Recensioni, Narrativa, Troll e Ignoranza. In quattro parole: “state zitti e studiate!”

Gli ultimi giorni ci hanno donato una discussione particolarmente interessante su Gamberi Fantasy. Non interessante nel senso di intelligente o stimolante; interessante perché l’idiozia del soggetto che l’ha generata (bebbo) e il suo continuo trolling mi hanno fatto venir voglia di rispolverare una piccola collezione di estratti di recensioni librarie statunitensi che avevo messo da parte.

Ne ho approfittato per rileggere il libro Self Editing for Fiction Writers, da cui provengono parecchie delle citazioni presenti in questo articolo, e mi è sembrata una buona idea fornire al pubblico davvero interessato alla narrativa un piccolo spaccato di cosa siano davvero le recensioni. Giusto per ricordarsi che le coglionate psico-socio-politiche all’italiana quando si parla di narrativa sono la normalità in Italia, non dove ci sono critici preparati per davvero e in grado di recensire seguendo criteri di scrittura oggettivi.

Se non vi interessa il post sulle regole, andate direttamente alle recensioni.

 


 

La discussione con bebbo verteva attorno al concetto di Show, Don’t Tell. Era particolarmente confusionario come discorso perché bebbo sosteneva di essere d’accordo con la maggiore efficacia del Mostrare sul Narrare, ma poi diceva che non è sbagliato usare apposta il Raccontato per rendere meno avvincente un brano. Proprio così: rovinare apposta un brano rendendolo più noioso è una scelta dell’autore che non può essere criticata!

Le due cose non stanno molto bene insieme. Lo Show, Don’t Tell implica il concetto che NON si voglia mai rendere apposta meno avvincente un brano (anche se è possibile inserire brevi inserti di Raccontato per separare le scene importanti, ma è una cosa diversa da quella detta da bebbo). Lo Show, Don’t Tell, come tutte le altre regole della narrativa, nasce dall’accettazione di un assioma: la narrativa di genere deve essere avvincente. Le parole non devono essere lì per il gusto della loro bellezza (quella è la Literary Fiction, un discorso a parte), ma per stimolare, nella mente del lettore, immagini vivide ed emozioni intense, tanto che il lettore dimentichi di star leggendo e si immerga nel mondo narrativo come fosse reale.

Questo assioma è alla base della narrativa di genere.
Se lo si rifiuta, qualsiasi regola importante (Punto di vista, Mostrare, gestione dei dialoghi, orrore dell’infodump, uso ridotto degli aggettivi ecc…) si può benissimo buttare nel cesso perché perde ogni motivo di esistere.
Secoli di regole e manuali sono tutti basati su questo assunto non dimostrato (un assioma, appunto).

Citando, tra le decine di manuali che spiegano il concetto, Self Editing for Fiction Writers:

Mostrare la storia ai lettori attraverso una sequenza di scene non darà solo immediatezza alla scrittura, le darà trasparenza. Uno dei modi più semplici per sembrare un dilettante è di usare tecniche narrative che attirino l’attenzione su di sé e la distolgano dalla storia. Devi fare in modo che i lettori siano così presi dal tuo mondo da non accorgersi nemmeno che lo scrittore esista.

Originale in inglese ▼

Showing your story to your readers through scenes will not only give your writing immediacy. It will give your writing transparency. One of the easiest ways to look like an amateur is to use mechanics that direct attention to themselves and away from the story. You want your readers to be so wrapped up in your world that they’re not even aware that you, the writer, exist.

Il discorso di bebbo (poche frasi sensate sommerse da cumoli di idiozie, con contradizioni a distanza di poche parole), contiene chicche come questa:

è una scelta il volere rendere una parte coinvolgente o meno!

Angra gli ha risposto che se si sceglie di farlo per più di tre righe è una scelta sciagurata, che è ciò che i manuali dicono espressamente: il Raccontato, anche quando usato per separare le scene Mostrate, deve durare al massimo un paragrafetto o due. Sapendo come funziona la narrativa, non è difficile arrivarci anche da soli.
Ovviamente bebbo ha sentito il bisogno di ribattere stizzito anche al puro e semplice buon senso:

Si, ma questo è un PARERE, non una REGOLA. E’ su questo che non concordo (al massimo si può parlare di “regola per scrivere come piace a me” ma mi sembrerebbe un cavillo intellettuale)

Altre perle del suddetto geniaccio:

è messo in dubbio il fatto che non si riconosca all’autore la libertà di usare il tell quando gli pare a lui per i motivi che pare a lui

L’unica regola che potrei accettare è : mostrare è più coinvolgente, raccontare lo è di meno

E non gli viene nemmeno il dubbio per un istante che questo violi l’assioma, mandando a gambe all’aria il motivo, l’unico motivo, per cui esistono le regole. Uno, due, tre, prova: bocca chiama cervello, rispondete.

Da qua a dire che quando racconti “sbagli” e non “scrivi una cosa che a me non piace” ce ne passa parecchio.

