Le armature metalliche di cui parlerò saranno tutte in ferro o in acciai al carbonio. Per comprendere meglio i test di penetrazione e la differenza che può passare tra armature di uguale spessore, ma costruite usando acciai differenti è meglio prima dotarsi di un bagaglio di nozioni utili minime. Una rapida panoramica senza troppe pretese per farsi un’idea degli acciai usati nel medioevo/rinascimento.

 
Qualche informazione di base sui metalli
Il ferro ha iniziato a diffondersi a partire dal 1900-1400 a.C. circa fino a diventare di uso comune attorno al 900 a.C., quando già veniva impiegato per fabbricare spade, pugnali, gambali e scaglie d’armatura. Circa 150 tonnellate di ferro sono state rinvenute nel palazzo di Sargon (710 a.C.) presso Dur Sharrukin (oggi Khorsabad, vicino a Mosul in Iraq) e parte del materiale rinvenuto era formato da “acciaio” anche se non vi sono prove che all’epoca si praticasse alcun genere di tempra (quenching in inglese) per ottenere acciai invece di ferro. Anche gli antichi Greci, sebbene utilizzassero regolarmente il ferro da secoli, continuarono a fabbricare corazze ed elmetti in bronzo fino al tempo delle Guerre Persiane (V secolo a.C.). Il ferro povero di carbonio e ricco di impurità, come si poteva produrre con i metodi di fusione precedenti l’invenzione dell’altoforno, era inferiore al bronzo per durezza e resistenza alla corrosione.
Prima degli altiforni si usavano infatti fosse scavate nel terreno, per trattenere al meglio il calore, coperte da una cupola di pietre o mattoni in cui il fuoco veniva ravvivato da un mantice (forni a cupola). Questi forni permettevano di liberare il ferro dalle rocce in cui si trovava, seppur lasciando al suo interno molte scorie, ma non favorivano affatto la sua combinazione con il carbonio per formare leghe d’acciaio. E in ogni caso l’acciaio non è detto sia sempre più duro del bronzo lavorato, come vedremo dopo.
Gli altiforni alimentati a carbone permettevano una migliore combinazione del carbonio con il ferro per la produzione di ghise e acciai. I più antichi risalgono al XII secolo e la diffusione capillare degli altiforni in Europa avverrà solo nella seconda metà del XV secolo, permettendo di produrre quegli acciai duri e resistenti necessari per le armature bianche sempre più diffuse e richieste.

 
Cos’è la Durezza?
La durezza di un metallo o di una lega è la proprietà di lasciarsi scalfire da un minerale e può essere determinata misurando quanto a fondo penetri una punta di diamante piramidale collegata a un carico noto (durezza Vickers). Un test simile che però sfrutta una sferetta è il test Brinell (HBS, durezza Brinell). Il test Vickers fornisce la misura della durezza Vickers (VPH, HV, Vickers Pyramid Hardness) sotto forma di “forza applicata / penetrazione”. L’unità di misura dei VPH sono i chilogrammiforza su millimetro quadrato (kgf/mm2). Entrambi i test sono chiamati prove di microdurezza.
Più il VPH è alto e più il metallo offre resistenza alla deformazione.

Il rame puro ha una durezza di circa 40 VPH e fonde a 1080°C. La lavorazione a freddo, tramite il martellamento o la riduzione in filo di rame, può alzare la durezza fino a 100 VPH ottenendo però una riduzione dello spessore e un corrispondente incremento della fragilità (ovvero è più facile che si fratturi quando sottoposto a una tensione).
Unire il rame con lo stagno porta progressivamente la durezza della lega di bronzo da 50 VPH (3% di stagno) a 110 VPH (10% di stagno) con la semplice unione a caldo e può essere ulterioramente incrementata con una lavorazione a freddo del bronzo fino a 270 VPH (10% di stagno).
Il ferro puro ha una durezza di 60 VPH, fonde a 1550°C e diventa più duro assorbendo carbonio, formando la lega chiamata acciaio. Se l’acciaio viene lasciato raffreddare ad aria, lentamente, la sua durezza sarà paragonabile a quella del bronzo (in base alla % di carbonio assorbito). Dopo il raffreddamento ad aria un acciaio con poco carbonio (0,2%) avrà una durezza di circa 110 VPH ed uno con un ottimo contenuto di carbonio (0,5-0,6%) arriverà a 170-180 VPH circa. Una durezza che lo pone nella fascia media del bronzo lavorato, con in più la difficoltà di ottenere un livello di carbonio alto senza disporre di un altoforno: le fornaci con la fossa producono perlopiù ferro, come già detto.
Se invece l’acciaio viene raffreddato rapidamente (quenching, tempra) si potrà ottenere una durezza tra 300 e 700 VPH in base al contenuto di carbonio.

