Attirato da un commento riguardo la ricarica dei bossoli a martellate (yeah!) sono incappato in un video di VBS.TV sulla produzione artigianale di armi presso passo Khyber. Conoscevo da anni passo Khyber e la sua peculiare produzione di “armi copiate”, ma non avevo mai pensato di dedicargli un post.
Vedendo il video mi sono invece convinto che potrebbe essere interessante parlarne: la comunità di passo Khyber non è molto diversa da quella dell’Hub nel videogioco Fallout o da qualsiasi altro centro post-apocalittico in cui un’umanità brutta, sporca e violenta cerca di armarsi fino ai denti dopo il collasso dell’intera civiltà precedente, affidandosi al fai da te.
“Molti figli e un sacco di armi!” Se il video non funziona clicca qui ▼
Passo Khyber è un percorso di 33 miglia (53 km) che collega il Pakistan all’Afghanistan. Gli inglesi lo conoscono bene, visto che lì attendevano con le baionette inastate l’arrivo di orde di selvaggi razziatori afgani ululanti. Da quel passo sono transitate le truppe inglesi che hanno combattuto la prima (1839-1842) e la seconda guerra anglo-afgana (1878-1880) e da lì sono passati gli afgani (un po’ più sciancati e molto meno ululantinota) che hanno aggredito gli inglesi nel 1919. Una terra magnifica, nella famosa zona “tribale” nel nord-ovest del Pakistan, con tribù di barbari armati fino ai denti e deliziosi strapiombi di 200-300 metri.
L’attività prediletta dai sodomizzatori di capre di passo Khyber è il commercio delle armi. A Landi Kotal, il punto più alto di passo Khyber, vendono di tutto, in particolare armi di produzione sovietica. A Darra Adam Khel (il nome del villaggio è Darra, mentre Adam Khel indica il clan della tribù Afridi a cui è collegato) invece sono specializzate nelle armi copiate: gli artigiani locali fabbricano armi da oltre un secolo, copiando armi originali o altre copie.
Copie di copie di copie, con aggiunte più o meno fantasiose e marchi scopiazzati senza nemmeno capire che significano. Come avete visto nel video le tribù non si fanno mancare niente: un miscuglio di lanciarazzi, fucili d’assalto moderni, fucili di metà Ottocento, moschetti ad avancarica, mitragliatrici Lewis della prima guerra mondiale, Luger artiglieria della Germania Imperiale, altre pistole varie e perfino SPADE! Ovviamente le armi da fuoco le provano sparando in mezzo alla strada, stile capodanno a Napoli! ^_^
Come mi ha fatto notare Angra, concettualmente sembrano più gli Orki di Warhammer 40k che persone reali…
Fu nel 1897 che gli inglesi, in cambio dell’autorizzazione dei selvaggi a usare le strade, chiusero un occhio sulla fabbricazione locale di armi, ritenendo che fosse meglio vedere i barbari girare con brutte copie di fucili a colpo singolo (dai moschetti tradizionali Afgani ad avancarica fino ai Martini-Henry del 1871-1888) piuttosto che costringerli a rubare i nuovi fucili moderni col caricatore (Lee-Enfield, all’epoca).
L’attività a Darra prospera da oltre un secolo e solo da poco tempo sono iniziati i problemi nel vendere le copie ai turisti, e in generale fastidi alla produzione illegale, per colpa della presenza delle forze armate pakistane e degli americani. Pare che i prezzi locali siano anche aumentati rispetto a pochi anni fa, ma non saprei dire altro.
Non che fosse una grande idea per uno straniero comprare una fucile lì nemmeno prima: pare che spesso la polizia, dopo aver intascato la bustarella del grasso turista yankee per chiudere un occhio, provvedesse lo stesso al sequestro e alla riconsegna dell’arma al venditore. Una volta i soldati pakistani non andavano a dare fastidio a Darra: non è igienico disturbare le tribù.
Questa produzione è necessaria per soddisfare il bisogno di armi che fa parte della Cultura Pakistana (che, come direbbero certi soggetti in Italia, va “preservata” quando emigrano da noi), in particolare della popolazione di etnia Pashtun come gli Afridi:
Gun culture in Pakistan refers to the long-standing tradition of owning and carrying guns especially among Pashtun men in the North-West Frontier Province (NWFP) and generally in the whole country. There are estimated 20 million AK 47’s in public use when country’s total population is around 150 million. The use of heavy weaponry in Pakistan’s tribal culture is common which includes use of rocket launchers, short,medium and long range rockets,anti aircraft guns,mortars etc which are made locally. Hand guns are often considered harmless in Pakistan’s heavy weapon culture.
