Storia

110 anni dalla morte della Regina Vittoria

Oggi un piccolo post commemorativo per i 110 anni dalla morte della regina Vittoria.
Il 22 gennaio 1901 si chiuse un’Età, quella Vittoriana, caratterizzata per la maggior parte del periodo dalla fiducia nell’avvenire e nella capacità del progresso scientifico di migliorare la condizione umana.

Venne sostituita dagli sfarzi eccessivi e dalla corsa agli armamenti dell’Età Edoardiana (1901-1910), caratterizzato dalla paura per il terrorismo, da una minore fiducia degli intellettuali nella scienza come portatrice di risposte per ogni problema (unita al fenomeno opposto: una riverenza superstiziosa per il progresso, come se la scienza fosse una religione), da sempre maggiori dubbi sulle modalità di gestione delle colonie (anche questo, come la minore fiducia nel progresso, fece parte della crisi di fin de siècle) dalla prima guerra sufficientemente moderna e sanguinosa da colpire l’opinione pubblica d’Europa (il conflitto Russo-Giapponese) e dalla prova definitiva che la Russia fosse una potenza reazionaria sull’orlo del collasso, solo all’apparenza invincibile grazie alla straordinaria quantità di soldati che poteva arruolare, ma in realtà instabile nel fronte interno (rivoluzione russa del 1905).

Rimase, fino alla Grande Guerra, la fiducia che alla fine tutto sarebbe andato per il meglio: questo lo pensavano sia gli anarchici intenti ad assassinare governanti sia i peggiore porci tra i ricconi capitalisti. Uniti nella fiducia verso il futuro, seppure immaginato in modi molto diversi, e con grandi incertezze su quel presente di crisi (sia sociale che di valori) che, in un certo senso, rendeva il “futuro luminoso” un paradiso promesso.

Visto che si ricollega a uno dei motivi per cui il mondo del XXI secolo ha riscoperto con tanto entusiasmo lo Steampunk (che, ricordiamolo, risale per il nome agli anni ’80 e per le prime opere agli anni ’70), riporto quanto detto dallo storico Alessandro Barbero:

Se dovesse paragonare il momento storico che stiamo vivendo ad un altro qualsiasi, quale potrebbe essere?
[…]
mi colpisce il parallelo con gli anni di fine Ottocento – inizio Novecento: vertiginosi progressi tecnologici, disagio generalizzato, senso di mancanza di riferimenti valoriali sicuri, classi dirigenti arroganti, il terrore degli attentati…

Così, senza nessun motivo particolare.
Ricordate che pochi giorni fa era il 140esimo anniversario.

La morte della regina Vittoria

Negli ultimi anni della sua vita, pur non soffrendo di alcuna malattia grave, la regina era molto invecchiata. Le articolazioni si erano irrigidite, tanto che ormai camminava con sempre maggiore difficoltà, la cataratta l’aveva resa quasi cieca, dormiva male e soffriva di dolori alla schiena. L’anno 1900 era stato particolarmente doloroso. La seconda guerra Angolo-Boera, con il suo bilancio di morti e di critiche feroci contro l’Inghilterra, l’aveva segnata. Vittoria aveva fatto il suo dovere, visitando le truppe prima della partenza, inviando messaggi di incoraggiamento ai soldati e di condoglianze alle famiglie dei caduti. Al lutto dei sudditi si aggiungeva quello personale: in Sud Africa era morto il principe Christian Victor, suo nipote e figlio maggiore della principessa Helena, portato via dalla febbre enterica contratta sul campo di battaglia.

Prima ancora, il 30 giugno, era morto il suo secondogenito Alfredo, duca regnante di Sassonia Coburgo. E durante l’estate aveva saputo che la sua amata figlia maggiore, l’imperatrice vedova di Germania (moglie di Federico III, morto di cancro alla laringe nel 1888 dopo tre mesi di regno), aveva un tumore al midollo spinale che le causava dolori atroci.