Ma all’autore non viene impedito di fare nulla. Se lo fa non vengono i carabinieri ad arrestarlo. Non c’è un processo per direttissima. Semplicemente è un fatto che se si usa il Raccontato a caso, al posto del Mostrato, il brano verrà male. Fine. E se viene male è lecito dirlo, non far finta di niente e farfugliare che è solo questione di gusti e che lo ha fatto apposta. Se uno fa male apposta un brano perché non sa scrivere è un incompetente, non un genio incompreso.
Sono rarissimi i casi in cui Narrare può produrre un risultato migliore di Mostrare (intendo al di fuori dell’uso del Raccontato per “ridurre la tensione” tra due scene Mostrate). Casi talmente rari che per trovarne uno gli autori di Self Editing hanno dovuto scomodare Il Grande Gatsy:

“Mi hanno detto che Gatsby ha ammazzato un uomo, una volta.”
Fummo tutti percorsi da un brivido.

[…]
Per esempio la riga “Fummo tutti percorsi da un brivido” è chiaramente raccontata. E nonostante tutto questa riga, posta accanto alla voce che Gatsby possa aver ucciso un uomo, dona un gusto di gossip da due soldi alla scena e ne potenzia l’effetto.
Ma nella buona narrativa questo tipo di Raccontato è un’eccezione, e un’eccezione rara per giunta. Questo perché quando mostri la scena invece di raccontarla, tratti i tuoi lettori con rispetto. E questo rispetto rende più facile trascinarli nel mondo che hai creato.

È un caso limite e discutibile: non viene detto che facendo diversamente (Mostrando) non sarebbe venuta meglio, si dice solo che così funziona.
Un caso più unico che raro e molto breve, come prevedono le REGOLE sull’uso del Raccontato.

“Oh, gno! Anciola i fecci che flaintendogno le piegaccioni ciul Racciontato gnei magnuali!”
“Gli stopidi oomani ciono stopidi. Ignoliamoli.”

Quando bebbo dice di accettare che “mostrare è più coinvolgente, raccontare lo è di meno” è un enorme What The Fuck. Dato che è accettato come ASSIOMA della Narrativa che lo SCOPO a cui tutte le “regole” puntano sia quello di coinvolgere il lettore, emozionarlo, è evidente che ciò che ottiene questo scopo è meglio di ciò che non lo ottiene. Giusto?
Per bebbo no. Questo WTF era già stato fatto notare a bebbo che però, armato di un bipensiero degno dei dementi plagiati di 1984, si è rifiutato di accettare le conseguenze logiche delle proprie affermazioni. Il che, inutile dirlo, è proprio ciò che fanno di norma i Troll per proseguire l’azione di disturbo nonostante siano caduti in trappola.

Uno dei commentatori ha cercato di convincere bebbo dell’utilità di informarsi sulla narrativa prima di discuterne:

Con questo non voglio dire che sia scorretto discutere o mettere in dubbio lo show don’t tell. Ma prima di farlo sarebbe meglio avere un minimo di autorità in materia, dimostrare di aver letto almeno 3 o 4 manuali o quantomeno avere una teoria precisa e testata con varie fonti.

La risposta di bebbo è stata ovviamente razionale e motivata:

ahahahah scusa, devo “dimostrare” ??? ma dai! e poi cosa mi qualifica come “non noob” ?? l’aver letto i manuali ?? ahahaha ma daaaai!!! :PPP ma non farmi ridere :PPPP

Avevo già usato la parola Troll? Mi pare di sì.

Certi utenti sono convinti che non sapere nulla di un argomento, essere ignoranti, sia una buona ragione per vomitare la propria opinione. Non capiscono che per aprire bocca su questioni tecniche specialistiche devono prima studiare. Pittoresco: come vedere un ragazzino che nemmeno riesce a tenere acceso il motore dell’auto mentre contesta l’insegnante della scuola-guida. E anche dopo il decimo tentativo di partire con la quinta marcia, non accetta di provare con la prima (“o al più la seconda, ma per favore piantala con la quinta!” piagnucola l’insegnante).
Vediamo cosa ne pensa un grande autore di fantascienza come Harlan Ellison:

Tutti hanno opinioni: io le ho, tu le hai. E fin da quando abbiamo aperto gli occhi ci hanno detto che abbiamo diritto di avere nostre opinioni. Be’, è una stronzata, naturalmente. Non abbiamo diritto di avere opinioni, abbiamo diritto di avere opinioni informate. Senza studio, senza basi, senza comprensione, un’opinione non vale niente.
È solo un farfugliamento. È come una scoreggia nella galleria del vento, gente.

Originale in inglese ▼

Everybody has opinions: I have them, you have them. And we are all told from the moment we open our eyes, that everyone is entitled to his or her opinion. Well, that’s horsepuckey, of course. We are not entitled to our opinions; we are entitled to our informed opinions. Without research, without background, without understanding, it’s nothing. It’s just bibble-babble. It’s like a fart in a wind tunnel, folks.
Fonte: http://harlanellison.com/buzz/bws006.htm

Opinioni informate, non semplici opinioni.
O ci si informa o le proprie opinioni saranno come “una scorreggia nella galleria del vento”.
Internet permette a tutti di poter dire quello che pensano, ma questo non significa che tutti abbiano il diritto di essere ascoltati o di essere presi sul serio. Il concetto di meritocrazia, di essere giudicati ogni singola volta per ciò che si dice, è ancora più importante di prima. Non ci si vuole informare? Si sta zitti invece di affermare sciocchezze. E se si fanno affermazioni in totale sicurezza, dandole come verità assolute e ovvie, quando non si sa nulla dell’argomento di cui si sta parlando, è GIUSTO che si venga trattati con disprezzo o ignorati.