 
La Tempra degli Acciai
Lasciamo da parte i dettagli su come il carbonio si leghi lentamente al ferro formando austenite, una soluzione interstiziale di ferro e carbonio che può esistere solo sopra i 723°C, e passiamo a vedere come l’acciaio ottenuto può essere indurito.
Infatti, seppure l’acciaio raffreddato ad aria sia già molto più duro del comune ferro, il vero vantaggio dell’acciaio si ottiene indurendolo ancora di più con pratiche di raffreddamento rapido (ad esempio: buttandolo subito in acqua, come si vede fare ai fabbri nei film).

Se l’austenite viene raffreddata ad aria il carbonio che si era dissolto nel ferro sopra i 900°C tornerà a riunirsi in “blocchi” formando un aggregato lamellare di ferrite (ferro poverissimo di carbonio) e cementite (un carburo di ferro, Fe3C) chiamato perlite.
La pura ferrite (in pratica purissimi cristalli di ferro) ha una durezza di 80 VPH. Naturalmente non è possibile ottenere pura ferrite con le tecnologie medievali e verrà fuori invece un metallo più o meno ricco di scorie (slag in inglese, un materiale fragile simile al vetro) e di tracce di altri elementi dissolti nella ferrite, la cui durezza varierà tra i 100 e i 180 VPH. La presenza di cementite (carburo di ferro) rende la perlite ancora più dura, in base al livello di carbonio, permettendo di ottenere durezze tra 180 VPH (0,2% C) e 260 VPH (0,6% C).

Se l’austenite viene raffreddata più rapidamente di quanto avvenga in aria (trattamento di tempra, di norma tempra di soluzione) si può evitare la condizione di equilibrio che porta il carbonio a riaddensarsi in cementite e si possono ottenere di conseguenza dei cristalli differenti.
Si può ottenere la perlite globurale, in cui cementite e ferrite si uniscono in strutture sferiche, oppure la bainite, ferrite circondata di cementite in forma aciculare che la rende più dura della perlite, o perfino la martensite, un acciaio durissimo di struttura tetraedrica ottenibile solo con un brusco raffreddamento che “congeli” l’acciaio in una forma molto simile a quella austenitica, ovvero con il carbonio mischiato uniformemente al ferro senza, usando un linguaggio terra-terra, “grumi”.
La dimensione dei cristalli che formano il metallo è importante dato che i piccoli cristalli si deformano con maggiore difficoltà e quindi una “granularità” più fine aumenta considerevolmente la durezza dell’acciaio.

La rapidità del raffreddamento, le dimensioni dell’oggetto e la quantità di carbonio presente nell’austenite determinano il tipo di cristalli che si otterranno. Immergere l’austenite nell’acqua solitamente porta a un raffreddamento così rapido (full quenching) da formare una struttura di sola martensite di durezza fino a 800 VPH (0,6% C) e oltre. Raffreddare il metallo in olio, nel piombo liquido (che lavoro salubre: facciamo tutti “ciao ciao” al saturnismo…) o in altre sostanze determina un raffreddamento meno brusco (slack quenching) e l’acciaio risultante sarà composto da una combinazione di perlite, bainite e martensite con una durezza tra i 300 e i 400 VPH in base alla composizione.
Lo slack quenching era frequentemente praticato nel Medio Evo (le sostanze usate nella soluzione di tempra facevano parte dei segreti degli armaioli) mentre ormai è evitato e si pratica solo il full quenching, che avviene di norma in semplice acqua per gli acciai al carbonio.

