesso dei fanatici che collezionano e consumano romanzetti in cartaceo, facendoli stampare apposta col Print on Demand).
Vi ricordo l’articolo dell’anno scorso sul rivale di Pathé nell’ambito dei cortometraggi erotici, l’austriaca Saturn Films di Johann Schwarzer.
Chiudo la parentesi cinematografica, scritta solo per via delle informazioni spendibili per chi si occupa di Steampunk e Dieselpunk (se non le mettevo in un articolo così non avrei saputo dove infilarle), e torno alla telefonia mobile.
La mia opinione è che il telefono mostrato nel video non fosse un vero prototipo di qualcosa, ma solo un oggetto inventato allo scopo di descrivere le potenzialità dei dispositivi mobili al pubblico. Un elemento più futuristico che reale, senza possibilità di apparire davvero sul mercato (non appaiono marchi o altro nel video).
Ma questo non significa che non ci fossero già compagnie dedicate allo sviluppo di brevetti per la telefonia mobile. Il 1902 può essere considerato l’anno di inizio della Generazione Zero della telefonia mobile (0G, 1902-1983, incluse le ricetrasmittenti usate come telefono dai militari), con la diffusione sulla stampa statunitense delle notizie sugli esperimenti di Stubblefield (a cui seguì un brevetto per telefoni senza filo nel 1908).
Nathan Stubblefield era un coltivatore di meloni con l’hobby dell’inventore. Già negli anni 1880 si era occupato di telefonia “senza cavi” e per vent’anni cercò di trovare un modo di inviare chiaramente la voce attraverso l’aria o il suolo. Non si può considerare uno dei padri della radio (come Tesla, Braun, Popov o Marconi) perché il suo telefono non funzionava modulando in ampiezza o in frequenza le onde radio, ma trasformando il segnale audio pari pari in segnale elettromagnetico (la lunghezza d’onda della voce è molto maggiore quando portata in elettromagnetico). In pratica niente onde radio in alta frequenza.
Questo sistema di “induzione della frequenza” ha lo svantaggio di funzionare bene solo in prossimità della sorgente, quindi con un raggio di trasmissione molto ridotto. Non era un’idea nuova, ci avevano provato (senza evidentemente lo stesso successo) già Trowbridge, Preece, Phelps ed Edison nel ventennio tra il 1880 e il 1900. Stubbefield si occupò molto anche di conduzione terrestre, campo già esplorato fin dagli anni 1850 dagli esperti di telegrafia (si accorsero che le comunicazioni telegrafiche potevano essere ricevute anche da una macchina scollegata dal cavo, su brevi spazi), sempre allo scopo di creare il telefono senza fili.
Nel 1898 brevettò una batteria sepolta (non ho trovato il nome tecnico in italiano). In parole povere due elettrodi di metalli diversi, nella versione di Bain del 1841 erano in zinco e rame, che ottengono la corrente elettrica “gratis” come prodotto di scarto dell’azione dei campi magnetici che attraversano il suolo (non è un granché come spiegazione, ma immaginate la batteria al limone o quella con la patata: non proprio qualcosa con cui far funzionare il PC). La batteria di Stubblefield includeva un solenoide oltre al resto.
Come mai si interessò al mondo delle batterie? Ovviamente per rifornire di corrente il suo telefono! Tutta la sua carriera di inventore girò attorno al telefono senza fili (chi ha pensato “ma allora è finito come un morto di fame!” riceve un bel più sul registro).
Stubblefield fece una dimostrazione pubblica della trasmissione di voce e musica il primo gennaio 1902, di fronte a mille spettatori, sfruttando la conduzione terrestre per inviare suoni a cinque postazioni riceventi nel raggio di mezzo miglio (800 metri). Il 20 marzo 1902 a Washington D.C. trasmise musica e voce dal vaporetto Bartholdi verso la riva, a un terzo di miglio di distanza, attraversando l’acqua e il suolo. L’esperimento andò meno bene quando lo tentò a New York nel giugno 1902 perché la diffusione della corrente alternata interferiva con la conduzione terrestre del segnale. Considerando quanto è stata importante la corrente alternata di Tesla per plasmare il Secolo Elettrico (citando la definizione di Robida), non è certo un problema di poco conto: pur con tutta la buona volontà e l’ingegno dimostrato, il telefono di Stubblefield era una porcata.
Il numero del 24 marzo 1902 del Washington Times loda i risultati di Stubblefield e dice che sfruttando per la trasmissione dei bastoni di acciaio da affondare nel terreno per tre piedi (quasi un metro) era possibile comunicare a una distanza variabile tra le 300 iarde e il mezzo miglio (270-800 metri). I bastoni d’acciaio, che fungono da tralicci, sono avvolti da una bobina e collegati agli apparati elettrici di ricezione e trasmissione (l’apparato installato sul vaporetto Bartholdi).
La conduzione terrestre si era dimostrata un problema per colpa della corrente alternata diffusa nelle città più avanzate. Stubblefield iniziò a impiegare grandi bobine circolari per inviare la voce alla stazione ricevente e nel 1903 riuscì a trasmettere a 114 metri di distanza usando solo l’induzione di frequenza. Nel 1904 arrivò a 386 metri. La quantità di cavi necessari per la postazione di trasmissione e quella ricevente era tale da bastare a usarli per collegare un telefono tradizionale, ma con questo sistema c’era il vantaggio di poter spostare comodamente le postazioni.