Il caso di bebbo che rifiuta concettualmente lo studio dei manuali (d’altronde rifiuta il concetto di regole, perché studiare? Per lui son tutti “gusti”…) fa sembrare dei geni dell’approfondimento quei Troll che pretendono di commentare su questioni tecniche in ambito narrativo dopo aver letto solo uno o due manuali e senza averli nemmeno capiti. Spiacente, è un po’ poco. Soprattutto se uno non ha afferrato come tutte le regole e i consigli di scrittura raccolti in decine di testi formino un solo quadro complessivo. Un quadro complessivo formato da dozzine di elementi tecnici, tutti in equilibrio tra loro e che si influenzano reciprocamente.

Ci vogliono anni di studio per acquisire le BASI in modo sufficientemente solido da poter discutere DAVVERO di narrativa. Cose come il Mostrare, i dettagli concreti, la trasparenza, il punto di vista ecc… sono le BASI. Concetti dati per veri nella forma attuale in oltre un secolo da centinaia di autori e che si ricollegano a precetti simili insegnati da esperti di teatro e narrativa dei secoli precedenti. Perfino dei millenni precedenti.

Se seguiamo il ragionamento di Wayne Clayson Booth (critico letterario statunitense, 1921-2005) possiamo far risalire i primi tentativi di fare Show, Don’t Tell, ovvero di concentrarsi sui dettagli specifici e concreti, all’Iliade stessa (si veda The Rhetoric of Fiction). Per Booth la narrativa è una forma di retorica: l’autore inventa storie che sono false, sono “bugie”, e per convincere il pubblico a prenderle sul serio usa tecniche in grado di immergere il lettore nella vicenda, emozionarlo, suscitare immagini vivide nel suo cervello. Vicende e immagini scelte e manipolate dall’autore, esperto di retorica per storie inventate.

Wayne Clayson Booth, un altro ragazzino che imita Gamberetta.
Mostrare, mostrare: tutte chiacchiere! Che ne sa lui di scrittura, lui che non ha nemmeno pubblicato una trilogia di horror per bambini con Mondadori? Booth è un mandante morale delle persecuzioni ai danni degli autori, ecco cos’è! Un mandante morale!

La retorica si usa anche per influenzare le giurie di tipo anglosassone: dove la logica o le prove non possono trionfare, c’è l’emozione, l’empatia e il sentimento. Un bravo avvocato, proprio come nell’Antica Roma, deve essere un maestro di retorica visto che racconterà frottole e mezze verità. E non è questo un campo professionale che richiede complessi studi?
Non ci vogliono forse anni di studio per sviluppare l’arte retorica? Cicerone quando fuggì in Grecia (79-77 a.C.) per evitare l’ira di Silla ne approfittò per raffinare le proprie tecniche oratorie consultando i migliori maestri del tempo, incluso il grande retore Apollonio Molone di Rodi. Lo stesso Apollonio Molone che istruì Giulio Cesare, altro grande oratore.

Qual era il segreto di Molone?
Riduco all’osso la questione. In un periodo in cui tra gli oratori andava di moda l’Asianesimo (uno stile oratorio ricco, enfatico, artificioso, “barocco”, pieno di figure fonetiche: il bello per il gusto del bello), Molone sosteneva l’Atticismo e il ritorno a uno stile più semplice, concreto e diretto. Semplicità e trasparenza nell’esposizione ottenute tramite la perfetta (e difficilissima) padronanza delle tecniche. Gli stessi principi sono insegnati dagli odierni manuali di scrittura.
Un paragone stupido: se l’Asianesimo è lo stile della Literary Fiction, l’Atticismo è quello della narrativa di genere. I manuali di scrittura moderni insegnano tecniche che già venivano insegnate al tempo di Aristotele. Scrivere semplice è difficile, scrivere complicato (e male) è facile. Ci vuole enorme abilità e tantissimo lavoro di revisione per scrivere in un modo così naturale da far pensare al lettore che non ci voglia niente a fare altrettanto.

Chi ha da dire qualcosa di nuovo e di importante ci tiene a farsi capire. Farà perciò tutto il possibile per scrivere in modo semplice e comprensibile. Niente è più facile dello scrivere difficile.
(Karl Popper in La società aperta e i suoi nemici)

Ma secondo la nuova corrente storica del bebbismo, Cicerone e Cesare hanno buttato il loro tempo a studiare da Molone. Infatti il saggio bebbo ci spiega che l’insegnamento della retorica (ricordate che la Narrativa è retorica) non può essere effettuato:

Inoltre puoi citare tutti i manuali del mondo, ma l’unica regola fondamentale rimane: piace ciò che piace.

I manuali non contano. Apollonio Molone era valido da ascoltare quanto il primo coglione raccattato per strada. Non ci sono regole, c’è solo il gusto personale.
Bizzarro, ma Cicerone ha preferito costruire una delle più potenti arti oratorie della storia partendo dallo studio delle regole. Evidentemente era un coglione, come Booth: ormai abbiamo bebbo a spiegarci come stanno le cose! Grazie, bebbo!

