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Il gioco del parlare di narrativa in modo vago e la voglia di vomitare

Ho visto una striscia divertente. Pensavo di proporla in un post, così, per divertirsi, con giusto qualche riga di commento come testo. Poi ho pensato a cosa scrivere, ho riletto vecchie discussioni nel web e ho ripescato alcuni brani tratti dai libri sulla scrittura per la narrativa. Ho riflettuto un paio di giorni e ora ho solo voglia di vomitare. ^__^

Ecco la striscia. Segue qualche riga di considerazioni.
Cercherò di essere involuto e intimista. Ci proverò. Almeno un po’. E fallirò.

La striscia si spiega da sola: se negli altri campi è necessario sfoderare conoscenze tecniche precise e puntuali, nella critica letteraria si possono tirare fuori fiumi di stronzate e, se uno se la sa cavare nel bluffare, riuscire a farsi passare per uno che sa perfino di cosa sta parlando. Magari non un genio, ma comunque uno che “sa qualcosa”. Il trucco sta nel tenersi sul vago, sul filosofico, nel parlare di aria fritta, senza riferimenti precisi e puntuali al testo che viene trattato: proprio come nell’ultima vignetta.

I due volumi sono un’esagerazione, ovvio, ma a livello più basso, tra gente già di suo poco esperta o addirittura formata da altrettanti millantatori (più o meno consapevoli l’uno dell’altro, ma capaci di costruirsi una rete intellettualoide di supporto), è una cosa che funziona.

Se pensate che non funzioni, spiacenti per voi, ma o siete ritardati o siete vissuti al di fuori del mondo per un bel po’: fate due passi sui forum/siti di settore e controllate quanto l’aria fritta (“La libertà dello scrittore!”, “Chi ha detto che mettere quattro aggettivi di fila sia una cattiva idea?”, “Un incipit orrendo non è un buon motivo per criticare l’incipit orrendo”, “Gli avverbi in mente spiegano e specificano l’azione del verbo: solo un idiota ignorante che confonde i libri con il cinema li toglierebbe!”, “Chi può giudicare un testo di narrativa se esso in quanto intrattenimento è personale e quindi basato sul gusto e il gusto è per sua natura ingiudicabile?”, “Parlavo in generale, non di questo libro”, SIGH…) basti a mandare avanti i discorsi, a scapito dei precisi e puntuali riferimenti al testo e a scapito dello studio della scrittura per la narrativa e dei suoi meccanismi.

Anzi, peggio ancora. Chi si macchia del terribile crimine di occuparsi della narrativa dal punto di vista di chi si occupa della narrativa, ovvero con gli strumenti, i metodi e il punto di vista dello scrittore professionista (grazie alle opere in materia che gli scrittori pubblicano) per cercare di capire cosa non vada in un testo che appare “brutto”, viene perseguitato, insultato in modo più o meno velato e cacciato da piccoli nuclei di individui che praticano il “gioco del critico vago”.
In particolare il voler “spiegare e motivare” un problema di scorrevolezza o di immedesimazione PRESENTE nel testo viene ribaltato dichiarando che lo scopo Vero è quello di demolire l’opera A PRIORI: essendo per primi in malafede, accusano di malafede chi è in buona fede per mascherare la propria malafede e instillare il dubbio nel lettore, giacché chi accusa per primo è in vantaggio e l’eventuale accusa identica in risposta appare come semplice ritorsione. Dialettica eristica, la morte del dialogo intelligente e la difesa prediletta per il Giocatore del “gioco del vago”, in particolare tramite l’argumentum ad auditores e la generalizzazione.

Gioco, ecco, questo è il termine che potrebbe calzare.
Tutta la questione mi ricorda molto l’esempio del “gioco dei difetti” spiegato da Eric Berne (medico chirurgo e psichiatra, ufficiale medico nell’esercito statunitense durante la Seconda Guerra Mondiale) in “A che gioco giochiamo“.

Eric Berne non è OK. Io non sono OK. Tu non sei OK.

Le mogli si riuniscono, bevono il tè e sparlano dei mariti, con il tacito accordo che il divertimento stia nello sparlare dei mariti in sé e non nel dialogare in modo intelligente dei propri problemi di vita coniugale per trovare soluzioni. Quando una nuova signora si aggiunge e invece di “giocare secondo le regole” decide di discutere sul serio dei problemi, cercando anche di giustificare il comportamento dei mariti e analizzare la questione in modo più razionale, le altre donne si irritano per il “gioco rovinato”.
Se la situazione di incomprensione prosegue e la nuova arrivata non capisce che lì nessuna è davvero interessata a discutere in modo razionale e intelligente, le altre smetteranno di invitarla in modo che non rovini più il loro bel “gioco dei difetti”.