Nel 1907 una bobina di trasmissione di appena 18 metri di cavo riuscì a trasmettere in modo adeguato a 400 metri di distanza. Nel 1908 Stubblefield ottenne il brevetto, come detto all’inizio. Nel brevetto dice che quel sistema può essere utile per trasmettere telefonate tra le stazioni ferme e veicoli in movimento come treni, navi o automobili.
Ringrazio Angra (autore del romanzo science-fantasy Marstenheim) per avermi aiutato a capire meglio il funzionamento del telefono mobile di Stubblefield. Altre info su Stubblefield qui, qui e qui.
Per concludere infilo qualche dispositivo radio portatile impiegato in ambito militare.
Nel numero del giugno 1931 di Modern Mechanix era presente un blindato con postazione radio, dotato di otto ruote. Uno dei primi esemplari di applicazione della radio ai veicoli da combattimento (divenuta poi cosa comune nei carri armati successivi). Gli inglesi, dopo l’occupazione della Mesopotamia alla fine della Grande Guerra, si trovarono a dover risolvere il problema delle comunicazioni con i soldati nelle vaste aree da pattugliare sia in Iraq che sulla frontiera dell’India con l’Afganistan. La risposta (ovvia) fu il blindato con annesso un apparato ricetrasmittente.
Ma una postazione radio su un veicolo non è sufficiente. La fanteria spesso ha bisogno di trasmettere per chiedere appoggio alla base o per comunicare all’interno della compagnia, senza dover inviare staffette in giro. Ad esempio una squadra che tiene un nido di mitragliatrici può dover comunicare la presenza del nemico a livello di plotone e la radio portatile di plotone, di dimensioni e portata maggiore, può chiedere il supporto dell’artiglieria a livello di reggimento (o i bombardieri). La possibilità di trasmettere a livello di squadra e di plotone, senza doversi basare solo sulle postazioni radio fisse, è stata un elemento fondamentale nei cambiamenti della tattica militare dalla Seconda Guerra Mondiale in poi (come dice Antoine Bousquet in The Scientific Way of Warfare si passa dalla “Guerra Termodinamica” alla “Guerra Cybernetica”, ovvero basata sul controllo e sulle comunicazioni).
Facendo degli esempi concreti, questo è un radiotelefono a zaino (SCR-300), simile a quelli che si vedono spesso nei film sul Vietnam:
È stato adottato nel 1943. È voluminoso e costringe a far portare l’equipaggiamento dello zaino del soldato che la trasporta agli altri soldati. Il peso è tra i 15 e i 17 Kg, in base alla batteria. Ha il vantaggio di avere un raggio di trasmissione discreto (soprattutto se si considera che era una grossa novità durante la Seconda Guerra Mondiale), quasi cinque chilometri con l’antenna estesa al massimo. La ricetrasmittente SCR-300 fu la prima a ricevere il nomignolo di walkie talkie.
In realtà nel Vietnam veniva impiegato un modello successivo chiamato AN/PRC-25 (soprannominato Prick-25) che pesava appena 10 kg e aveva un raggio di trasmissione di cinque-sei chilometri con l’antenna corta, mentre saliva a trenta chilometri con l’antenna lunga (che era portata a parte in un sacco di tela agganciato a fianco del set radio, nell’imbracatura tipo zaino).
Questo invece è una ricetrasmittente più piccola, da impiegare a livello di squadra (o plotone) senza dover dedicare un soldato al suo trasporto, visto che pesa solo 2,3 kg (batteria inclusa) invece di 10 kg.
L’AN/PRC-6 ha un raggio di meno di 300 metri nella giungla e di un chilometro e mezzo su terreno sgombro. Il corto raggio non è uno svantaggio: in questo modo si può comunicare in chiaro a livello di plotone o compagnia, trovandosi molto vicini al nemico, senza che il nemico possa intercettare a molti chilometri di distanza ciò che viene detto. Gli addetti radio “veri” comunicheranno poi in codice, magari usando perfino una lingua straniera come il Navajo o simili.
È stato usato dalla Guerra di Corea fino alla Guerra del Vietnam.
Per finire un link al famoso AN/ARC-5 Command Radio Set impiegato a lungo anche dall’esercito italiano (siamo campati per qualche decennio con la roba americana).
Famoso per il motivo che bastavano un po’ di scossoni per mandarlo a puttane e dopo era un casino calibrare di nuovo la macchina lavorando con la cuffia e le manopole. Una baracca delicata e fastidiosa. Mio padre la odiava (e quando ci siamo procurati di meglio aveva già un grado sufficiente per non doversene interessare).
Si può immaginare che tutte le ricetrasmittenti dei primi decenni avessero problemi e delicatezze più o meno gravi. Giusto nel caso si voglia mettere assieme gli equipaggiamenti militari degli anni 1940-1960 alle idee sulla telefonia mobile risalenti al 1880-1900 per una ambientazione Steampunk in cui gli eserciti già nel 1890 avevano strumenti radio pari a quelli di 50 anni dopo e, di conseguenza, combattevano in un modo che è una via di mezzo tra quello della loro epoca e quello di mezzo secolo dopo (tattiche di fanteria moderne -non fanteria di fila-, ma senza supporto aereo “serio” e con grandi/lenti carri armati in stile Grande Guerra in appoggio?).
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