Con questa gente non è possibile discutere.
La discussione prevede un terreno comune da cui partire: assiomi matematici, leggi della fisica, concetti filosofici condivisi, regole del gioco accettate da entrambi o qualsiasi cosa che accomuni le parti. Se bebbo sostiene che non esistano regole, che non esista nulla di cui discutere, che conti solo il gusto e ognuno ha il suo… beh, che altro aggiungere? Tu hai il tuo gusto, un altro il suo.

È come cercare di spiegare a un minorato che non può costruire una macchina del moto perpetuo perché c’è l’entalpia e bla bla bla, ma lui sbuffa e ribatte “Io posso perché quando lo faccio io l’entalpia non c’è!”
Non c’è nulla di cui discutere con un alienato. Si può ignorarlo o si può ricoverarlo, fine.

Parafrasando Lawrence d’Arabia:

con duemila anni di esempi alle nostre spalle, non abbiamo attenuanti se quando dobbiamo parlare di scrittura non lo facciamo con cognizione di causa.

Lawrence sul dromedario. No, non è una moto: è un dromedario.
Osi forse insinuare che il Mostrato sia più efficacie del Raccontato?
Quello è un dromedario. Punto.

E non era la prima volta che un Troll ignorante e disinformato veniva a fare casino, trolleggiando per impedire le discussioni di chi invece ha studiato le basi e vorrebbe davvero approfondire. Già alcuni mesi fa Gamberetta era stata costretta a rispondere così a un certo Troll frignone, offeso dal fatto che lo avessi invitato a studiare i manuali invece di pretendere che io gli spiegassi le cose, regalandogli decine di ore del mio tempo e centinaia di euro di lavoro.
Ecco cosa disse Gamberetta:

Comunque, sai cosa dà fastidio? Non dà fastidio che mi chiami “estremista”, dà fastidio che scrivi:
“Io sono un ignorante. Non conoscevo nessuno dei manuali di scrittura che consigli.” Abbinato a: “E’ semplicemente che per te, ad esempio, tutto deve essere mostrato. Per me, invece, un po’ di raccontato non stona.”

E magari dovrei anche spiegarti perché hai la sensazione che il raccontato non stoni. Non funziona così: un’opinione ha senso solo quando è informata, quando sai di cosa stai parlando. Se non lo sai, e non lo sai – lo ammetti tu stesso –, le opinioni servono solo a irritare chi invece ha un minimo di conoscenze.
Prima smetti di essere ignorante, poi esprimi la tua opinione.
[…]
La cosa giusta è che ti leggi i manuali segnalati, impari e poi discutiamo seriamente di un argomento che appassiona entrambi. Se non conosci l’inglese, lo studi. Se non sei così appassionato, allora eviti di far perdere tempo a chi invece ci tiene.
Che poi sono cose talmente ovvie che appunto mi sento cretina a ripeterle: hai imparato a giocare a scacchi il mese scorso e intervieni per dire che secondo te la tal variante della Difesa Nimzo-Indiana non funziona? Ah, no, un manuale di tattica delle aperture non l’ho mai letto. Ah, no, non gioco mai, guardo solo. Ah, no, una simulazione al computer non mi è neanche passato per l’anticamera del cervello di farla.
Studia, impara, sperimenta, e solo alla fine dai la tua opinione. Che a quel punto probabilmente non sarà più un’opinione, ma un progresso nell’analisi della Difesa Nimzo-Indiana. O forse scoprirai che la tua opinione coincide con la mia e dunque è inutile ripeterla.
[…]
se la discussione si orienta su argomenti più tecnici sarebbe bello non dover ripartire sempre da zero. Pia illusione. Pazienza.

Solo a me sembra una versione approfondita e molto più gentile del commento di Ellison?
O vogliamo continuare con le stronzate sul fatto che Gamberetta sia una talebana, una nazista e bla bla bla dette solo e sempre, guarda caso, dai lecchini degli scrittorucoli italiani, dagli ignoranti che rifiutano di informarsi per principio e dai mentecatti conclamati. Mai da parte di chi ha studiato decine di manuali e sa come funzionano le recensioni vere di un certo livello, all’estero. Stranamente chi conosce la narrativa per davvero non critica mai i suoi modi o le nozioni di scrittura che riporta. Sarà solo un caso, ovviamente…

Il Troll redarguito da Gamberetta, dopo un periodo di quiete in cui pareva avesse acquistato un cervello, alla fine è tornato alla carica per creare confusione con i suoi “2 cents di ignoranza” allo scopo di mantenere in vita (tecnicamente è gettare benzina sul flame) il trolling di bebbo. E come lo ha fatto? Ovviamente facendo un discorso retard condito da un’ironia che uno nelle sue infime condizioni non può permettersi:

Probabilmente verrò fanculizzato garbatamente dicendomi che per poter parlare di scacchi devo essere un campione di scacchi poter parlare di questi argomenti dovrei prima leggere i manuali.
Qualcuno – avrei voluto leggerli tutti, ma il tempo non me lo permette – l’ho letto, ma non ho trovato questo integralismo… anzi.