Microscopiche :icon_mrgreen.gif: foto al microscopio
Foto al microscopio di acciai differenti

Il problema della martensite eccessivamente dura sono le tensioni interne che potrebbero rendere l’acciaio fragile causando delle microfratture. Per aumentare la resistenza all’impatto dell’acciaio è necessario sottoporlo a rinvenimento (tempering in inglese), ovvero scaldarlo di nuovo (al massimo fino a 700°C) e raffreddarlo di nuovo in modo da rimuovere gli stress interni. Il rinvenimento può portare al peggioramento dell’acciaio, in particolare negli acciai al carbonio che nella fase del riscaldamento a 250-400°C possono cadere vittime di una fragilità irreversibile (a meno di non rifondere d’accapo tutto). Anche nella fase dei 450-500°C gradi può avvenire un indebolimento dell’acciaio dovuto alla minore coesione intercristallina, la malattia di Krupp, ma è un problema reversibile. In caso di problemi si può sempre pensare alla ricottura: riportare il metallo allo stato di austenizzazione e mentenerlo il tempo necessario a riomogenizzare il macello fatto precedentemente per poi ripartire col lavoro.

Il rinvenimento può ridurre la durezza a 400-500 VPH, ma la resistenza agli impatti dell’acciaio aumenterà notevolmente: sarà duro ed elastico. Ma non bisogna eccedere: troppi rinvenimenti possono indebolire l’acciaio, formando blocchi di cementite e rendendo la martensite meno dura perfino della perlite non temperata (a pari percentuale di carbonio).

 
La Tenacità alla Frattura
Abbiamo visto cosa è la durezza e come ottenerla, ma la durezza non è tutto. Anche il vetro è duro (1500 VPH circa), ma se lo colpisci si spezza più facilmente dell’acciaio di pari spessore. Se contasse solo la durezza tutti indosserebbero corazze di vetro che di certo “non si piegano sotto i colpi”, ma sappiamo che in realtà una simile corazza andrebbe in frantumi al primo impatto violento (ma senza deformarsi prima: sai che consolazione…). Quindi la durezza per quanto importante non è l’unica proprietà, come abbiamo visto parlando del rinvenimento della martensite, ma deve essere accompagnata da una adeguata tenacità alla frattura (oppure da un valore adeguato di resistenza alla frattura, tensile strength in inglese, ma Williams ha preferito usare KJ/m2 nel suo libro che usiamo qui come riferimento al posto dei classici MPa).

La tenacità alla frattura (fracture toughness in inglese) misura la resistenza che un materiale contenente una imperfezione offre alla rottura. Dipende da vari fattori: microstruttura del metallo, durezza, dimensione dei cristalli e presenza di scorie. I test che misurano la resistenza alla frattura totale indagano sia la deformazione plastica che la frattura elastica (un test molto comune è quello di Cottrell-Mai).

Più scorie sono presenti nel metallo (ossido di ferro, silicato di ferro magari mischiato a calcio o alluminio o altre porcherie) e più il metallo è sensibile alla frattura a causa delle aree imperfette che rendono più debole la struttura complessiva. La tenacità alla frattura di un ferro puro, senza carbonio e senza scorie (es: il ferro ARMCO), è circa 200 KJ/m2. Una presenza di scorie al 1-2% (considerata come piuttosto bassa per gli standard medievali) può abbassare fino a 170 KJ/m2 la tenacità. Con un 4,7% di scorie siamo già a 150 KJ/m2 che scende a 120 KJ/m2 al 4,7% e arriva a 28 KJ/m2 al 7,5%.

Il carbonio influendo sulla durezza influisce anche sulla tenacità alla frattura. Un ferro privo di scorie e di carbonio (il ferro ARMCO già accennato) ha una tenacità di 200 KJ/m2. Un contenuto di carbonio allo 0,1% alza la tenacità a 235 KJ/m2 che sale a 320 KJ/m2 per una presenza di carbonio allo 0,55% e raggiunge quasi i 400 KJ/m2 con lo 0,85%.

 
E ora…
Ora che abbiamo un po’ di informazioni più di prima sugli acciai possiamo passare a vedere di cosa erano fatte le armature medievali e da che genere di impatti potevano offrire protezione.

Seconda parte: breve presentazione delle armature.
Terza parte: i test di penetrazione.

25 Replies to “Le Armature: una panoramica degli acciai”

  1. Ah, la martensite…che nostalgia, quanti bei ricordi di quando ero giovane e studiavo i diagrammi di stato delle leghe metalliche…
    Spero che tu stia scrivendo questo saggio per passione personale e non credendo veramente che serva per evitare che nugoli di fessi scrivano fesserie nei loro “romanzi”…Non perchè queste informazioni non servano (al contrario!) ma perché intanto quelli lì non le leggeranno mai, così come non si documentano su niente, non leggono nemmeno i veri libri fantasy che dovrebbero essere la loro passione, quindi figurarsi.
    Vabbè, lo confesso, anch’io sto scrivendo (ooops!), ma almeno sono consapevole della mia ignoranza e non mi passa per la testa di incentrare tutta la storia su argomenti (come la guerra con armi medievali) di cui non so niente.
    Comunque questi articoli possono servire lo stesso, quindi ora me li leggo e ti ringrazio. Ciao.