La qualità delle armi prodotte letteralmente tra capre e galline è molto variabile. Alcune non sono in grado di fare fuoco se non a rischio e pericolo del tiratore, perfino se si utilizzano munizioni locali di scarsa potenza. Altre, la minoranza, sono valide quanto le armi prodotte in massa nelle fabbriche.
Da passo Khyber oltre alle miriadi di Kalashnikov escono ancora molti Lee-Enfield (il fucile inglese delle due guerre mondiali), arma robusta e affidabile, con una cartuccia potente adatta alle lunghissime distanze dell’Afghanistan dove il volume di fuoco di un AK conta molto meno della lunga gittata e della precisione di un fucile “di calibro pieno”, anche se concepito più di cento anni fa.
Nel video dicono Kalakov al posto di Kalashnikov, ma c’è un motivo: è un termine che indica, nello slang dei Mujahideen, tutte le copie a buon mercato dei fucili della famiglia AK-74 (da non confondere con il più famoso nomignolo Krinkov degli AKS-74U), distinguendoli così dalle vere prede belliche sovietiche di maggiore qualità.
Come dicevo prima le armi possono riservare ogni sorta di sorpresa, se si guarda oltre l’aspetto esteriore:
Non mancano poi decorazioni e scritte varie, talvolta messe al posto dei finti punzoni scopiazzati: una scelta decisamente più intelligente. Gli standard di produzione per quanto riguarda la precisione delle componenti e la qualità dei materiali sono molto al di sotto di quelli accettati in Europa al tempo della Rivoluzione Francese. Fico, eh? ^_^
Naturalmente, dato che la meccanica interna è copiata alla buona, non è detto che le parti di un’arma possano servire da ricambi per un’altra: la dimensione delle componenti usate da un artigiano può essere incompatibile con quelle usate da un altro. Una piccola ulteriore nota di lulz.
Le armi di passo Khyber, proprio per la delicatezza che le affligge (tolti pochi casi), vanno utilizzate solo con le deboli munizioni ricaricate localmente. Sul posto utilizzano di tutto per fabbricare la polvere, incluse le vecchie pellicole cinematografiche ricche di nitrocellulosa: la polvere risultante non è del tutto “infume”. Mai usare le munizioni commerciali: la pressione eccessiva delle munizioni a piena forza farebbe esplodere l’arma.
Nota da gioco di ruolo. Passo Khyber (con la sua bizzarra produzione di armi) ha ispirato, nella mia ambientazione steampunk fantasy, l’accesso “inglese/persiano” alla Distorsione. L’altro accesso maggiore, quello “russo/tedesco” in Polonia, è molto diverso: una città “doppia”, per un pezzo nel mondo normale e per l’altro -molto più grande- nella Distorsione. Al design dell’accesso “giapponese” nella Corea occupata non ho ancora pensato, tanto ai miei giocatori non servirà mai.
Ora guardiamo un Martini-Henry copiato, per renderci conto dei bizzarri punzoni riportati:
La corona della Regina (il Royal Cypher) è stilizzata e sembra disegnata da un bambino ritardato, che poi è lo sviluppo mentale che ci si può aspettare tra quei barbari inferiori. L’anno 1919 (copiato pure questo senza sapere cosa significhi?) mal si accoppia con la sigla V.R., dato che la Regina Vittoria era morta nel 1901. Se proprio volevano mettere un 1919 (già sbagliato di suo visto che gli ultimi Martini-Henry li hanno fabbricati nel 1901) avrebbero dovuto disegnare la corona del Re (effettivamente è così stilizzata da sembrare più una corona del Re che una da Regina) e scrivere G.R. (George Rex).
Il nome del produttore, ENFIELD, è scritto correttamente, ma i caratteri sono distanziati come capita: si nota che non è stato marchiato in fabbrica, ma inciso da un idiota. Già di grazia che la N non sia capovolta orizzontalmente, vero marchio di fabbrica delle armi di passo Khyber. Come no, è stato proprio prodotto dalla Royal Small Arms Factory di Enfield Lock…
La seconda sigla ESFIED non significa nulla: forse hanno copiato un marchio Enfield venuto male da qualche altra arma, pensando di rendere il fucile più figo con le “doppie firme” (come le borse contraffatte con scritto sia Versace che Universal Studios Japan in Kamikaze Girls). Sigh.