Ora vado a leggere altri cento manuali, sicuro che verrò invitato a leggerne altri duecento fino a quando non concorderò.

Considerando che non ha capito un cazzo e sproloquia balbettamenti da mentecatto, non mi pare così folle l’idea che debba studiare di più. Ma per lui lo è.
In questo caso la risposta di Angra è più che sufficiente e spiegare il problema di fondo con quello specifico tipo di Troll:

Non devi leggere altri cento manuali, devi solo leggere con attenzione – se ti interessa l’argomento – invece che andare a cercare materiale per far polemica.

Il problema con i Troll di questo tipo è che citano frasi dai manuali SENZA averle capite, evitando sempre rigorosamente di mettere a sistema tutte le informazioni tratte dai manuali stessi per costruire un quadro d’insieme coerente. Stando bene attenti a EVITARE le altre parti dello stesso manuale in cui il loro dubbio verrebbe risolto. Lo scopo di questi soggetti è di fare trolling dicendo “ah-ah, ti sbagli! Sei un nazista, i manuali dicono che posso fare così!”. Cazzata: sulle cose di base non ci sono divergenze significative di opinione e non ce ne è nessuna sui principi generali (dettagli, importanza del punto di vista ecc…) in decine di manuali scritti da esperti negli ultimi 100 anni, ma se uno è un Troll ed evita accuratamente di capire il significato delle spiegazioni, in particolare quando si riferiscono a casi molto particolari non collegati all’ambito in cui il Troll vorrebbero portare la loro eventuale citazione, non può capirlo.

I commenti dei troll fanno deprimere i coniglietti.
Pensaci prima di permettere a un troll di continuare a rompere le palle

Qualche recensione statunitense

Nel corso delle sue farneticazioni sull’inesistenza delle regole, in particolare contro le conseguenze dello Show, Don’t Tell, bebbo se ne è uscito con una frase particolarmente ridicola:

tra l’altro, piccolissima parentesi, ma tu pensi che i veri critici letterari non si spancino dalle risate a vedere ALCUNE delle cose lette qui?

Va bene. Vediamo cosa dicono i veri critici letterari.

Qui abbiamo Frederick Busch che recensisce una biografia, Dickens: Life and Times di Peter Ackroyd, per il Los Angeles Times.

Il desiderio di declamare, insieme al bisogno di ribadire con un commento quello che era stato appena chiaramente mostrato, sfocia in toni che sono più appropriati alle divertenti parodie che Dickens faceva delle pomposità di suo padre: “Così lontano era già giunto il giovane autore”; “Così il mondo reale entra nella narrativa di Dickens”; “Così la sua vita, interiore ed esteriore, continua.” Dov’era l’editor di Ackroyd?

Originale in inglese ▼

The need to announce, along with a need to reinforce with comment what has just been clearly shown, results in tones more appropriate to Dickens’ funnier re-creations of his father’s pomposities: “So far had the young author already come”; “So did the real world enter Dickens’ fiction”; “So did his life, interior and exterior, continue.” Where was Ackroyd’s editor?

Notate che non si tratta di narrativa di genere, ma di una biografia e come nel caso della saggistica storica l’uso del Mostrato è normale che sia molto ridotto. Pochi dettagli precisi e curiosi ottengono nella saggistica effetti straordinari, pur senza entrare mai nel vero Mostrato con Punto di Vista ecc…

Eppure, nonostante questo, il recensore si accannisce proprio sull’eccesso di inutile Raccontato. L’autore prima mostra una vicenda, poi la racconta. Ad esempio mostra l’orrore del giovane Dickens di fronte a una impiccagione e poi, non contento, aggiunge qualche altra frase inutile che invece di rafforzare l’immagine la diluisce.

Il recensore sarà davvero qualificato per affermare ciò che afferma? Si esprime con concetti e toni che sembrano scopiazzare quelli di Gamberetta! Visto che questa recensione serve a rispondere all’affermazione di bebbo, vediamo cosa lui intende per “qualificato”:

Ultimo appunto: il metro per misurare la preparazione di qualcuno in un dato campo al momento nel mondo occidentale non è la lettura di un manuale ma al massimo il possesso di una laurea.

Definizione pittoresca. E curiosa, visto che in editoria non si usano le lauree “nel settore” (Alan Altieri è ingegnere, Sandrone Dazieri cuoco) e gli editor sono autodidatti anche nel mondo anglosassone. Quel “nel mondo occidentale” in realtà mi fa venire in mente il solito piccolo italiano che conosce solo i cinque metri davanti al proprio naso e pensa che siano tutto il mondo esistente.
Comunque, accettiamo la sua definizione solo per questa volta.
Il critico qualificato di narrativa è laureato… in lettere immagino, seguendo il ragionamento di bebbo. Non certo in fisica nucleare o in medicina.

Frederick Busch (1941-2006) è stato Professore Emerito di Lettere presso la Colgate University dal 1966 al 2003, una delle più prestigiose università di arti liberali e classificata tra i trenta centri di eccellenza degli Stati Uniti. È stato un prolifico autore di romanzi e racconti, vincendo anche una discreta quantità di riconoscimenti.
Basta come qualifica per recensire qualcosa o serve anche un Pulitzer o un Nobel? Giusto per sapere.