  2. Si, sono consapevole che il mio pubblico ideale non leggerà mai questi miei articoli, ma non me ne dolgo: se anche un solo aspirante scrittore di fantasy “militare” dovesse leggerli ne sarebbe valsa la pena.

    Inoltre sull’efficacia delle armature il web è parecchio scarno, sia in italiano che in inglese, poiché si tratta di un argomento di nicchia perfino nell’ambito oplologico e tutte le scoperte rimangono confinate nelle pubblicazioni specifiche come Gladius o come il giornale della Arms and Armour Society.
    Colmare questa lacuna divulgativa mi dà molta soddisfazione.

    Infine scriverli mi serve per riordinare le idee, riflettere, non dimenticare quanto ho letto…
    …e poter dare un comodo link quando qualcuno mi chiede informazioni sulle performance delle armature. :-)

    Grazie a te per aver letto i miei articoli.
    Se hai qualche curiosità specifica chiedi pure.

  3. Caro Duca, io sto leggendo questi articoli e me ne sto servendo nel mio libro. Ti ringrazio tanto di scrivere saggi così utili^^

  4. Sono felice.
    Se impari a gestire bene le informazioni sui metalli e sulle armature (e magari sulla balistica delle ferite, ma non ho ancora fatto l’articolo), puoi ricavarne tante cose utili per la credibilità nell’ambito fantasy (soprattutto se ci sono creature di grandi taglie e armi da fuoco).

  5. Ci sono draghi e diaboliche macchine da fuoco…quindi si, mi sarà tutto molto utile!

  6. innanzi tutto mi complimento per la eterogeneità dei temi tratti nel sito e per l’immancabile autoironia che li accompagna. colpito dal tuo articolo sulle armi e le armature , vorrei saperne di più. sai indicarmi un pò di bibliografia utile? mi piacerebbe approfondire la resistenza dele arature di bronzo. come di certo saprai, nella maggior parte dei cataloghi di armi antiche, ci si sofferma sull’aspetto formale e non sulla effettiva utilità dell’armamento. il risultato sono noiose liste di reperti studiati come esprssione di “arti minori”(artigianato) piutosto che come strumenti di morte. complimenti ancora per il sito e grazie per le indicazioni che vorrai concedermi…

  7. Per la parte di metallurgia delle armature consiglio questo:
    The Knight and the Blast Furnace di Alan Williams
    Non si trova piratato e costa parecchio.
    Non tratta studi di esemplari in bronzo, né per la microdurezza né per le fotografie al microscopio della struttura del metallo. Del bronzo parla solo quando discute la durezza, ma non fornisce mai valori di fracture toughness, nemmeno sotto forma di strain energy massima che sopporta in KJ/m^2 (possendendoli si potrebbero fare i paragoni con i test su lame/proiettili/frecce in cui impiega mild steel AISI 1010-1020).

    Comunque, se disponi del contenuto della lega in bronzo di interesse può stimare i valori di Tensile strength (Yield strength -lo stress a cui comincia a deformarsi in modo permanente- e Ultimate strength -il punto in cui si spacca-).
    Quello più importante è Ultimate, ma in alcuni casi sapere la distanza tra Yield e Ultimate è importante: se il metallo è estremamente resistente (Ultimate molto alta), ma con una pesante deformazione (inizia a deformarsi moooolto prima) ci si può trovare con una pesantissima contusione anche se l’armatura in sé si è deformata senza rompersi.
    Per gli acciai al carbonio tipici non è una differenza enorme, ma se si guarda un acciaio al manganese come l’Hadfield (12% di manganese) in cui la distanza tra i due valori è enorme (379 MPa di Yield e 965 MPa di Ultimate) ci si può trovare il cranio sfondato sotto l’elmetto pesantemente inciso, ma non spaccato dalla scheggia (e infatti gli elmetti con quel tipo di acciaio, come quelli britannici e americani del Novecento pre-Kevlar, avevano bisogno di un ampio spazio tra calotta e cranio).