Non è molto diverso ciò che succede in certi luoghi pieni di gente capace di parlare di un libro senza occuparsi del libro in sé, parlando “in generale”, chiacchierando “di massimi sistemi”, e quando viene fatto notare che per il libro in questione ciò che dicono non ha alcun valore o attinenza, questi si barricano dietro frasi come “Sì, lo so, ma io parlavo in generale, mica del libro!”.

Pare brutto in una discussione su un libro specifico parlare del libro specifico?
Evidentemente sì, perché questo costringerebbe a citare il testo in modo preciso e puntuale, facendo uso delle conoscenze di scrittura per la narrativa utili in quell’ambito: il problema è che il finto intellettuale e critico NON conosce le tecniche di scrittura (segue affermazione che i manuali sono scritti da falliti, idioti, mentecatti e anche quando non è così sono del tutto inutili “perché sì”) e NON ha le capacità e la maturità critica per discutere in modo intelligente del testo.

Molto più facile fare il Vago, dandosi un’aria da navigato intellettuale, e usando come frasi per far tacere “il rozzo tecnico” qualche roba figa origliata nelle discussioni di qualche genio che per aver preso una laurea in lettere (o star studiando lettere) pensa di sapere tutto della narrativa e di conseguenza snobba gli scrittori e i loro manuali tacciandoli di essere tutti truffatori e tutti coglioni che scrivono solo coglionate… ce ne sono a dozzine, ovunque, fate un giro e li trovate. E dato che molte cose dette dagli scrittori nei “loro manuali” sono le stesse scritte da William Strunk (professore di inglese alla Cornell University per 46 anni) e da Elwyn White (Pulitzer per “l’intero corpo delle sue opere” nel 1978) decenni prima in “The Elements of Style“, ne consegue che Strunk è un coglione e un truffatore pure lui.
E come Scott Card e gli altri pure Strunk e White sono stati traviati dal cinema e dai film d’azione di Sylvester Stallone pieni di esplosioni, per questo non capiscono che la narrativa è Arte “priva di regole” e non ci si può concentrare su stupidi dettagli legati all’immedesimazione e al mostrare. Giusto?

William Strunk junior, un celebre drogato di cinema e televisione che non aveva idea di cosa fosse la Scrittura secondo molti intellettuali del “parlar vago di narrativa”. E chi lo ha ammirato e ha studiato il suo libro, come King e più di mezzo secolo di scrittori di narrativa (Matheson?), non è meno cranioleso di lui, giusto?

 
Brani da The Elements of Style, detto anche Strunk & White (prima edizione 1959, brani tratti dalla quarta edizione del 1999, ora c’è anche una quinta del 2009).
(Leggetelo in inglese che la versione in italiano è dello Strunk -senza White- del 1918 e mi pare tradotta di merda)


Rich, ornate prose is hard to digest, generally unwholesome, and sometimes nauseating. If the sickly-sweet word, the overblown phrase are your natural form of expression, as is sometimes the case, you will have to compensate for it by a show of vigor, and by writing something as meritorious as the Song of Songs, which is Solomon’s.
[…]
Avoid the elaborate, the pretentious, the coy, and the cute. Do not be tempted by a twenty-dollar word when there is a ten-center handy, ready and able. Anglo-Saxon is a livelier tongue than Latin, so use Anglo-Saxon words. In this, as in so many matters pertaining to style, one’s ear must be one’s guide: gut is a lustier noun than intestine, but the two words are not interchangeable, because gut is often inappropriate, being too coarse for the context. Never call a stomach a tummy without good reason.
If you admire fancy words, if every sky is beauteous, every blonde curvaceous, every intelligent child prodigious, if you are tickled by discombobulate, you will have a bad time with Reminder 14 (NdDuca: Avoid fancy words). What is wrong, you ask, with beauteous? No one knows, for sure. There is nothing wrong, really, with any word — all are good, but some are better than others. A matter of ear, a matter of reading the books that sharpen the ear.
The line between the fancy and the plain, between the atrocious and the felicitous, is sometimes alarmingly fine.


Rule 4: Write with nouns and verbs
The adjective hasn’t yet been built that can pull a weak or inaccurate noun out of a tight place.


Rule 8: Avoid the use of qualifiers
Rather, very, little, pretty — these are the leeches that infest of the pond of prose, sucking the blood of words. The constant use of the adjective little (except to indicate size) is particularly debilitating; we should all try to do a little better, we should all be very watchful of this rule, for it is a rather important one and we are pretty sure to violate it now and then.