Inizia un nuovo anno e mi sento debole, talmente mal ridotta che lo comincio con tristezza
(Diario della regina Vittoria, gennaio 1901)

Vittoria era sempre più stanca e priva di voglia di vivere. Il 15 gennaio le condizioni fisiche della Regina peggiorarono. Una circolare ufficiale della Corte informava che la regina non era nelle normali condizioni di salute. Il 17 gennaio venne colpita da un lieve ictus che le causò l’afflosciamento del lato destro del volto. Era cosciente e non soffriva molto. La mattina del 19 gennaio la situazione peggiorò ancora e la Corte annunciò che le condizioni neurologiche della sovrana si erano deteriorate per colpa delle molte preoccupazioni dell’ultimo anno. A mezzogiorno vi fu un nuovo comunicato: la regina era in uno stato di “grande prostrazione fisica” accompagnata da sintomi “allarmanti”. Il 20 gennaio la situazione peggiorò ancora e la famiglia accorse al suo capezzale, al castello di Osborne sull’isola di Wight.

Al suo capezzale accorse anche il duca di Connaught, che si trovava in Germania per il bicentenario della fondazione del regno di Prussia, e con lui il Kaiser Guglielmo II, che aveva fatto interrompere in anticipo i festeggiamenti per raggiungere la nonna morente. Guglielmo II aveva avuto un pessimo rapporto con la madre: la accusava della propria deformità (aveva un braccio atrofizzato a causa di un parto problematico) e della morte del padre.

Aveva ragione in entrambe le accuse: era stata l’ostinazione della madre ad avere medici inglesi a causare l’incidente nel parto, dovuto all’uso del forcipe, e sempre l’ostinazione della madre aveva impedito ai medici tedeschi di operare Federico III quando ancora era possibile, con rischi accettabili per il livello raggiunto dalla medicina tedesca (che all’epoca era molto superiore a quella inglese). Guglielmo II era in pessimi rapporti anche con gli altri parenti inglesi, meno uno: la nonna Vittoria, che adorava.

Sono il maggiore dei suoi nipoti e dal momento che mia madre non può venire al suo capezzale, a causa della sua malattia, devo andare.
(Guglielmo II, spiegando il motivo per cui doveva partire)

Finché la nonna fu in vita, per non rattristarla, Guglielmo II evitò di elevare troppo il livello di scontro politico con i parenti inglesi. Dopo che la nonna fu morta, il Kaiser conservò come arma da fianco preferita il revolver Fagnus che la regina Vittoria gli aveva regalato (ora esposto al Museo di Storia Tedesca di Berlino). Mauser C96 e Luger 08 erano armi migliori e più moderne, ma il Kaiser rimase sempre legato al regalo della nonna.

La gentilezza e la bontà con cui il Kaiser assistette Vittoria sorpresero la famiglia reale che forse non aveva mai davvero compreso il profondo legame che si era formato tra la nonna e il nipote tedesco.
Il 22 gennaio la fine era prossima. La regina era lucida e riconosceva i famigliari, ma verso le sedici le condizioni fisiche si aggravarono. Respirava a fatica. Il Kaiser stesso, in ginocchio, la sosteneva assieme al dottor Reid per aiutarla a respirare meglio. Alle sedici e trenta Vittoria morì.

La regina Vittoria, una bella pollastrella armata pesantemente

Per 40 anni Vittoria aveva portato il lutto per la morte del marito Alberto

Per il proprio funerale Vittoria aveva ordinato che non ci fosse il nero, ma il bianco: dopo quattro decenni di lutto, finalmente poteva raggiungere l’amato marito. Lo aveva fatto incidere sopra le porte del mausoleo nel 1862: Vale desideratissime! Hic demum conquiescam tecum, tecum in Christo consurgam. Ora il momento di riunirsi era arrivato.

Le misero un vestito di seta bianco e sul viso lo stesso velo da sposa che aveva indossato nel 1840. Nel fondo della bara fece mettere alcuni oggetti: medaglioni, anelli, un ricamo fatto dalla principessa Alice, fotografie dei famigliari e per finire la vestaglia del marito defunto con assieme un calco in gesso della mano. Non si fece imbalsamare perché non voleva che il corpo fosse esposto al pubblico. Sopra di sé volle l’abito da sposa (ormai non aveva più il vitino da vespa per indossarlo) e la bandiera britannica.
Nella stanza in cui rimase la bara prima di partire dal castello di Osborne volle molti fiori bianchi, in particolare di mughetto.