    Ti riporto un dato curioso reperito su un libro di storia militare. E’ curioso perché spiega l’importanza dei primi elmetti in semplice “rame” (non bronzo, solo rame: 70 MPa di Yield e 220 MPa di Ultimate circa per rame puro al 99,9% secondo wikipedia) con una pesante imbottitura di cuoio (sempre sul libro di William trovi anche qualche dato di test su cuoio e imbottiture, ma li ho riportati anche nei miei articoli).

    The Sumerian helmet was a cap of hammered copper approximately two to three millimeters thick fitted over a leather or wool cap approximately four millimeters thick, providing a total protective thickness of one quarter inch. It is unclear why the Sumerians did not use bronze for their helmets.
    Perhaps the ability to cast a sized bronze sphere with any consistency had not yet been developed, in which case, copper would have been far easier to mold to the shape of the head and obtain a good fit.
    […]
    The mace disappeared from the battlefields of Sumer around 2500 b.c.e., when the Sumerians invented the helmet. Constructed of two millimeters of copper worn over four millimeters of leather cap underneath, the Sumerian helmet was sufficient to neutralize the mace as a killing weapon. To fracture the skull under a helmet of this sort requires a force of 810 foot-pounds. A mace weighing 1.8 pounds can only be swung at a speed of sixty feet per second by a human arm to generate 101 foot-pounds of energy on impact, quite insufficient to fracture the protected skull or to render the soldier unconscious.
    The Egyptians continued to fight without the helmet for almost another millennium, with the result that Egyptian military physicians became expert on treating head fractures.

    Tratto da Soldiers Lives through History – Ancient world di Richard A. Gabriel.

  8. FInalmente!… FINALMENTEEEE!!!… clap clap clap…

    …qualcuno che parte dai materiali per studiare le armature, e si pone il problema delle caratteristiche tecniche prima di discettare su affilature, parate di piatto, tagli e botte… le leghe metalliche rispondono a leggi ben precise e note sperimentalmente oggi; ma note empiricamente e per esperienza anche agli antichi.
    Peccato che dove si vuole parlare seriamente di armi, di “rievocazione storica” e ricerca rigorosa, questi problemi non se li pone nessuno…
    bell’articolo, chiaro, esaustivo, professionale… concordo: anche se lo leggessero in pochi,ne vale comunque la pena.

    Un viandante della rete, capitato qui per caso

  9. Non capisco perchè ci si ostonava con la slack queching se la facevano con piombo fuso e altre miscele insalubri e dava un acciaio meno resistente rispetto a una queching con l’acqua. Forse qualcosa non torna a me.
    Sapresti inoltre indicarmi le caratteristiche e la lavorazione per un acciaio “di massa”, destinato alle armi dei soldati semplici? Grazie!

  10. Non capisco perchè ci si ostonava con la slack queching se la facevano con piombo fuso e altre miscele insalubri e dava un acciaio meno resistente rispetto a una queching con l’acqua. Forse qualcosa non torna a me.

    E’ spiegato.
    Con il full ottieni un metallo durissimo e fragile. Non serve a nulla così, fa schifo. Devi sottoporlo a rinvenimento per trarne i benefici massimi della martensite senza gli svantaggi. Il rinvenimento potrebbe rovinarlo completamente, soprattutto se lavori senza solide misurazioni e basi scientifiche (e quindi con maggiori possibilità di errore nei tempi, nelle temperature del metallo ecc…), costringendoti a ripartire d’accapo (sempre che uno se ne accorga, altrimenti ti verrà un prodotto cattivo senza che nemmeno lo volessi davvero… tipo una corazza che, provata con la balestra come richiesto, si fora invece di resistere).

    Con un raffreddamento più calmo, con meno sbalzo termico, magari addirittura solo ad aria, non rischi questi guai. Il prodotto non sarà eccellente, ma non rischi di buttare via tutto quello che hai fatto e comunque con lo slack si possono ottenere armature più che dignitose (è più facile farle un pochino più pesanti per compensare il metallo meno buono che farle ultraleggere con metalli eccezionali).

  11. Insomma, non si conoscevano i vantaggi il rinvenimento o sbaglio?

    Non esattamente.
    Più che altro non si avevano adeguati strumenti di misurazione né una base di conoscenza adeguata.
    Non è difficile immaginare la difficoltà nel capire se la martensite iniziale la stai riscaldando a 450 gradi piuttosto che a 550 gradi. E i tempi? La differenza di qualità dipende da una manciata di secondi nel raffreddamento. E la manualistica con il sapere dei secoli precedenti? Le conoscenze erano locali, custodite dalle corporazioni e dai maestri. La base chimica di conoscenze, fondamentale, ridotta all’osso.