Quel simbolo strano che pare un pugnale con l’impugnatura “a orecchie” è il marchio dell’Ispettore agli Otturatori (Lock Viewer, “lock” indica il meccanismo di sparo, in particolare nelle armi da fuoco antiche), ufficiale della Corona che controllava la qualità delle molle al tempo delle armi ad avancarica e che già nel 1870, con le nuove modalità per controllare la qualità delle armi (e la grande produzione), era diventato obsoleto. Tutte le armi dovevano passare adeguati test prima di entrare in servizio (gli elmetti ad esempio venivano provati presso la fabbrica, a campione, sparandogli contro con la pistola: se non passavano il test veniva scartato tutto il lotto a cui appartenevano) e dal 1897 quel marchio non viene più usato.
S X S dovrebbe essere un tentativo di imitare il marchio delle armi con “Strengthened Extractor”, peccato che la sigla corretta sia S.X e non quella roba là. In più non va messa lì, ma in alto, sopra la camera di scoppio in cui si inserisce manualmente il proiettile (il Martini-Henry è un’arma a retrocarica a colpo singolo, senza serbatoio/caricatore). Giusto per aggiungere un ulteriore dettaglio… quel marchio era posto sui fucili con un’estrazione rinforzata, per espellere meglio i bossoli che con lo sparo tendevano a dilatarsi troppo e di incastrarsi nella camera (poi passarono a fare bossoli in robusto ottone trafilato, invece che nel debole ottone laminato, risolvendo il problema). L’estrazione più forte divenne la regola a con i Martini-Henry Mark III e IV, e in generale dal 1887, non dovrebbe nemmeno apparire sulle armi nuove! Stupidi caprai.
Notate anche con quale gusto si mischino caratteri serif e sans-serif.
Divino, puro ingegno tribale. Vediamo i punzoni di un vero Martini-Henry.
La sigla BSA & M Co. indica Birmingham Small Arms & Metal Company Ltd., uno dei sei produttori di Martini-Henry. La versione (mark) dell’arma, da I a IV, indica i vari aggiornamenti importanti avvenuti col tempo nei Martini-Henry: in questo caso si tratta di uno dei mark III prodotti tra 1879 e 1888, con estrattore rinforzato, mire migliorate e percussore più robusto rispetto ai precedenti Mark I e II (il IV si riconosce subito perché ha una leva più lunga per permettere l’accesso alla camera di sparo anche quando il meccanismo è pieno di polvere e sabbia africana, grazie alla maggiore forza che si può imporre spingendola).
La classe indica la qualità dell’arma. In pratica se è perfetta oppure se è obsoleta, vecchia, consumata, imperfetta in qualche particolare con un minimo di importanza… magari una rigatura venuta meno bene che rende il tiro un po’ meno preciso. Dalla classe dipende l’assegnazione: i fucili della classe I, perfetti, vanno alle truppe in prima linea, mentre quelli della classe II sono assegnati all’addestramento delle nuove unità e alla milizia.
Da anni vedo nei servizi dei telegiornali e nei documentari questi vecchi in Afganistan e Pakistan, tutti uguali: stessa faccia, stessa corporatura, stessa barba e regolarmente col copricapo. Sono giunto alla conclusione che sia sempre lo stesso vecchio: una sorta di Paolini mediorientale che insegue le telecamere per apparire in più servizi possibili. Lo avete visto anche nel video di VBS.TV, mentre usa il vecchio trucco di passare davanti alla telecamera come se non sapesse che è accesa.
Eccolo in alcune apparizioni degli ultimi anni:
— Relax: foto coi colombi “come se fosse in piazza San Marco”.
— Una vecchia foto, con l’amante del periodo.
— Con la nuova moglie: l’età è giusta, ma lo hanno fregato sul sesso.
— Si è appena accorto che il giornalista ha giocato con lui a “pisciamo nel caffè”.
Afghan regular units…were ill-trained, ill-paid, and probably under strength. The cavalry was little better than indifferent infantry mounted on equally indifferent ponies. Rifles varied between modern German, Turkish and British types, to obsolete Martinis and Snyders. Few infantry units had bayonets. Artillery was ponydrawn, or pack, and included modern 10cm Krupp howitzers, 75mm Krupp mountain guns and ancient 7 pounder weapons. There were a few, very old, four-barrel Gardiner machine guns. Ammunition was in short supply and distribution must have been very difficult. For the artillery much black powder was used, both as a propellent and bursting charge for shells. The Kabul arsenal workshops were elementary and mainly staffed by Sikh artificers with much ingenuity but little real skill. There was no organised transport and arrangements for supply were rudimentary.
(Generale di Corpo d’Armata George Noble Molesworth)
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