No one can write decently who is distrustful of the reader’s intelligence, or whose attitude is patronizing.

Tra gli altri poveri stronzi (perché alcune delle cose che dicono sono le stesse cose dette dai poveri stronzi dei manuali), giusto per completezza, ricordiamo: Gabriel García Márquez (odia gli avverbi in “-mente” e si vanta di non averne messo nessuno in L’Amore ai Tempi del Colera); Ezra Pound (consigliò a Hemingway di non fidarsi degli aggettivi); Voltaire (l’aggettivo come nemico del nome); Gustave Flaubert (suggerì a Guy de Maupassant di cercare sempre la parola giusta e il verbo giusto, le mot juste, senza cedere alle soluzioni più facili e volgari… ovvero correggere un nome/verbo meno adatto di quello “perfetto” tramite avverbi e aggettivi che lo rendano più specifico); John Le Carré (“We went for a bald style… profound suspicioun of adjectives and making the verb do the work”) ecc… ecc…
Tutti citati anche in “How Fiction Works” di Oakley Hall (finalista al premio Pulitzer nel 1958, ha servito nei Marines durante la Seconda Guerra Mondiale).

Chi si presenta a parlare di narrativa di un certo tipo (fantasy e fantascienza) pensando che sia lecito far uso di conoscenze tratte dai manuali scritti proprio dagli autori di quel tipo di narrativa (ma le cui considerazioni e consigli vanno al di là del mero genere, e chi ha letto i manuali lo sa: ma i grandi letterati non si sporcano leggendo questi orribili manuali scritti da stupidi scrittori che magari non sono nemmeno laureati in lettere!) viene a rovinare il gioco dei critici da due soldi.

Gene Wolfe (1931 – vivente)
Stimato e apprezzato autore di fantasy e fantascienza, veterano della Guerra di Corea e ingegnere… è una delle grandi menti dietro la macchina che produce le patatine Pringles.
Non è laureato in lettere, ma conosce la scrittura più di tanti gonzi con un pezzo di carta.

Questi “critici dell’aria fritta” magari per due o tre anni si sono divertiti in qualche comunità online a costruirsi un pubblico, delle amicizie e una reputazione da tizi che sanno quel che dicono: che qualcuno venga a rovinare tutto facendo capire che loro non sanno di che parlano è una cosa che non possono tollerare. E fanno i gruppetti di squadristi, usando tecniche tra il borderline e la palese violazione delle regole della community, per isolare, offendere e scacciare chiunque osi contestarli “con motivazioni valide”. Non posso fare a meno di vomitare di fronte a tutto ciò. ^_^

Gamberetta ha rotto il gioco a molti due anni fa, portando con ammirevole testardaggine un diverso modo di parlare di fantasy, più serio, a imitazione di quello che si può leggere all’estero, nelle discussioni che noi possiamo solo invidiare. E in tanti si sono incazzati perché anche se è stato possibile cacciarla dal proprio adorato forum, non è stato possibile cacciarla dalla “sala da tè del web”. E la sua semplice esistenza è ancora un atto di accusa contro di loro.

E il fatto che anche altri stiano cominciando a capire che si può e si deve studiare la narrativa di genere per parlarne con cognizione di causa (scartiamo quelli che cercano di fare commenti precisi e puntuali senza aver prima studiato… ho già accennato una volta agli imitatori di Gamberetta che fanno più danni che altro, smerdando così anche i commentatori più seri e accorti), fa sentire questi “truffatori del discorso” sempre più minacciati e spaventati. E urlano contro i critici puntigliosi. Urlano contro il mondo. Urlano in realtà contro la propria ignoranza e stupidità, che li soffoca e li fa sentire impotenti, ma non possono privarsene perché “studiare” significherebbe darla vinta al Nemico.

Gamberetta in una immagine utilizzata dai fan per adorarla.
L’immagine non è idealizzata: la Vera Gamberetta è molto più bella. PUNTO.
Il Duca di Baionette

Sono appassionato di storia, neuroscienze e storytelling. Per lavoro gestisco corsi, online e dal vivo, di scrittura creativa e progettazione delle storie. Dal 2006 mi occupo in modo costante di narrativa fantastica e tecniche di scrittura. Nel 2007 ho fondato Baionette Librarie e nel gennaio 2012 ho avviato AgenziaDuca.it per trovare bravi autori e aiutarli a migliorare con corsi di scrittura mirati. Dal 2014 sono ideatore e direttore editoriale della collana di narrativa fantastica Vaporteppa. Nel gennaio 2017 ho avviato un canale YouTube.

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