    E la stessa conoscenza dei metalli? Senza microscopio?
    Noi parliamo di martensite (da Adolf Martens, che la scoprì negli anni 1890), perlite ecc… ma è stato chiarito fin dall’inizio che possiamo parlarne perché conosciamo l’aspetto al microscopio di questi acciai. E senza miscroscopio come facevano loro? Eh…
    E senza sapere nemmeno che l’acciaio è un mix di carbonio e ferro? Sì, certo, sapevano di dover usare il carbone per renderlo migliore… ma pensavano che l’acciaio fosse un “ferro più puro”, non una lega. Ragionavano al contrario, facendo giusto empiricamente, non perché sapessero davvero come stavano le cose a livello microscopico.

    Mica cazzi fare metallurgia lavorando alla cieca… ^__^””

  12. Grazie per le precisazioni, a volte leggo troppo in fretta (dovuto supporre che un fabbro del ‘400 non conosceva la struttura microscopica degli acicai – -‘)
    Scusa il ritardo nel rispondere, ma internet ha fatto i capricci per un po’di giorni.

  13. Bellissimo articolo, di sicuro molto utile. grazie davvero per averlo scritto.
    Lo so che arrivare con 3 anni di ritardo non mi fa granchè onore, spero comunque che i rignraziamenti siano senza tempo :)

  14. salve.
    Non ci crederete, ma sono arrivato a questa pagina cercando notizie sugli acciai per le biciclette.
    Mi complimento, sono felice che qualcuno consideri ancora che l’opera d’arte è fatta al 10% di ispirazione ed al 90% di traspirazione …
    Mi permetto di osservare che la stessa ricerca che animava un antico armaiolo stimola anche gli ingegneri che ricercano tubi con spessori di quattro decimi di millimetro, utilizzati in bici sottoposte a carichi e sforzi gravosi, conservando elasticità e rigidità. se avete presente l’immagine di uno sprinter che percorre gli ultimi 500 metri di gara a 70 all’ora piegando la bici avete chiaro il problema.
    Mi ricordo anche che gli armaioli giapponesi fabbricavano spade utilizzando strati di leghe a diverso contenuto di carbonio a seconda delle caratteristiche che la lama doveva avere nei suoi diversi punti, arrivando ad armi che avevano un comportamento complessivamente elastico pur mantenendo il filo tagliente di un acciaio duro.
    Ecco, perchè non introdurre in una storia di cappa e spada un armaiolo giapponese o un perito industriale brianzolo?
    Ciau.

  15. Vero, ecco alcuni esempi di distribuzione degli acciai nelle katana:
    http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/c/c4/Katana_brique.png

    Il metodo classico che usavano era quello lento e molto difficile che richiede grandi abilità, ma che richiede scarse competenze tecnologiche (adatto per chi non ha sviluppato ancora la tecnologia degli altiforni), detto “damasco”, lo stesso metodo usato nelle spade vichinghe.

    Un metodo migliore, disponendo del livello tecnologico necessario, è lo stock removal abbinato alla carbocementazione per variare il contenuto di carbonio su lati e filo (parti con una base dolce, quasi ferro e basta, poi carbocementi in immersione per avere X carbonio sui lati… poi un’altra passata per arricchire ulteriormente il filo a 2-3X, un po’ come si fa nelle corazzature navali col metodo Krupp dei bagni di carbone caldo).
    Il miglior armaiolo vichingo infatti non usava il damasco con cui pieghi e ribatti i pezzetti migliori di acciaio fusi, ma usava proprio l’acciaio omogeneo: http://zweilawyer.com/2010/03/21/la-spada-vichinga-viii-xi-secolo/

  16. Ottimo articolo! A scoprirlo prima mi sarei risparmiato una buona dose di studio per passare l’esame di metallurgia!

    L’unica “pecca” che ho notato è la traduzione di fracture toughtness che in italiano è più conosciuta come tenacità alla frattura. La resistenza del metallo, in senso generico, viene identificata come strenght (si può controllare sul testo di Callister).

    Segnalo anche, per chi volesse, che the “knight and the blast furnace” è ora recuperabile in rete. Non conoscendo la politica del blog non mi azzardo a linkare il sito.

    Un altro libro molto interessante, e altrettanto specifico, sull’evoluzione dei materiali (non solo metalli) nel corso della storia è “Understanding materials science” di Hummel, per chi fosse interessato.