Il viaggio verso il luogo di sepoltura iniziò il primo giorno di febbraio

La bara venne collocata sullo yacht Albert, dove era stata allestita la camera ardente. Un’ala d’onore di navi da guerra accompagnava la regina. A una delle stremità si trovavano quattro corazzate tedesche assieme a una nave da guerra francese, alla Don Carlos I portoghese, alla Carlos V spagnola e a molte altre tra cui la nuovissima corazzata giapponese Hatsuse (una corazzata da 15mila tonnellate, lunga 134 metri), appena completata il 18 gennaio nel cantiere inglese di Elswick e inviata lì su ordine del Mikado.

Davanti all’Albert procedevano in doppia fila otto cacciatorpediniere dipinte di nero. La flotta inglese cominciò a sparare quando partì l’Albert. Smisero una alla volta, a mano a mano che il corteo funebre passava loro davanti. Il simbolo della potenza mondiale inglese salutò il simbolo del successo e della ricchezza inglese.

Per il corteo funebre Vittoria non volle un carro lussuoso o altre stravaganze che andavano di moda tra le ricche signore. Era figlia di un militare, moglie di un militare, madre di militari e comandante delle forze armate nel pieno della guerra in Sud Africa: la bara doveva essere posta su un affusto di cannone, come quella dei soldati semplici. E il corteo funebre non doveva essere in lutto, ma colorato: pennacchi, divisi scintillanti, bardature d’oro e porpora, fiori ovunque come se si stesse sposando di nuovo. Il tutto accompagnato dalla musica scozzese, che la regina adorava, e dalle marce di Chopin e Beethoven.

Davanti all’affusto procedevano gli ufficiali della Casa reale con Edoardo VII in uniforme da maresciallo. Alla destra del nuovo re c’era il Kaiser, alla sinistra il duca di Connaught, e poi il re di Grecia e il re del Portogallo. Dietro i rappresentanti delle altre nazioni, coi principi ereditari di Romania, Danimarca, Siam, Svezia, Norvegia e il granduca Michele di Russia.

Il corteo funebre partì da Buckingham Palace Road e raggiunse la stazione di Paddington, dove il feretro venne caricato sul treno per l’invio al castello di Windsor. Londra dove passava il corteo era immersa in un silenzio irreale: il battere degli zoccoli e la musica non erano soffocati dai rumori della città e dagli urli di strilloni e venditori. Gli inglesi osservavano in silenzio il corteo. Sapevano che la regina era una donna anziana, ma non la vedevano davvero come una donna.
Era la Regina. Era il simbolo dell’Impero. Era sempre stata viva, era sempre stata lei la loro regina. Generazioni di inglesi avevano conosciuto solo lei, arrivando a considerarla come un famigliare (anche quando disprezzavano gli aristocratici in generale). Aveva presieduto alla conquista del mondo da parte dell’Inghilterra ed era diventata la nonna degli inglesi.
Con lei tramontava un’Età e un mondo.

Quando succedette a suo zio, Guglielmo IV, nel 1837, la monarchia era probabilmente meno popolare che in qualsiasi altro momento a partire dal XVII Secolo. Alla fine del suo regno, la corona era stata elevata a nuovi livelli di prestigio e affetto, e l’Impero Britannico governava gran parte del mondo.
(BBC News, per il centesimo anniversario nel 2001)

Gran parte delle informazioni sono state prese da Morte e funerali della Regina Vittoria di Monica Charlot, pubblicato in Londra, l’oro e la fame.

 

Il Duca di Baionette

Sono appassionato di storia, neuroscienze e storytelling. Per lavoro gestisco corsi, online e dal vivo, di scrittura creativa e progettazione delle storie. Dal 2006 mi occupo in modo costante di narrativa fantastica e tecniche di scrittura. Nel 2007 ho fondato Baionette Librarie e nel gennaio 2012 ho avviato AgenziaDuca.it per trovare bravi autori e aiutarli a migliorare con corsi di scrittura mirati. Dal 2014 sono ideatore e direttore editoriale della collana di narrativa fantastica Vaporteppa. Nel gennaio 2017 ho avviato un canale YouTube.

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