Colgate University, centro di eccellenza i cui Professori si esprimono con toni e concetti tecnici più simili a quelli di Gamberetta che alle farneticazioni intellettual-impegnate dei WuMing. Forse perché essendo professori in un centro di eccellenza, sanno di cosa stanno parlando…

Dato che per bebbo la qualifica a parlare si misura con le lauree e dato che dubito che lui possa vantare un curriculum superiore a quello del professor Frederick Busch, il quale usa concetti tecnici e critica l’uso balordo del Raccontato perfino in una biografia, ne consegue che bebbo ha torto. Ha torto perfino secondo la propria (idiota) concezione dell’autorità.
EPIC FAIL.

Citare le recensioni però è divertente. Continuiamo!
Qui abbiamo Robert Stuart Nathan che critica gli infodump presenti in Games of the Hangman di Victor O’Reilly:

Tra gli altri difetti del romanzo troviamo lunghe spiegazioni irrilevanti; persone ignoranti anche di fatti noti a tutti, come quell’ufficiale di polizia che dice che il ragazzo morto “veniva da un posto chiamato Berna”, solo per avere la cortese risposta di Hugo: “È la capitale della Svizzera”; e personaggi che si scambiano in modo goffo informazioni che già conoscono, per il solo beneficio del lettore, come quando un personaggio chiede: “Conosci la storia dell’originale Alibe?” e Hugo replica: “Ricordamela”.

Originale in inglese ▼

The novel’s other sins include vast passages of irrelevant exposition; people ignorant of common facts, such as the police official who says the dead boy was
“from a place called Bern,” only to have Hugo obligingly respond, “It’s the Swiss capital,” and characters awkwardly informing each other of things they already know, solely for the reader’s benefit, as when one character asks, “Do you know the story of the original Alibe?” and Hugo replies, “Remind me.”

Sempre a tema infodump abbiamo Christopher Lehman-Haupt che maltratta Airframe per il New York Times:

La causa che il gruppo di Casey sospetta sia responsabile per i problemi del Volo 545 è “un’apertura degli slat” senza che il pilota automatico abbia corretto. L’aereo in questione, un N-22, non aveva mai avuto problemi del genere in passato. Nel caso non fosse chiaro quello che significa, a Casey è stato assegnato un assistente ignorante in fatto di aereodinamica, al quale la stessa Casey si rivolge di propria iniziativa, così: “Non ne sai niente di aereodinamica? No? Bene, un aereo vola grazie alla forma delle ali.”
Continua la spiegazione: “Quando un aereo si muove a bassa velocità, durante decollo e atterraggio, le ali necessitano di una maggiore curvatura per garantire la portanza. Così in quelle situazioni viene aumentata la curvatura estendendo delle sezioni lungo il bordo delle ali – flap lungo il bordo posteriore, e slat lungo quello anteriore.” Il problema è: “Quando si aprono gli slat, l’aereo può risultare instabile.” E questo sembra essere accaduto al Volo 545.
Ogni volta che il signor Crichton avvicina le dita alla tastiera, Casey sciorina lezioni simili.

Originale in inglese ▼

What Casey’s team suspects may have caused Flight 545’s problem is a “Slats deploy” with no autopilot override. The plane in question, an N-22, has had such
a problem before. In case you don’t understand what this means, Casey has been assigned an assistant who is ignorant of the airframe business to whom she says
spontaneously: “You know anything about aerodynamics? No? Well, an aircraft flies because of the shape of the wing.”
She goes on to explain: “When the aircraft is moving slower, during takeoff and landing, the wing needs greater curvature to maintain lift. So, at those times we increase the curvature, by extending sections in the front and back—flaps at the back, and slats at the leading edge.” The trouble is, “if the slats extend, the plane may become unstable.” And this appears to be what happened to Flight 545.
Casey will deliver such lectures at the drop of Mr. Crichton’s fingers on his word processor.

Dei recensori che criticano gli infodump. Criticano citando problemi tecnici.
Questo è un messaggio diretto in particolare a due gonzi inetti e boriosi che sparano idiozie sul fatto che criticare in questo modo sia fare “autopsie letterarie”, una moda sciagurata nata con l’odiata Gamberetta e che nessun critico serio seguirebbe mai. Soprattutto perché, a detta di questi due geniacci, l’infodump non è un errore, anzi, può essere proprio bello! Un po’ di infodump qua e là è bello, fantastico, necessario.

Proprio. Ci sono molte idee bislacche che possono trovare una minima giustificazione nei manuali, ma questa non è una di loro: l’infodump è per definizione pura e semplice merda. Questo fatto è accettato in modo univoco da un secolo di autori, critici e manuali. Non c’è nemmeno quel barlume di dibattito che si trova attorno al modo in cui Raccontato e Mostrato si debbano dosare. Perfino in Italia, nei pochi manuali prodotti, appare il concetto di infodump come schifezza da evitare. Perfino in Italia.

Intercetto la possibile obiezione da minus habens che potrebbe venire sollevata: “il recensore che fa queste autopsie narrative sarà uno dei quei giornalisti frustrati alle prime armi che pensano di farsi un nome gettando fango sui poveracci!”. Spiacente, non è così.