    I miei saluti e i miei complimenti all’autore del blog, spero che il mio commento non risulti troppo tardivo!

  17. Grazie, non avevo trovato il termine corretto per tradurre i KJ/m^2 usati da William. Avevo chiesto a un amico che stava facendo ingegneria meccanica come tradurlo, ma non aveva idea. Gli avevo chiesto di chiedere al suo professore di materiali metallici e aveva risposto che non capiva perché William avesse usato valori così stronzi per valutare un metallo nei test che ha fatto invece dei soliti MPa.
    Ho rinunciato anche io a capirlo e, anche perché tutti gli altri testi (es: quello studio canadese sugli elmetti del 1922) usavano sempre MPa o l’equivalente imperiale per la Tensile Strength che è il KSI, sono passato a usare solo gli MPa già a fine 2008 visto che eFunda e altre fonti gratuite solo quello davano sempre di buono e facile da usare.

    Comunque non penso che ci possa essere rischio di errore per i lettori visto che la Tensile Strength andrebbe tradotta secondo wikipedia come “carico di rottura”, “forza di rottura”, “sollecitazione a rottura” e in queste schede dell’Unibo viene indicata con “Resistenza a trazione” (che dovrebbe essere il più corretto visto anche il tipo di test per misurarla). Non c’è insomma un nome identico di uso comune che si sovrapponga alla mia traduzione malvenuta “resistenza alla frattura” (comunque per evitare problemi di confusione avevo lasciato l’unità di misura e l’originale in inglese).

    Ero stato tratto in inganno anche da un vecchio PDF trovato sul sito di un’azienda, ora non più presente, in cui usavano tenacità a cazzo per la TS… il che non mi fu proprio di aiuto, insomma… XD
    Provvedo a correggere la vecchia traduzione con “tenacità alla frattura”, allora.

  18. Sì è una proprietà poco conosciuta, io l’ho scoperta solo quest’anno che sto facendo il corso magistrale, alla triennale non l’avevo mai sentita. XD

    Quando si studiano le proprietà meccaniche dei materiali (metalli e non) ci si limita a studiare le definizioni di tenacità statica (static toughness), e tenacità all’intaglio o all’impatto (impact toughness), insieme alle curve stress/strain e tutto ciò che ne deriva; la tenacità alla frattura è più complicata, viene definita in modi differenti a seconda che il materiale si comporti in modo brittle o in modo duttile.

    Ho tenuto a specificarlo solo perché sia chiaro che rientri nella definizione di tenacità insieme a quella statica e quella d’intaglio (per quelli che hanno letto a riguardo). E’ una sottigliezza, lasciando il termine inglese non ci dovrebbero essere rischi di confondersi con il carico di rottura. :)

  19. Mi sono accorto solo ora che in uno dei commenti c’era la risposta a una questione che mi ero posto.
    A ogni modo, volevo segnalare che The knigth and the blast furnace si trova piratato in condizioni abbastanza buone. Costa un solo centesimo (il casino semmai è il metodo di pagamento, poi capirete). Si trova su Ebookoid.com.
    Siccome è un pò complesso acquistare crediti su ebookoid (io li ottenni cliccando sulle pubblicità ma non c’è più questa possibilità) so che esiste “qualcuno” (non io, ovviamente :P ) che sarebbe disposto a passarlo gratuitamente al Duca (il quale poi provvederebbe a smistarlo) o ai diretti interessati.
    Ovviamente io non c’entro nulla con una pratica così immonda. ;)

  20. senta signor Duca , io sono un semplice ragazzo appassionato di storia , guerre , armi e anche di fantasy ( ne approfitto per ringraziarla immensamente per avermi fatto scoprire il genere Steampunk che ho molto apprezzato grazie ) ; poi volevo gentilmente chiederle una cosa riguardo agli acciai :desidero sapere se nel 1400-1500 cioè quando si sono iniziate a diffondere le prime ari da fuoco portatili , cosa cambia tra le armature di quel periodo e le armature precedenti . Ecco non credo di essermi spiegato bene , volevo sapere il graduale sviluppo delle armi si a offensive che difensive di quel periodo , quindi perché si sono abbandonate le corazze mi cotta di maglia , perché gli archi sono stati sostituiti dalle balestre ed in seguito dagli archibugi in generale mi interessa l’evoluzione delle armi di quel periodo . Spero di essermi rivolto chiaramente e spero di non averle mancato d rispetto in qualche modo perché non era affatto mia intenzione , grazie mille signor Duca per avermi ascoltato attendo sue risposte .
    buona giornata : Davide B. :)

  21. Grazie signor Duca ho letto la parte sulle armature e sui test di penetrazione , ma comunque diciamo che non ho le idee tanto chiare , non capisco perché si continuavano ad utilizzare spade e lance contro le armature del 1400 se c’è scritto che queste potevano resistere alle armi da taglio , quindi sbaglio o possiamo dire che le spade servivano solo per fracassare le ossa e non per tagliare e penetrare le armature perché sarebbe stato molto difficile penetrare un armatura con una spada ? e poi che le picche e le lance erano utili solo per azzoppare i cavalli della cavalleria pesante e contro la fanteria leggera ? Certo va detto che spesso con le spade si mirava alle parti più deboli delle armature tipo sotto le ascelle . ricapitolando allora una spada corta a doppio taglio di media qualità penetra un armatura milanese ?
    mi scuso per il disturbo e l’insistenza ma come ho già detto ho capito non troppo , poi giusto un ultima domanda e poi non le darò più fastidio : secondo lei all’inizio del 1500 era meglio per un cavaliere avere una armatura Massimiliana o Milanese ?
    detto questo la ringrazio ulteriormente per la sua disponibilità hai suoi lettori grazie ancora signor Duca le auguro ancora una buona serata . Davide B. :))

  22. possiamo dire che le spade servivano solo per fracassare le ossa e non per tagliare e penetrare le armature perché sarebbe stato molto difficile penetrare un armatura con una spada?

    Sì. A meno che il gambeson sotto, se presente sotto una cotta di maglia, non sia così spesso da renderle inutili pure per quello. Con la piastre se sopra il millimetro ci vuole proprio tanta forza per piegarle a spadate.

    e poi che le picche e le lance erano utili solo per azzoppare i cavalli della cavalleria pesante e contro la fanteria leggera?

    Diciamo per “impedire” le cariche di cavalleria, rendendo così la cavalleria più inutile sul campo di una formazione di fanteria, ecco.
    Rimarrà così fino a metà Ottocento, con la cavalleria sempre più in ruolo di minaccia per costringere i fanti a chiudersi in quadrati e venire tartassati dall’artiglieria comodamente. Diveniva capace di caricare con successo in pratica solo quando riusciva ad aggirare i fanti prima che si chiudessero nel quadrato (o per inseguirli nella ritirata tramutandola in una rotta).

    ricapitolando allora una spada corta a doppio taglio di media qualità penetra un armatura milanese ?

    I dati li hai visti. Per tranciare 8-10 cm anche solo di una piastra da un millimetro di acciaio ti serve un energumeno. Se sali sopra, diventa sempre peggio. A 2 mm per tagliare una corazza in acciaio 1020 o equivalente ti serve un piccolo supereroe…

    Certo va detto che spesso con le spade si mirava alle parti più deboli delle armature tipo sotto le ascelle.

    Cosa così difficile da rendere il problema quasi nullo per chi aveva l’armatura. Praticamente da fare solo in duelli armatura-vs-armatura, come in certi manuali stile Flos, non certo da aspettarsi di poter ottenere nel casino di una battaglia.

    secondo lei all’inizio del 1500 era meglio per un cavaliere avere una armatura Massimiliana o Milanese ?

    Se spessori e qualità dell’acciaio sono posti identici, come poteva essere ormai, la massimiliana favorisce impatti angolati in modo peggiore quindi è più vantaggiosa. Infatti andarono di gran moda, prima che divenisse tutta una questione di archibugi in massa e super-spessori in acciaiacci da due soldi.

  23. signor Duca la ringrazio infinitamente per le risposte ha tolto quasi ogni dubbio che avevo , grazie ancora !comunque ha ragione sul fatto della spada che non penetra ma fracassa le ossa al di sotto ( sempre se non è presente un imbottitura ) , ma va ricordato che a quel tempo la cavalleria caricava con mazze ferrate o chiodate , che se ti andavano addosso ti rompevano tutte le ossa con o senza imbottitura , ma va beh questo era solo per puntualizzare il tutto. La ringrazio infinitamente per le risposte , adesso se avrò qualche dubbio in questa materia saprò certamente a chi rivolgermi !
    grazie mille Davide B. ;)

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