Christopher Lehman-Haupt è un critico letterario che ha lavorato per il prestigioso The New York Times Book Review fin dal 1965, scrivendo 4.000 tra recensioni e articoli tra il 1965 e il 2000. The New York Times Book Review, allegato settimanale di critica libraria attivo dal 1896, non il primo giornaletto che capita. Christopher Lehman-Haupt ha coperto anche posizioni di rilievo come direttore della sezione che si occupa dei coccodrilli (i necrologi scritti in anticipo) del New York Times. Serve sottolineare che è direttore editoriale della Delphinium Books, casa editrice specializzata in narrativa? Lo sottolineo lo stesso. E, tra parentesi, Crichton non è esattamente un poveraccio da affossare. Anche perché adesso è già nella fossa.

Quando uno di questi soggetti dice che in Italia nessuno è disposto a pagare per un editing e che se lui si propone di farne gli offrono come pagamento una cena in pizzeria, io non mi scandalizzo: con una simile ignoranza su cosa sia la scrittura e su come funzioni il mondo della narrativa fuori dalla propria piccola cloaca italica, il prezzo di una pizza è maggiore del valore dell’editing che può offrire. Una fetta di pizza al trancio, senza bibita, mi pare più equo. Pagata da lui all’autore, però!

Il lavoro di editing di certi caproni disinformati non vale nemmeno il prezzo di una pizza surgelata, figurarsi di questa!

Qui abbiamo Patrick McGrath che recensisce The Witching Hour di Anne Rice per il New York Times:

Nonostante l’incessante energia narrativa, nonostante le continue invenzioni, il libro è logorroico, cresciuto a dimensioni elefantiache. […] Il problema è il continuo ripetere gli stessi fatti; gli stessi episodi sono raccontati diverse volte, con sempre maggiori dettagli a ogni ripetizione. Inoltre, i personaggi principali hanno l’abitudine di rigurgitare quello che hanno scoperto, anche se il lettore era con loro mentre facevano le scoperte.

Originale in inglese ▼

Despite its tireless narrative energy, despite its relentless inventiveness, the book is bloated, grown to elephantine proportions. […] Repetition is the problem; the same stories are told several times, accruing more detail with each telling. Also, the principal characters have a way of regurgitating what they’ve learned, even though the reader was with them when they learned it.

Almeno lui sarà un invidiosone che scarica la rabbia contro gli autori perché nessuno lo pubblica?
Non direi. Patrick McGrath ha vinto nel 2001 il Premio Flaiano, riconoscimento italiano internazionale vinto in passato da autori come Tom Clancy, Andrea Camilleri, Mario Rigoni Stern, Paulo Coelho e Daniel Pennac.
È sufficiente per non essere soltanto un invidiosone che nessuno pubblica?

Qualche anno fa, una recensione del New York Times sottolineò la qualità della caratterizzazione dei personaggi in un giallo appena uscito, e per dimostrare tale affermazione veniva citato un brevissimo passaggio. Si trattava di un piccolo gesto, ma che diceva di più a proposito del personaggio che non lunghe descrizioni o spiegazioni. Il gesto era: “Si soffiò il naso con il lenzuolo.”

Originale in inglese ▼

A few years ago, a New York Times review complimented a new mystery on the quality of its characterization and demonstrated that quality by quoting a beat. It was just a little bit of action, but it told us more about the character than lengthy description or narration would have: “He blew his nose on the sheet.”

Romanzi di cui si parla bene lodandoli per aspetti tecnici!
In Italia quando arriveremo ad avere recensioni in cui sia normale lodare un autore per l’uso sapiente di un piccolo gesto in mezzo a un dialogo? I cosiddetti “beat”, in inglese, equivalenti agli “stage business” di cinema e teatro di cui Humphrey Bogart è considerato un esperto da prendere a esempio anche per la narrativa. A parte le recensioni di Gamberetta, dove è ritenuto normale in Italia valutare la narrativa di genere (si è parlato di gialli e dei romanzi di Anne Rice) con criteri oggettivi e tecnici invece che con pipponi socio-economici e psicologia da due soldi perché il recensore vuole far credere di essere un intellettuale?

Si tratta di un romanzo storico e, nonostante ciò, nitidamente e sinceramente autobiografico, che interroga un momento nodale del passato ed esprime una renitenza all’assenso di quella onnipersistenza vorace del presente, di questo devastato presente, che si erge a epoca definitiva e chiude i conti con ciò che lo ha prodotto, formulando un giudizio indecente e autocratico, e al tempo stesso desiderando bloccare ogni deriva autonoma e impazzita che conduca a un futuro diverso da quello calcolato.

(Giuseppe Genna, recensione di Al Diavul su Carmilla on line)

Io non ho mai visto un posto in cui fosse normale usare criteri tecnici: l’andazzo generale è quello delle cialtronate scritte nella citazione sopra. La pietra di paragone per le recensioni fantasy, prima di Gamberi Fantasy, era FM. Come paragonare un grattacielo a una capanna di fango e merda…

E qui Carolyn See recensisce The Real World di Tim Paulson:

Questo è un elogio della noia e della scarsa attenzione ai dettagli. […] Che importa se a pagina 117 la sorella di Tom “calca” il suo accento del Sud e a pagina 119 Mac Stuart “calca” il suo di accento del Sud? Che importa se a pagina 134, dopo che Tom e Julie si trasferiscono a Brooklyn, “i loro veri amici ebbero il coraggio di affrontare tre trasbordi tra le linee della metropolitana” e a pagina 335 Tom sottolinea: “Abbiamo scoperto chi sono i nostri veri amici quando ci sono venuti a trovare”? Questo è il mondo reale, santo cielo! E chi è che aveva detto che nel mondo reale c’è qualcosa in più rispetto al tedio, alla routine, alla noia?

Originale in inglese ▼

This is a paean to dullness and inattention to detail […] So what if on Page 117 Tom’s sister “hams up” her Southern accent and on Page 119 Mac Stuart
“hams up” a Southern accent? So what if on Page 134, after Tom and Julie move to Brooklyn, “their real friends braved the three subway transfers” and on Page
335 Tom remarks: “We found out who our real friends are when they come to see us”? This is the real world, for Pete’s sake! And whoever said the real world was
anything more than dull, repetitive, and boring?

Carolyn See, autrice di 14 libri e recensore presso The Wahington Post, è stata membro del consiglio del National Book Critics Circle e ha vinto il Guggenheim Fellowship, riconoscimento a chi “ha dimostrato eccezionali abilità creative nelle arti” che risale al 1925. Sarà sufficientemente qualificata per poter valutare fare l’autopsia letteraria di un romanzo?

E fin qui abbiamo visto le recensioni.
Recensioni scritte da un Professore Emerito in Lettere di una delle più prestigiose università statunitensi, di un autore premiato con riconoscimenti internazionali o di un’autrice che è stata pure nel consiglio dell’associazione nazionale dei Critici. Recensioni sempre basate su criteri di scrittura oggettivi insegnati dai manuali da… un paio di millenni. Magari bebbo e soci negli ultimi duemilia anni non hanno badato ai fatti del mondo e se li sono persi. Capita. Agli idioti.
I veri recensori, i veri critici, i veri Professori Emeriti di Lettere, usano criteri oggettivi e universalmente accettati per dare valore e sostenere le proprie argomentazioni a favore o contro un certo libro. Questo è un dato di fatto.

Ma cosa succede tra gli editor professionisti?
Quelli sono recensori, critici professionisti, vediamo come si esprime invece un editor. Una persona che con le sue osservazioni cerca di migliorare la qualità dei testi.
Facile controllare. Lasciando da parte Self Editing for Fiction Writers e passando a Editing Fact and Fiction, che è proprio un manuale pensato per insegnare il mestiere ai giovani editor alle prime armi e agli aspiranti professionisti (che, come spiegano i due autori, sono autodidatti all’estero proprio come da noi, non hanno corsi di formazione… solo che lì studiano sul serio per conto proprio e studiare fa la differenza), troviamo nelle prime pagine:

‘Il Generale emise un suono udibile’
Ho letto questa frase in un recente bestseller e ha fatto ribollire il mio sangue di editor. Avrei voluto gridare: avanti, prova a emettere un suono inudibile, dannazione! Dov’era l’editor di questo romanzo? Il copyeditor? Il correttore di bozze?

Originale in inglese ▼

‘The General made an audible noise’
I read this sentence in a bestseller recently, and it made my editor’s blood boil. Go try and make an inaudible noise, damn it, I wanted to yell. Where was the editor for this novel? The copyeditor? The proofreader?

Chi è tanto pervaso dalla furia, arrivando (lo spiega dopo) ad aver consigliato a tutti quelli che conosceva di NON comprare quella schifezza di bestseller? Chi può esserci dietro un simile rancore? Sicuramente un giovane editor saccente e invidioso che nasconde la propria inesperienza dietro l’aggressività, giusto? Sembra di leggere Gamberetta: è puro “gambero-pensiero” (citando la definizione dei gonzi).

Risposta:
Richard Marek, professionista nell’editoria per oltre trent’anni. È stato editor alla Macmillan, senior editor presso World, redattore capo al The Dial Press (la lista proseguirebbe a lungo, ma la taglio) e ha anche una propria compagnia, la Marek & Charles, specializzata in servizi editoriali, incluso design e produzione.
Tra i molti autori di cui è stato editor: James Baldwin, Robert Ludlum e Thomas Harris.

La prossima volta che vi verrà voglia di criticare il “gambero-pensiero”, come lo chiamate, fatevi un favore e andate davanti a uno specchio: avrete l’onore di ammirare dal vivo una colossale testa di cazzo ignorante. ^_^

 

Il Duca di Baionette

Sono appassionato di storia, neuroscienze e storytelling. Per lavoro gestisco corsi, online e dal vivo, di scrittura creativa e progettazione delle storie. Dal 2006 mi occupo in modo costante di narrativa fantastica e tecniche di scrittura. Nel 2007 ho fondato Baionette Librarie e nel gennaio 2012 ho avviato AgenziaDuca.it per trovare bravi autori e aiutarli a migliorare con corsi di scrittura mirati. Dal 2014 sono ideatore e direttore editoriale della collana di narrativa fantastica Vaporteppa. Nel gennaio 2017 ho avviato un canale YouTube.

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